“TOLO TOLO” DI ZALONE

Ma vi è davvero piaciuto?

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In Cado dalle nubi lo abbiamo visto nei panni di un’artista che da un paesello della Puglia emigra nel nord Italia facendosi aiutare dal cugino gay nella ricerca del successo; nel film Che bella giornata (record italiano di incassi al cinema durante i primi giorni di proiezione)interpretaun ragazzo che si fa raccomandare per trovare lavoro, mentre s’innamora di una mussulmana; in Sole a catinelle (anche questo è record di incassi),è un agente di commercio squattrinato, maschilista, cacciato di casa dalla moglie e con un figlio adolescente da educare; Quo vado? invece, è la pellicola della consacrazione (65,3 milioni di incasso, secondo dietro Avatar per soli 300 mila euro) in cui interpreta il ruolo di un dipendente pubblico attaccato, sin da bambino, all’assioma che “il posto fisso non si lascia” (mai!, ndr). Diversità di genere e religiosa, machismo e stereotipo dell’italiano medio, sono tutti temi trattati nei film interpretati, tra il 2011 e il 2016, da Luca Medici in arte Checco Zalone. Tutte interpretazioni che, oltre al denaro, gli hanno permesso di ottenere una strabiliante notorietà, facendolo diventare personaggio pubblico nazionale.

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E di lui, in questi mesi e giorni, si è discusso molto; anche se in queste ore, a mio parere, senza quell’entusiasmo che ha sempre accompagnato i suoi film fino all’ultimo giorno di programmazione nelle sale. Dal primo dell’anno, è nelle sale cinematografiche Tolo Tolo, quinto film in carriera per l’artista barese. La pellicola, in cui Luca Medici è regista, attore protagonista e co-sceneggiatore insieme a Paolo Virzì, è stata molto discussa e criticata ancor prima di arrivare al cinema. Nonostante l’assenza di una sinossi nel trailer pubblicitario, a far storcere il naso di qualche radical-chic, è stato il tema del film di Zalone: l’immigrazione. Trattato secondo alcune voci del mondo della cultura e anche della politica, in maniera fin troppo superficiale, anzi, addirittura con un piglio razzista. Quella dell’immigrato è una freccia che mancava nella faretra del poliedrico artista cine-televisivo. Una freccia che è stata scoccata in un periodo storico socio-politico del nostro paese, diviso tra piazze da cui si levano slogan fascisti e grida di protesta (pacifica) per una politica trasparente, costruttiva e dai toni non violenti, all’indomani di chi chiedeva istituzionalmente la chiusura dei porti alla massa migratoria dal nord Africa.

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Vi starete domandando: come può una commedia cinematografica sollevare un polverone mediatico di siffatta portata? Laddove la politica non riesce a suscitare interesse su di un argomento così scottante e una riflessione pacata e ponderata degna di attenzione da parte dei cittadini (o degli elettori a ragion veduta, ndr), arriva la satira che, spesso nell’ultimo decennio, si è sostituita più che mai alla politica. Pierfrancesco Zalone, detto Checco, è un imprenditore pugliese che fugge dai creditori dopo il fallimento del ristorante Giapponese aperto a Spinazzola (ridente località dell’Alta Murgia) dopo aver rifiutato il reddito di cittadinanza. Si rifugia in Africa e inizia a lavorare come cameriere in un resort per ricchi occidentali; ma gli attacchi terroristici di matrice islamica, lo costringono a intraprendere, suo malgrado, il viaggio di ritorno in Italia seguendo la rotta dei migranti economici e politici africani. E durante le traversie del viaggio viene fuori il suo alter ego dall’animo fascista che “solo l’amore può aiutare a sconfiggere”.

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Tolo Tolo, dopo nove giorni di proiezione, ha incassato 36 milioni di euro non eguagliando, però, Quo Vado? che con gli stessi giorni ne incassò 46.Anche se Zalone ci ha abituati a un genere di film in cui ogni gag o battuta è stata studiata a tavolino per sortire l’effetto di una risata immediata, questa volta lo spettatore deve sedersi in platea con la convinzione di assistere a qualcosa di quasi diverso dal solito. Non è un capolavoro e neanche un film minimamente trascendentale. E, sinceramente, non fa neanche ridere. Al netto delle battute e di alcune immagini tragicomiche, ci sono alcune scene che riescono a strappare il sorriso dello spettatore, altre, invece, in cui si passa dalla retorica di una recitazione fine a sé stessa alla morale di ciò che è giusto e sbagliato. Sia ben chiaro che il cliché di questa nuova pellicola zaloniana è più o meno sempre lo stesso: il protagonista è, ancora una volta, un individuo cafone e ignorante che da goffo latin lover cerca di conquistare la malcapitata di turno. Ciò che manca in Tolo Tolo, purtroppo, è quella risata fragorosa che esce immediata dalla pancia di tutto il pubblico in sala dopo una battuta rimasta nella testa per un istante. Il film da lui diretto, manca, altresì, di sostanzialità ed è lacunoso nella sceneggiatura.

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E qui si fa sentire l’assenza di Gennaro Nunziante, sceneggiatore e regista delle pellicole precedenti. Non ti lascia alcun ricordo o emozione se non per la battuta in cui Pierfrancesco Zalone detto ‘Checco’, pervaso dai rigurgiti del ventennio e con la voce di Benito Mussolini che gli ottunde la testa, a chi gli dice che “abbiamo tutti il fascismo dentro, con lo stress viene fuori” -risponde - “come la candida”. La parte a cartoons è davvero da dimenticare e la scena finale, inoltre, ti lascia con il fiato sospeso non per la suspense, bensì per una conclusione che ti fa uscire dalla sala con l’espressione in volto di perplessità per il tentativo malriuscito di far arrivare il messaggio (almeno così credo, ndr) che i diritti umani di uguaglianza, solidarietà e integrazione non fanno parte del DNA di tutto il popolo italiano e che alla piaga dell’immigrazione non c’è ancora una vera soluzione. E al sottoscritto, è rimasto anche il dubbio se a Checco Zalone non fosse ancora arrivato il momento di lasciare Nunziante e di mettersi a fare il regista. Andate al cinema e provate per credere, perché ogni giudizio è puramente personale.

(Foto di MAURIZIO RASPANTE: si ringrazia)

Umberto De Giosa

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