Il 14 luglio del 1960, un’aspirante etologa sbarcò sulla riva orientale del Lago Tanganica munita solo di una tenda, qualche piatto, una tazza senza manico e un binocolo di seconda mano. In quella terra apparentemente desolata, al confine tra Tanzania, Repubblica Democratica del Congo, Burundi e Zambia, sorgeva la Gombe Stream Game Reserve, una piccola area protetta di proprietà del governo coloniale britannico. All’allora sconosciuta Jane Goodall, appena 26enne, era stato affidato l’incarico di studiare gli esemplari di scimpanzé che abitavano la riserva, indagandone gli atteggiamenti e le somiglianze con la specie umana. Gli unici a credere in lei - che non possedeva ancora una laurea né alcun titolo scientifico - erano sua madre, valida compagna di viaggio insieme a un cuoco africano, e il paleontologo Louis Leakey. La loro energia, unita alla sua inesauribile curiosità, bastò a far sì che la ricerca fosse portata a termine con successo dalla giovane inglese, determinandone la fortuna e la leggendaria fama.
Non fu facile ottenere risultati significativi nel corso della sua permanenza a Gombe: spesso gli ominidi si nascondevano nella radura, così che Jane fosse costretta a salire e scendere quegli impervi monti boscosi. Col tempo, però, l’impacciata esploratrice si trasformò in una studiosa saggia ed esperta, imparando a trattare quelle creature come se fossero umane, considerandole all’interno della loro organizzazione comunitaria (non molto diversa dalla nostra). Scoprì dunque che gli esemplari di Pan troglodytes erano in grado di provare emozioni primarie (in particolar modo la paura), di nutrire compassione ed empatia nei confronti dei propri conspecifici, di fabbricare e adoperare semplici utensili. “Un giovane scimpanzé, dopo la morte della sua mamma, mostra un comportamento simile alla depressione che affligge i bambini: postura incurvata, dondolio, occhi offuscati fissi nel vuoto, perdita di interesse per quanto accade attorno a sé. Se un piccolo d’uomo può soffrire di dolore, così può soffrire un giovane scimpanzé” questa una delle sue osservazioni del tempo. Avvicinandosi a loro con pazienza e sensibilità, Jane scoprì la grande intelligenza di quelle creature speciali. Un’intuizione che, allora basata su semplici osservazioni, fu confermata dai successivi studi sul quoziente intellettivo degli ominidi, attestato intorno agli 80-90 punti (laddove il Q.I. medio della specie umana è fissato a 100).
A quasi 60 anni di distanza dalle scoperte di Jane, quegli stessi scimpanzé che hanno consacrato al successo la sua carriera si trovano in una condizione di grave pericolo. Oggi l’intero pianeta ospita solo 350.000 scimpanzé selvatici, tre quarti in meno rispetto a cento anni fa. Una vera e propria decimazione, causata da molteplici fattori, quasi tutti attribuibili alla negligenza dell’uomo: distruzione degli habitat naturali, commercio illegale degli esemplari come animali domestici o carne selvatica, epidemie di poliomielite e Aids, scarsa attenzione e cura da parte della comunità internazionale. Ma non è tutto: nel 1974 una grande comunità di scimpanzé, nota con il nome di Kasekela, diede vita a una serie di incursioni ai danni del sottogruppo Kahama, sfociate in una sanguinosa battaglia al potere, in cui persino alcuni esemplari femmina erano disposti ad annientare i neonati dei rivali. “Quando ho cominciato a lavorare a Gombe - scriveva allora Jane - credevo che gli scimpanzé fossero migliori di noi. Ma col tempo è emerso l’esatto opposto: sanno essere altrettanto spaventosi”.
Per sensibilizzare la comunità internazionale sulla salvaguardia della specie, il Jane Goodall Institute ha istituito una Giornata Mondiale dello Scimpanzé, indetta per la prima volta oggi, 14 luglio 2018. L’organizzazione, guidata dall’ormai 84enne Jane, si batte non solo al fine di scongiurare il pericolo estinzione, ma anche per promuovere un crescente senso di responsabilità nei confronti degli scimpanzé, spesso costretti a finire i loro giorni in una gabbia per sopperire ai nostri capricci. Gli attivisti vicini a Jane Goodall chiedono alle autorità di intervenire tempestivamente nei casi in cui la cattività comporti la privazione dei bisogni fisici, emotivi e sociali degli animali, oltre che di ridurre il più possibile le pratiche di detenzione degli esemplari. “Spero che vi uniate a noi in questa primissima Giornata Mondiale dello Scimpanzé - auspica l’etologa - per evidenziare la straordinaria natura di questi esseri e per far luce sulle minacce che affrontano”. Lo dobbiamo agli scimpanzé non solo in quanto esseri viventi (dunque meritevoli di rispetto e dignità), ma anche e soprattutto in virtù delle incredibili somiglianze che ci uniscono a loro, per onorare quel glorioso cammino chiamato “evoluzione” …