È una piccola città stagliata nell’estremo sud della Provenza e del 131esimo arrondissement della Francia, lontana solo pochi chilometri dalle Alpi e ancor meno dalla Costa Azzurra. Un normale paesino di poco più di 140.000 anime, noto fino ad oggi per le numerose fontane (la più conosciuta, la Rotonde, situata proprio al centro della Place Charles De Gaulle), per il suo aspetto un po’ gotico ereditato da un glorioso passato (nel Medioevo giunse perfino ad essere capitale di contea) e… per essere una delle poche città francesi dove il rugby e il calcio sono meno amati del football americano: non a caso, la squadra locale di quest’ultima disciplina ha vinto per ben otto volte il “casco di Diamante”.
Eppure, quest’incantevole città da alcune ore non sta facendo parlare di sé per via del suo patrimonio architettonico, né tantomeno per la sua invidiabile posizione geografica, ma per un motivo ben più curioso: tra alcuni anni, ad Aix-en-Provence sorgerà uno dei più interessanti musei al mondo.
Dopo Barcellona, Parigi, Montecarlo, Antibes, La Coruna, Malaga e Vallauris, sarà infatti proprio la città della Provenza ad ospitare l’ottavo museo in Europa dedicato a uno dei pittori più conosciuti, più amati e più talentuosi della storia dell’arte mondiale: Pablo Picasso.
Non sarà un museo come tutti gli altri, ammesso che un museo dedicato a un simile artista possa mai esserlo. Ad Aix-en-Provence verranno infatti esposte oltre duemila opere di Picasso, quasi tutte ascrivibili ai suoi ultimi vent’anni di carriera, gli anni in cui la fama del pittore spagnolo era ormai diffusa in tutto il mondo ma la sua anima era ancora tormentata dagli orrori della guerra civile. Quadri (più della metà), ceramiche, illustrazioni, ma anche fotografie e sculture. Opere in gran parte inedite e generalmente d’ispirazione cubista, la cui lavorazione è stata indubbiamente più rapida e meno meticolosa rispetto ai lavori di gioventù proprio grazie all’esperienza acquisita dal pittore. Del resto, oltre alla qualità delle sue opere, Picasso è sempre stato noto anche grazie alla sua incredibile prolificità, che sarebbe stata quanto mai irraggiungibile senza una significativa rapidità esecutiva. In merito a questo, è interessante ricordare una leggenda che circonda Picasso al quale, ormai anziano, venne commissionato un ritratto. Egli lo dipinse nel giro di pochi minuti, sempre mantenendo quello stile astratto divenuto ormai inconfondibile. Alla fine, chiese al cliente un’elevatissima cifra in termini di denaro, al che il cliente si stupì: “Come puoi chiedermi così tanti soldi un quadro che hai impiegato così poco tempo a dipingere?”. Il pittore non si scompose, lo guardò negli occhi e rispose semplicemente: “Ho avuto bisogno di pochi minuti per dipingerlo, ma ho avuto bisogno di quarant’anni per diventare così bravo.”
In altre parole, nell’osservare le opere di Picasso non dobbiamo soffermarci solo sulla realizzazione delle stesse, bensì sull’esperienza, sulle idee e sugli esperimenti che l’artista ha compiuto per arrivare a quel livello: solo così potremo renderci conto della sua grandezza.
Certo, il talento e la tecnica da soli non sarebbero mai stati sufficienti: per l’artista spagnolo sarebbe stato impossibile realizzare delle così incredibili opere senza l’aiuto della sua musa ispiratrice, Jacqueline Roque. Francese, 46 anni più giovane di Picasso, Jacqueline era un’orfana già reduce da un precedente matrimonio terminato col divorzio. I due si conobbero nel ‘52 grazie a Madura, amico di lui e datore di lavoro di lei; non appena la vide, il pittore rimase immediatamente colpito dalla sua conturbante bellezza e, in poco tempo, riuscì a conquistarla donandole ogni giorno una rosa e disegnando sulle pareti di casa una colomba, oggetto molto amato da Picasso (se ad oggi è il simbolo mondiale della pace lo dobbiamo a lui). Il risultato? Prima di tutto il valore della casa, grazie al dipinto, salì alle stelle; secondo, tra i due scattò definitivamente la scintilla, dando inizio ad un amore al tempo stesso travolgente e passionale. Occorsero tuttavia diversi anni prima che l’affetto tra Picasso e la ceramista potesse essere rivelato al mondo intero. All’epoca del loro primo incontro, infatti, l’artista era sposato con Ol’ga Chochlova, una ballerina di origine ucraine trasferitasi a Parigi, che aveva abbandonato la passione per la danza proprio per dedicarsi a tempo pieno al suo amato Pablo. Con lei, tuttavia, lo spagnolo non aveva ormai più alcun legame amoroso da anni, non potendo divorziare solo perché le leggi dell’epoca lo rendevano estremamente complicato. Quando Ol’ga morì di cancro, com’è facile intuire, Picasso non lasciò trascorrere molto tempo prima di convolare a nozze con la bella Jacqueline.
L’unione tra i due durò fino alla morte del pittore, avvenuta nel 1973. Forse a causa della prematura vedovanza o forse a causa di problemi personali mai emersi fino in fondo, Jacqueline giunse il 15 marzo 1986 a uccidersi con un colpo di pistola. Aveva 59 anni. Venne sepolta accanto al marito, poco distante dallo Château di Vauvenargues.
È proprio nei pressi di Vauvenargues che Catherine Hutin- Blay, figlia di Jacqueline Rogue, ha comprato un ex convento con lo scopo di realizzarvi il museo di Aix-en-Provence, al quale contribuirà attraverso una serie di donazioni provenienti dalla sua collezione privata, in gran parte ritratti raffiguranti proprio la madre. Un omaggio a Jacqueline, certo, ma anche un grande atto d’amore nei confronti dell’arte. Fin da giovane, Catherine non ha mai manifestato una particolare propensione nel parlare innanzi alle telecamere, ragion per cui anche questo nuovo progetto è stato presentato con grande umiltà e discrezione. Dalle poche notizie trapelate finora, sappiamo solo che i lavori per la realizzazione dovrebbero terminare nel 2021 e che prevedranno una totale ristrutturazione dell’ex convento al fine di renderlo idoneo alla sua nuova funzione artistica.
Occorreranno anni prima che la nostra curiosità di vedere le nuove opere di Picasso possa finalmente essere saziata, così come occorreranno molti anni prima che ci venga offerta l’opportunità di comprendere quale sarà lo stile e l’organizzazione che si vorrà impartire al museo, i cui capolavori saranno tanto sublimi quanto eterogenei. Eppure, fin da ora è possibile augurarsi che i lavori di ristrutturazione procedano per il meglio e, soprattutto, che il nuovo museo non diventi semplicemente un’attrazione turistica destinata a persone incuriosite esclusivamente dalla fama del pittore andaluso, bensì un luogo capace di radunare milioni di persone in tutto il mondo, sinceramente innamorate dell’arte e bramose di osservare da vicino i lavori di un maestro capace di rivoluzionare la cultura novecentesca e di divenire una costante fonte d’ispirazione per intere generazioni di pittori.