“STORIA DI STORIE DIVERSE” - XXX

Insegnanti di sostegno allo specchio: la disabilità tra difficoltà e gratificazione

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cms_19926/Foto_1.jpg“Storia di storie diverse”, ovvero storie di alunni disabili, persone con caratteristiche speciali, con limitazioni visibili ed innegabili potenzialità.

Il loro percorso scolastico, le difficoltà incontrate e quanto sia ancora difficile oggi parlare di integrazione nella scuola italiana.

Si affronteranno anche problematiche più generali del sistema scolastico da una visuale privilegiata, quella di chi lavora al suo interno.

Nella scuola della didattica a distanza gli insegnanti sono sottoposti a processi stressogeni con esiti anche patologici. Lavorano male da mesi, avvertendo una pressione e un nervosismo insostenibile che si somatizzano, per moltissimi di loro, in forti emicranie, disturbi del sonno ed altri disturbi legati all’ansia.

Chi insegna svolge un ruolo delicato, dovrebbe potersi giovare di una situazione di maggiore calma, considerato quanto sia difficile gestire un’intera classe per diverse ore di seguito. Nessuno si rende conto di come stiano gli insegnanti dopo tanti mesi di didattica a distanza e sono tutti, indistintamente, nella stessa condizione. Sono abbattuti, per non dire disperati quando le scuole vengono chiuse perché il loro lavoro si complica moltissimo e la preparazione delle lezioni diventa molto più difficile e soggetta a tanti imprevisti di tipo tecnico.

Gli insegnanti chiedono solo di poter svolgere il proprio lavoro come hanno sempre fatto, in presenza, perché non si educa a distanza.

Si parla di sindrome del burnout, parola di origine inglese che letteralmente significa crollo, esaurimento, surriscaldamento e che dà chiaramente l’idea di ciò di cui si sta parlando, ovvero una condizione di stress provato sul lavoro che sta determinando un logorio psicofisico ed emotivo con vissuti di demotivazione, di delusione e disinteresse.

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Tanti insegnanti, a partire dal marzo scorso, hanno stentato a riconoscere il proprio lavoro, si sono demoralizzati ed hanno vissuto una situazione di reale disagio per il fatto di non poter più svolgere il loro lavoro come erano abituati a fare. È come se la loro dignità pedagogica fosse venuta meno, come se qualcuno avesse fatto a pezzi il legame con il loro lavoro. La didattica a distanza è una grande farsa, organizzata totalmente senza mezzi, che serve a tenere pulite le coscienze di chi ci governa affinché non si dica che vi sia stata un’interruzione del servizio educativo.

Se le reti scolastiche possono sostenere un numero minimo di collegamenti, compresi quelli degli uffici amministrativi, come si può pretendere che tanti insegnanti stiano a scuola e si colleghino contemporaneamente, mentre magari c’è il disabile che sta avendo una crisi nell’aula e altri colleghi entrano ed escono, compresi insegnanti di sostegno ed educatori? Può una persona fare lezione in queste condizioni davanti a venti piccole faccine, con continue interruzioni e alla ricerca disperata di una connessione che non c’è?

Questa è scuola? Didattica a distanza con i giga degli smartphone degli insegnanti malpagati? Per non parlare dell’ultima proposta del nostro governatore Emiliano: didattica mista. Chi vuole può andare a scuola chi non vuole rimane a casa. Scuola on-demand, a richiesta, a scelta.

Ci sarà quindi una differenza tra chi desidera far ammalare i figli e chi penserà che è meglio lasciarli a casa? Ma quanti bambini si ammalano realmente nella scuola primaria, e perché scaricare una scelta di tutela della salute pubblica sui genitori piuttosto che assumerla da governanti in carica?

Facile mascherarsi dietro la difesa del diritto alla salute mostrandosi preoccupati della sua tutela a discapito del diritto all’istruzione.

I servizi territoriali funzionano in Puglia? I bambini che entrano in contatto con casi sospetti rimangono giorni e giorni a casa senza poter rientrare a scuola. È una politica che deve coprire le proprie inadempienze e che lo fa senza scrupoli, insinuandosi tra i bisogni delle persone.

Ma come fa un insegnante, che deve gestire un’intera classe di bambini piccoli, anche disabili, a fare contemporaneamente lezione in classe e lezione a chi decide di rimanere a casa? Il docente ha bisogno di spostarsi dal computer, deve scrivere alla lavagna, passare tra i banchi, distribuire le schede, seguire gli alunni anche singolarmente. Le classi non sono ancora organizzate stile Grande Fratello.

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L’imposizione della didattica a distanza tutto è tranne che scuola. Quando essa coinvolge alunni disabili, poi, è un qualcosa di assolutamente impensabile.

Negli ultimi giorni ho vissuto anche io momenti di scoraggiamento e di demotivazione, soprattutto quando il presidente Emiliano ha chiuso le scuole primarie consentendo, però, la frequenza agli alunni più fragili e svantaggiati.

È un avvenimento che non potrò dimenticare mai. La mia scuola, così come altre, si è trasformata in una scuola speciale frequentata esclusivamente da alunni disabili e dai loro insegnanti che, peraltro, secondo le più recenti statistiche, hanno il doppio delle possibilità di ammalarsi.

Per fortuna questa situazione è durata solo poco più di una settimana per volere né nostro, né del dirigente ma del nostro governatore che, con le sue disposizioni, ha di fatto isolato i disabili a scuola. Molti genitori sono rimasti letteralmente basiti di fronte a questa scelta pedagogicamente offensiva, una scelta che stigmatizza, rimarca la diversità dei loro figlioli. Per questa ragione, alcuni di loro si sono rifiutati di accompagnarli a scuola.

Irene - nome di fantasia - ha avuto reazioni violente, terribili e non contenibili non vedendo più i suoi compagni e quel microcosmo di contatti che costituiva la sua socialità. Mi sono sentita in grandissima difficoltà e non capace di gestire questo lunghissimo tempo giornaliero da dover trascorrere con lei perché Irene non voleva fare più nulla ma piangeva, dicendo continuamente di voler tornare a casa. I suoi comportamenti sono imitativi: lei stava seduta perché vedeva tutti seduti, studiava perché vedeva che gli altri lo facevano e a un certo punto si è trovata in una scuola e in un’aula completamente vuota.

Oltre quarant’anni di buone pratiche di integrazione buttati al vento da un’ordinanza regionale. Le scuole speciali, quelle che come i manicomi, raggruppavano e ghettizzavano gli storpi, gli idioti e via dicendo per allontanarli dalla società, sono tornate nel 2020. È stato un incubo allucinante che per fortuna si è concluso grazie all’intervento del Tar di Bari, che non ha ritenuto l’ordinanza regionale affine a quanto impartito dal Dpcm. Vedere stare così male questi bambini per una causa non loro né nostra è stato molto pesante da un punto di vista psicologico per noi insegnanti che ci battiamo per la loro inclusione.

Vincenza Amato

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