Il Natale in questa Regione è vissuto da sempre in riti di fede collettiva e attraverso simbolismi scevri da contenuti che possano ricondursi alle origini pagane della festa.
Il Presepe
Ancora oggi è il Presepe l’espressione in cui si manifesta la cristianità e, per quanto la tradizione possa essersi nel tempo arricchita di forme diverse, esso continua a riprodurre scenari fedeli alla Natività, come descritta nei Vangeli.
Le origini sono molto antiche anche se non tutte sono documentabili. Di certo l’Abruzzo risentì molto l’eco della sacra rappresentazione voluta da San Francesco a Greccio e a tal proposito è legittimo ritenere la venuta del Santo a Penne nel 1216 sia stata motivo per proporre, anche in tale città, la celebrazione della Natività. Tale sodalizio pennese si baserebbe sulle biografie della vita del Santo di Assisi scritte da San Tommaso da Celano e da San Bonaventura da Bagnoregio.
Nella tradizione presepiale abruzzese rientrano anche le molte rappresentazioni espresse nei quadri della Natività principalmente nelle chiese e nei monasteri.
Le fonti storico documentali riportano numerose testimonianze. Un primo esemplare è il Presepe domestico allestito nella casa della nobile famiglia Piccolomini di Celano. A darne evidenza è, infatti, un Inventario del 1567 proveniente dal Castello di Celano nel quale figura tra i beni di proprietà della duchessa Costanza Piccolomini.
Notevole mistica presepiale è rinvenibile nelle sculture lignee dell’Alto Abruzzo, nelle tecniche della terracotta e della ceramica del basso Abruzzo.
Nota dissonante è la “figulina” di Castelli. Risalente alle celebrazioni etrusche degli idoli pagani in terracotta la ceramica di Castelli raggiunse il suo massimo splendore nella metà del ‘600, fino agli inizi del XIX secolo.
Il più importante esempio della scultura abruzzese presepiale è il grande Presepe di Leonessa (suddiviso su tre piani e composto di 52 statue) nella Chiesa di San Francesco.
Tra i presepi viventi d’Abruzzo è rinomato quello di Rivisondoli. Il Presepe viene rievocato il 6 gennaio in ricordo del tragico evento da cui trae origine. Fu, infatti, allestito per la prima volta il 6 gennaio 1944, anno in cui Rovisondoli e la vicina Roccaraso versarono un enorme tributo di sangue. Roccaraso, in particolare, per il fatto di trovarsi lungo la linea Gustav, fu minata dai tedeschi e fatta saltare in aria casa per casa. Molti roccolani si rifugiarono a Rovisondoli vivendo nel terrore e nella fame.
Ambientato in un suggestivo scenario pastorale naturale, il Presepe Vivente di Rivisondoli, tra i più antichi d’Italia, viene rappresentato in scene progressive fedelmente rievocative del racconto evangelico. Nella tradizione storica la figura di Gesù Bambino è impersonata dal bimbo ultimo nato del paese mentre la Madonna viene rappresentata da una ragazza estratta a sorte tra le ragazze del paese.
A Cerqueto Fano Adriano il Presepe vivente viene rappresentato il 26 dicembre, giorno in cui affluiscono nel piccolo paese (disteso alle pendici del Gran Sasso) numerosissimi fedeli attratti dalla solennità del rito in cui i figuranti (in abiti d’epoca romana) impersonano i personaggi della Natività recitando brani biblici che raccontano la Creazione. Ciascun quadro si avvicenda a partire dalla scena della Creazione in un crescendo che si snoda dalla cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre attraverso le scene dei Profeti, l’apparizione dell’arcangelo Gabriele, il Censimento, il viaggio di Maria e Giuseppe, la Nascita di Gesù, l’adorazione dei Pastori fino a concludersi con l’arrivo dei Magi guidati dalla stella cometa.
Particolarmente suggestivo è il Presepe artistico allestito, a decorrere dall’anno 1996 nei giorni dall’ 8 dicembre al 6 gennaio, all’interno delle Grotte di Stiffe (S. Demetrio dei Vestini) per la mistica atmosfera prodotta dal fiume. Nel mistico scenario prendono vita i momenti del censimento, dell’annuncio ai pastori, della Natività e della venuta dei Re Magi. Le scene, perfettamente integrate con l’ambiente, ripropongono l’evento in una cornice del tutto insolita ma di grande spiritualità collettiva.
Celebri sono anche i Presepi viventi di Pereto (AQ), Sant’Eusanio del Sangro (CH), Atessa (CH), Civitella Alfedena (CH), Bussi sul Tirino (PE) e Sant’Eusanio in cui le contrade del borgo si trasformano nella antica "Betlemme" , percorsa da fedeli adoranti in processione con torce accese, taluni muovendo dall’altura di colle Fontepaduli, altri dal colle opposto verso Castelfrentano, fino ad arrivare a illuminare la caverna ricostruita con la Sacra Famiglia, nella piana sotto il colle di Sant’Eusanio.
La Squilla
A Lanciano il Natale inizia il 23 Dicembre con la tradizione della Squilla, che ricorda il pellegrinaggio dell’arcivescovo Tasso. Questi tutti i 23 dicembre tra il 1588 e il 1607 si muoveva scalzo dal palazzo per raggiungere la chiesa dell’Iconicella. Nell’incedere scandiva i passi con una campanella, detta Squilla. Il percorso era, evidentemente, simbolico: come i pastori giungevano alla stalla di Cristo, così l’arcivescovo raggiungeva la chiesa.
Ancora oggi la Squilla, attesa da molti abitanti, è il suono che inaugura le feste di Natale
La Vigilia di Natale
Il Ceppo o tecchia
Il ceppo ( tecchia) era il tronco che, al momento della provvista della legna, veniva messo da parte per essere bruciato la notte di Natale e rimaneva nel camino ed ardeva dalla sera della vigilia di Natale sino a Capodanno.
A partire dalla sera della Vigilia di Natale fino alla notte di Capodanno tutta la famiglia è coinvolta in questo rito in cui si brucia un ceppo per giorni senza far spegnere la fiamma. Durante la preparazione il capo famiglia sistemando il ceppo nel camino recita una formula ad alta voce: "Si rallegri il ceppo, domani è il giorno del pane. Ogni grazia di Dio entri in questa casa. Le donne facciano i figlioli, le capre caprette, le pecore agnelletti, abbondi il grano e la farina e si riempia la conca di vino". Questo rituale viene svolto in diverse località con piccole varianti. Il ceppo viene messo da parte quando vengono fatte le provviste di legna per l’inverno. Il giorno della vigilia la famiglia riunita mette il ceppo nel camino pronunciando una frase di rito.
I bambini, con gli occhi bendati, dovevano battere il ceppo con un bastone recitando un canto alla Madonna del Ceppo, “Ave Maria del Ceppo” che aveva la virtù di far piovere su di loro dolci e regalini.
Sul ceppo acceso, si aggiungeva sempre altra legna che doveva bruciare lentamente per la durata di dodici giorni che stavano a significare i dodici mesi dell’anno. Il rito si concludeva mangiando dolci a base di farina. I carboni del ceppo, considerati sacri, la mattina di Capodanno venivano riaccesi nelle campagne poi una volta spenti venivano sparsi nelle zolle a scopo propiziatorio.
Nel rito dell’accensione si fondevano originariamente due elementi propiziatori: il fuoco, immagine del sole e della vita e il simbolico consumarsi del tronco, voleva significare la fine del vecchio anno con tutte le sue negatività.
Al culto del sole si è sovrapposta nella liturgia cristiana la figura di Cristo venuto al mondo per salvare l’umanità dal peccato. La cristianità si è sovrapposta alla simbologia pagana: al ceppo si aggiungono dodici pezzi di legno in memoria degli apostoli ovvero porzioni di cibo.
Le Ntosse
La notte del 24 dicembre, poco prima della mezzanotte a Santo Stefano di Sante Marie (L’Aquila) si svolge una processione con le fiaccole accese, "ntosse", che anima le vie del piccolo borgo; le torce, realizzate con querciole spaccate, riempite con stecche, o fasci di ginestre essiccate, vengono deposte davanti alla chiesa per alimentare un grande fuoco. La processione ricorda il cammino dei pastori che si recavano alla capanna di Betlemme e, in passato, quando non c’era la pubblica illuminazione, le ntosse illuminavano la strada ai fedeli che si recavano in chiesa per la messa di mezzanotte.
La Farchia di Tufillo
Un’altra tradizione è il rito della Farchia, un tronco di dimensioni notevoli (un tronco può misurare fino a 20 metri) a cui vengono aggiunti altri tronchi più piccoli fino a formare un fascio molto grande e alto, tenuto insieme da anelli di ferro.
Il pomeriggio della Vigilia gli abitanti trascinano la farchia per le strade del centro storico, dove tutti gli altri li attendono per salutare il corteo.
Il percorso si conclude nella Chiesa di Santa Giusta, dopo una pausa rifocillante. A mezzanotte, giunti al punto di arrivo, la farchia viene bruciata, il fuoco viene appiccato dal prete, nel frattempo gli spettatori intonano canti tipici del Natale.
Un altro falò famoso è quello di Nerito, in provincia di Teramo, che si accende il giorno della Vigilia e viene alimentato dagli abitanti del paese ogni giorno fino all’Epifania.
La Squije
E’ la poesia più nota della tradizione popolare abbruzzese.
La Squije
La Squije di Natale dure n’ora/
eppure quanta bbene ti sumente!/
Tè na vucetta fine, e gna li sente/
pure lu lancianese che sta fore!/
Ti vùsciche di botte entr’a lu core/
nu monne ch’à passate, entr’à la mente/
ti squaije nu penzere malamente/
nche nu ndu-lin-da-li che sa d’amore./
E da na campanelle chiù cumune/
eppure ti rifà gne nu quatrale,/
ti fa pregà di core,’n ginucchiune./
Ugne matine sone ma nen vale/
la voce de lu ciele, pé ugnune,/
chi sa pecché! … le té sole a Natale
(Traduzione)
La squilla di natale dura un’ora/
eppure quanto bene si semina!/
Tiene un bacetto fine, e lo sente/
pure il lancianese che sta lontano!/
Ti entra di colpo dentro al cuore/
un mondo che è passato entra nella mente/
ti squaglia un pensiero malamente/
non che non te lo da che sa d’amore./
Vi da una campanella più comune,/
eppure ti rifà come un bambino,/
ti fa pregare di cuore in ginocchio./
Ogni mattina suona ma non vale/
la voce del cielo, per ognuno/
chissà perché ce l’ha solo a Natale.
Il Natale in famiglia
Come per gli eventi e le tradizioni, ancor di più per la cucina, i piatti tipici di questo periodo sono diversi a seconda delle famiglie e delle zone d’Abruzzo. L’elenco sarebbe davvero lungo, quindi vi presentiamo un estratto del menù.
Un aspetto interessante della cucina natalizia in Abruzzo è la numerologia che veniva seguita da molte famiglie nella preparazione delle pietanze. In alcune case venivano cucinati 13 piatti, con numerose minestre a vase di legume e tuberi, sembra che dietro questo schema ci fosse un legame con la cabala.
Tra le pietanze della tradizione meritano di essere ricordati il brodo di carne con le pallottoline ( una ricetta che cambia in base da luogo a luogo lasciando invariati i due ingredienti principali, ossia il cardo e le pallottine), il baccalà fritto in pastella accompagnato da un buon vino (ovviamente abruzzese).
Dolci tipici sono il parrozzo, i calcionetti e il torrone.
Il Parrozzo
Il parrozzo, nato nel 1920, era un pane rozzo preparato dai contadini con la farina di granturco. Un pasticcere, Luigi D’Amico, rielaborò la ricetta e lo fece assaggiare per primo a D’Annunzio che suggerì il nome dedicandogli le storiche strofe
"E’ tante ’bbone stu parrozze nove che pare na pazzie de San Ciattè, c’avesse messe a nu gran forne tè la terre lavorata da lu bbove, la terre grasse e lustre che se coce . . . e che dovente a poche a poche chiù doce de qualunque cosa doce ... "
I calcionetti
Sono dolci (a base di marmellata, uva, ceci e castagne) solitamente destinati ad essere donati.
Il torrone
Il torrone abruzzese tipico è quello tenero al cioccolato, caratterizzato da un impasto morbido a base di miele, albume, zucchero, cacao e nocciole tostate.
Fonti: Mirella Pontuti, "Il Presepe in terra d’Abruzzo", in Colonnella frammenti (a. 6, n. 4, dicembre 1999, p. 31). Candido Greco, "Rievocazione del presepe di Greccio" (Copione, Penne, Tipografia Cantagallo, 1998
Redazione
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