La dittatura cinese e i suoi sottoposti all’interno del sistema di Hong Kong colpiscono ancora. E, questa volta, colpiscono durissimo. Dodici attivisti pro democrazia di Hong Kong, tra cui Joshua Wong (uno dei leader fondamentali delle recenti proteste contro la dittatura cinese), hanno ricevuto la lettera di squalifica dai funzionari elettorali e non potranno correre alle elezioni di settembre per il rinnovo della LegCo, il piccolo parlamento locale, che (serva a capire la portata enorme dell’esclusione dei candidati suddetti) è composto da 70 membri, di cui solo 35 eletti direttamente. Wong ha affermato che questo provvedimento mostrerebbe un “totale disprezzo” per Hong Kong e per la volontà degli abitanti. “La Cina calpesta così l’autonomia della città e tenta di mantenere il potere legislativo della città sotto controllo. Questa è la più grande repressione di sempre sul movimento democratico della città”, ha proseguito il giovane attivista.
La motivazione addotta per l’esclusione di Wong riguarda la sua aspra critica alla “legge sulla sicurezza” introdotta poco tempo fa a Hong Kong, che, di fatto, strangola l’autonomia della città.
Una mossa subdola, questa della Cina, che arriva nel tentativo disperato di reprimere la chiara volontà dei cittadini di Hong Kong (del resto, chi mai vorrebbe passare di sua sponte da un sistema democratico a una dittatura comunista?), manifestatasi nella clamorosa affluenza alle primarie dei partiti pro-democrazia, che, pur non essendo state ufficialmente autorizzate e nonostante l’emergenza Coronavirus, avevano visto la partecipazione di oltre 600mila elettori su 7 milioni di abitanti: come se alle primarie di un partito italiano si presentassero 6 milioni di persone.
Proprio Joshua Wong era stato il candidato con più preferenze, toccando quota 30mila. Tra l’altro, alle precedenti elezioni amministrative (da non confondersi con quelle legislative in vista) tenutesi lo scorso novembre, i partiti anti-Pechino avevano ottenuto un risultato forse ancora più netto, conquistando il 90%. La governatrice di Hong Kong, Carrie Lam, è però di fatto un organo del governo cinese. Per quanto ancora Pechino potrà tenere sotto la sua morsa una popolazione che ritiene palesemente illegittimo questo controllo? Difficile a dirsi. Joshua Wong, però, di una cosa è certo: “Non ci arrenderemo. La nostra resistenza continuerà e speriamo che il mondo possa stare con noi nella prossima battaglia”.