È passata poco più di una settimana dal sanguinoso attacco jihadista che ha scosso gli animi degli austriaci e dell’Europa intera, già provati dall’emergenza sanitaria in corso. Il Covid ha tolto la scena al ritorno del terrorismo, anticipato dai multipli attentati registrati in Francia a fine ottobre; ma l’Austria, che sembrava essere uscita indenne dall’incubo Isis scoppiato alcuni anni orsono, non dimentica il fendente che le è stato sferzato, temendo un possibile accanimento da parte di estremisti evidentemente ben mimetizzati tra le maglie della società. La controffensiva d’Oltralpe è sintetizzata nelle ultime dichiarazioni rilasciate dal cancelliere Sebastian Kurz durante una conferenza stampa ufficiale: “Istituiremo il reato di ’Islam politico’ per poter procedere contro coloro che non sono terroristi, ma che creano loro il terreno fertile”.
Di che si tratta, concretamente? Di un “approccio robusto in tutta Europa contro i foreign fighters, che sono semplicemente una bomba a orologeria e quindi una minaccia per le nostre società. - specifica Kurz - Finché non saranno de-radicalizzati e anche se avranno scontato la loro pena, creeremo la possibilità di rinchiudere queste persone per proteggere la popolazione". Si parla dunque di detenzione a vita (o sorveglianza elettronica perenne) per chi dovesse rendersi colpevole di atti di matrice estremista, di revoca della cittadinanza austriaca ai condannati, di possibili interventi sui luoghi di culto considerati “focolai” di infiltrazioni criminose e di una sostanziale riduzione dei “flussi finanziari a sostegno del terrorismo”. Il tutto coordinato da un’apposita Procura, che potrebbe essere istituita proprio in vista delle tante indagini preventive da condurre. Il pacchetto di riforme annunciato attende di essere discusso in Parlamento il mese prossimo, ma già sembra lenire le ferite di una collettività colpita nel proprio punto nevralgico, l’accogliente e tranquillo centro di Vienna.
L’auspicio è che tali provvedimenti possano rivelarsi risolutivi, garantendo al contempo una pacifica convivenza tra i diversi gruppi etnico-religiosi che popolano la Repubblica d’Austria; tuttavia, con un pizzico di sano realismo è facile credere che possano esitare in un’azione palliativa, o poco più. Molto dipende dal livello di minuziosità e accuratezza con cui saranno gestite le indagini, senza mai oltrepassare la sottile linea che divide le normali attività di prevenzione da inutili (e pericolose) stigmatizzazioni. Ricordiamo che l’attentatore dello scorso 2 novembre, Kujtim Fejzulai, era già stato intercettato dalle autorità e condannato per terrorismo, salvo poi essere rilasciato il 5 dicembre 2019 per la buona condotta e il pentimento mostrato, favorito dalla sua giovane età. Lo stesso ministro dell’Interno austriaco Karl Nehammer ha poi svelato la beffa messa in atto dallo jihadista di origine macedone ai danni dell’intelligence: “È riuscito a ingannare il programma di de-radicalizzazione e le persone che lo gestiscono".
A tali complicazioni - che (forse utopicamente) potrebbero risolversi con un’attenzione più capillare e con provvedimenti più restrittivi da parte degli inquirenti – si aggiunge una realtà spesso sottovalutata, che agisce silenziosamente covando un potenziale a dir poco esplosivo. Stiamo parlando delle cellule terroristiche che trovano origine e si sviluppano negli angoli più remoti della rete Internet, il tanto famigerato Dark Web, il cui accesso è garantito solo previo possesso di specifici software, configurazioni e codici segreti. Una vera e propria “isola felice” per tutti coloro che desiderano eludere qualsiasi controllo, tramando nell’ombra anche i più scellerati piani di distruzione senza interferenza alcuna. La colonizzazione del Dark Web è stato un passaggio adattivo, quasi obbligato, per i fondamentalisti islamici: il reclutamento di adepti via web ordinario e sui social network è subito naufragato a causa dei massicci interventi governativi nel campo della cybersecurity, ragion per cui si è reso necessario il trasferimento delle attività in uno spazio protetto e nascosto. Proprio nell’esplorazione di tali territori impervi, dunque, potrebbe risiedere la chiave di volta per l’eradicazione di un male che affligge l’Europa (e non solo) da tanto, troppo tempo.