Le sottili trecce attaccate al cuoio capelluto testimoniano la resistenza delle nonne africane che impiegavano a pianificare le fughe dalle tenute e dalle case dei loro padroni.
Le donne si radunavano nei cortili per pettinare le più piccole e grazie all’osservazione della montagna, progettavano sulle teste le mappe fatte di sentieri e vie di fuga, in modo tale da riuscire a trovare le montagne, i fiumi e gli alberi più alti.
Gli uomini quando le vedevano sapevano quali strade prendere.
Il codice sconosciuto ai padroni permise alla schiavitù di fuggire.
Cenni Storici
Nel 1619 la tratta degli schiavi ha cambiato ogni cosa, non solo strappando la libertà a milioni di persone africane, ma anche derubandole dell’identità culturale.
Viaggiare su nave per lunghi periodi di tempo faceva sì che i loro capelli diventassero crespi: gli schiavisti quindi rasavano i capelli sia alle donne che agli uomini.
Questo gesto in molte tribù sarebbe stato considerato un crimine indicibile. Per disumanizzarli ulteriormente, gli schiavisti e i mercanti definivano i capelli degli schiavi ‘lana’.
Quando agli schiavi crescevano nuovamente i capelli, gli uomini e le donne adottavano un nuovo stile dettato dalla praticità, iniziando ad acconciarli per sentirsi più comodi durante il duro lavoro nelle piantagioni.
Non avere gli strumenti e le erbe che di solito usavano in Africa per detergere e acconciare i capelli, si sono trovati costretti a usare ad altri prodotti, come il grasso di pancetta, il burro e il cherosene.
In poco tempo le trecce, più di una comodità, sono diventate uno strumento salvavita.
E così le donne, a cui generalmente veniva concesso di spingersi più lontano rispetto agli uomini, sono diventate responsabili del mappaggio delle vie di fuga.
Dato che disegnare o scrivere le indicazioni sarebbe stato troppo rischioso (e anche piuttosto complesso, con un’istruzione scarsa o pressoché nulla), hanno iniziato a ‘disegnare’ delle mappe nelle acconciature, nascondendo all’interno alcuni frammenti d’oro e dei semi per il sostentamento dopo la fuga.
Gruppo arte e cultura di Orietta Paganotti