Si apre in bellezza la settimana barese dedicata al Cinema nazionale ed internazionale, in un’attesissima kermesse che ormai da dieci anni appassiona professionisti del settore e non. La Master Class di Pierfrancesco Favino, tenutasi ieri al teatro Petruzzelli (Bari) subito dopo la proiezione del film ACAB - All Cops Are Bastards, ha letteralmente incantato il pubblico, più numeroso che mai. Una piacevole mattinata, che già fa presagire un’intensa settimana di appuntamenti pronti a indagare il mondo del Cinema attraverso i suoi volti più noti e amati.
L’affetto della platea è palpabile: “Sono lusingato ma, vi prego, non applaudite ad ogni mia affermazione!” scherza l’attore, portando in scena la solarità e la simpatia che da sempre lo caratterizzano. Sollecitato dalle acute domande del giornalista Fabio Ferzetti, per quasi due ore l’artista si racconta a cuore aperto, alternando l’ironia alla seria riflessione sul mondo dello spettacolo e sulle attuali problematiche che lo riguardano. “Il mio primo ricordo di Pierfrancesco risale all’epoca di un corto che lo vide protagonista, intitolato ‘Baci proibiti’. Il suo volto mi si stampò nella mente, era come se l’avessi già ‘incontrato’ da qualche parte” esordisce Ferzetti, facendosi portavoce di un sentire diffuso, che ha di certo contribuito al successo dell’artista. “Sono un attore che lavora molto col corpo, che ‘impone’ la sua faccia. - ammette Pierfrancesco - Amo ciò che faccio. Fare l’attore significa avere il privilegio di scoprire quante persone possiamo diventare. Il cinema, così come la letteratura e tutte le forme d’arte, ci aiutano in questo compito. Non siamo mai ciò che la gente dice di noi, non basta una sterile foto a rappresentarci. Io non posso essere una persona sola, e non mi interessa esserlo. Nella società di oggi regnano un’ipocrisia e una paura di fondo; ma io so che tutti noi abbiamo degli istinti e, fortunatamente, svolgo un lavoro che li va a solleticare, attraverso il quale tutti possono comprendere i rischi che si corrono assumendo condotte devianti”.
Distratto per qualche attimo dai vocalizzi di un neonato in platea, Favino prosegue spiegando le origini della sua passione verso la recitazione: “Non ho scelto di farlo, l’ho semplicemente sentito. Seppur nella mia meravigliosa incoscienza di adolescente, ho sempre saputo di volerlo fare. Già da bambino ero particolarmente curioso, passavo molto tempo davanti alla televisione divertendomi a imitare tutto ciò che veniva trasmesso. Ho ereditato da mio padre l’enorme interesse per il teatro. Ricordo ancora la prima volta in cui, a soli 8 anni, andai ad assistere a una rappresentazione con mia madre e mia sorella. Mentre loro due dormivano, io osservavo ammirato. In quel momento compresi che quella sarebbe stata la mia strada”.
La grande attenzione del pubblico, visibilmente coinvolto, consente di condurre il dialogo sempre più in profondità, svelando i retroscena del suo modo di intendere la carriera cinematografica e televisiva: “Ho detto parecchi ‘no’, rifiutando di partecipare a produzioni che mi avrebbero ‘ingabbiato’. Una volta che hai fatto successo ti propongono di tutto! - rivela - Interpretare alcuni personaggi non è semplice, devi prima capire cosa e come pensano, creare una rete di associazioni che richiede grande sensibilità. Ricordo il mio incontro con la vedova Pinelli, prima delle riprese del film ‘Romanzo di una strage’. Non ho mai sudato nella mia vita come in quel momento: dovevo comunicarle che avrei interpretato suo marito, cercando di non ferire la sua emotività”.
Con la sua peculiare umiltà, irresistibile caratteristica in grado di accrescerne il fascino, Pierfrancesco commenta lo status symbol che l’ha consacrato a idolo delle donne e divo indiscusso: “Essere un divo interferisce con il tuo lavoro solo quando tu stesso ci credi fino in fondo. Io non ci ho mai creduto! - scherza - Per me è fondamentale il rapporto con il pubblico. Ogni volta che porto in scena un personaggio, cerco di farlo lasciando lo spettatore libero di interpretarlo secondo le sue idee, senza che predomini il mio mondo immaginario. Non ho mai imposto le mie emozioni, né esercitato superiorità sul mio pubblico. Io sono lo strumento, non l’oggetto”.
Quando Ferzetti lo interroga in merito alla condizione della donna in ambito cinematografico, il suo volto si fa più serio. “Sono fastidiosamente disgustato dall’aberrazione che ha investito l’immaginario femminile. - sostiene con fermezza - E’ l’energia delle donne, che stimo enormemente, a muovere il mondo. Il nostro cinema dovrebbe diffondere l’idea di una donna in grado di sussistere senza l’uomo, che non è solo nevrotica e bisognosa di attenzioni. Lo fanno già nel Nord Europa e in Spagna, è giunto anche per noi il momento di attivarci”.
Non mancano, in ultima battuta, le attesissime indiscrezioni sul suo futuro professionale: “A maggio prenderanno avvio le riprese di ‘Moschettieri del re’, una commedia di Giovanni Veronesi in cui sarò affiancato da Valerio Mastandrea, Rocco Papaleo e Sergio Rubini. Sarà uno spasso, in fondo siamo ancora dei ragazzini!”. Si guadagna un lungo e divertito applauso imitando i colleghi, poi prosegue parlando della sua avventura a Sanremo: “Non smetterò mai di ringraziare Claudio Baglioni per l’opportunità che mi ha offerto. Tuttavia, posso dire con certezza che non ci sarà una seconda volta. Penso sia giusto che rimanga un’eccezione. Mi piacerebbe vedere sul palco dell’Ariston un mio collega del mondo del cinema”.
Quando l’incontro sta per concludersi, una voce familiare si leva dalla platea. E’ Pippo Baudo, che ha assistito come un qualsiasi spettatore all’intera lezione di cinema: “Che dire di Pierfrancesco, il suo modo di lavorare mi piace tanto. E’ simpatico, umile, intelligente, colto: un connubio molto raro. Continua così, buona fortuna!”. Il pubblico non può che concordare, regalando all’attore un ultimo applauso carico di ammirazione e di sincero affetto.
Redazione Musica,Cinema,Spettacolo
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