IL "PENSIERO DEBOLE" IN PIER ALDO ROVATTI

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Che cos’è il pensiero debole? “C’e’ qualcosa di transitorio e di intermedio nell’espressione ‘pensiero debole’. Esso si situa provvisoriamente tra la ragione forte di chi dice la verità e l’impotenza speculare di chi contempla il proprio nulla”. (Pier Aldo Rovatti)

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Per quanto riguarda l’”Italian theory”, stiamo assistendo alla fase embrionale di un nuovo protagonista della scena filosofica italiana e internazionale? Ci troviamo finalmente dinanzi ad uno “stile di pensiero” capace di restituire alla filosofia, e all’impegno politico, un contatto reale con i bisogni umani radicali e con i problemi pratici della vita? O si tratta piuttosto dell’ennesima operazione di marketing filosofico, incuneata tra la militanza veteromarxista e l’accademia? E quale ruolo ha avuto il “pensiero debole” nell’ambito dell’”Italian Theory”?

Il gioco come strumento etico-politico in Rovatti

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L’”Italian Theory” torna oggi a interrogarsi sull’apporto fornito da Rovatti a partire dall’ opera, edita nel 1983 e realizzata assieme a Gianni Vattimo, “Il pensiero debole”, che ha avuto una ricezione e un’influenza decisive sul dibattito filosofico italiano ed estero.

Rovatti ritiene che non esista una specificità nazionale del pensiero italiano, però che sia sensato dire che in Italia ci sia, e ci sia stata, una ricezione originale e autonoma di alcuni importanti autori francesi etichettati come “post-strutturalisti”. Lo stesso Antonio Negri, nel suo “Impero”, attinge ampiamente da due autori simbolo di quella stagione culturale come Foucault e Deleuze. Anche Roberto Esposito lavora molto con autori francesi -Bataille, Foucault, Derrida, Deleuze-, rielaborandone gli strumenti concettuali con originalità.

cms_29243/3v.jpgNel libro “Italian theory, dall’operaismo alla biopolitica”, Dario Gentili costruisce un’affascinante genealogia storico-politica di questo nascente “stile di pensiero”. Il libro di Gentili chiama in causa molti tra i più importanti intellettuali italiani “impegnati” del secondo Novecento, collocandoli rispetto alla nascente Italian theory.

L’elemento chiave che pare collegare le eterogenee posizioni di tanti diversi autori sembra essere la comune attenzione per la politica e in alcuni casi per la lotta militante, in cui vengono maneggiate e coordinate le nozioni di politica e di conflitto.

Per quel che concerne la lotta politica, avvicinare il “concetto” di lotta e quello di gioco puo’ essere un’operazione utile, per riuscire ad avvicinarsi gli aspetti più spiacevoli e inosservati della realtà sociale italiana. Nella parola “conflitto”, osserviamo come indebolire la verità significa combattere la intrinseca violenza teorica presente nella dominante “politica della verità”.

Si tratta di un compito etico-politico che si esplica nel quotidiano, proprio in quel quotidiano in cui ci facciamo sempre più piccolo borghesi. Oggi – secondo Rovatti - l’autore irrinunciabile di ogni pensiero che si pretenda politico, insieme a Marx, resta Friedrich Nietzsche, perché rimette incessantemente in questione la storicità e la politicità delle verità che dominano la nostra società come elemento fondamentale, e non marginale, della lotta politica.

cms_29243/4.jpgNel concetto di gioco Rovatti intravvede uno strumento etico-politico cruciale, che può permetterci di reinventare una lotta e un’etica in grado di essere veramente alternative rispetto al discorso del capitalista, uno strumento che ci consente di riconsiderare in chiave politica tutta una serie di pensatori che non si sono mai lasciati omologare da alcuna ideologia: Lacan, Foucault, Bataille, ma, più e prima di tutti, come abbiamo visto, Nietzsche.

Si tratta di cambiare il modo con cui giochiamo al gioco della verità. Anche per questo è necessaria una lotta, che è genuinamente politica. Il concetto di gioco può aprire uno spazio di libertà, insieme ironico e doloroso, in cui praticare l’esperienza critica -e autocritica- della storicizzazione di ogni verità.

Se non si vuole scoprire di essere parte integrante del meccanismo stesso che si pretenderebbe filosoficamente e politicamente di combattere, questo nuovo “stile di pensiero” dovrebbe esercitare un’attenzione critica -e autocritica- costante rispetto alla questione del soggetto, problematizzandola senza paura della sua storicità, attualità e politicità.

Problematizzare la soggettività

È necessario non smettere di problematizzare la soggettività, che è, come la verità e il gioco, una questione politica. L’esperienza critica del pensiero debole puo’ dunque rappresentare uno strumento critico, valido ed importante, a disposizione del pensiero italiano.

cms_29243/5.jpgIl “pensiero debole” viene accusato di disimpegno, di impoliticità, ripiegato su posizioni filosofeggianti e marginali, come leggiamo nel saggio di Negri “The italian Difference”, che definisce l’esperienza del pensiero debole come “l’episodio più vile del declino novecentesco”.

In effetti, Toni Negri, partendo dal “pensiero forte”, ritiene che la critica non debba sconfinare nell’autocritica.

A questa accusa di disimpegno politico e di viltà si aggiunge anche la più tradizionale accusa etico-morale di relativismo e nichilismo.

Ma, secondo Rovatti, qual è la posta in gioco etico-politica del pensiero debole e qual è la direzione che ha preso, in questi ultimi trent’anni, il “pensiero debole”?

Se Gianni Vattimo ritiene che la vocazione politica del pensiero debole sia quella di svolgere, nella società, un ruolo emancipatorio in grado di dare vita addirittura ad una nuova koinè culturale, anche Rovatti ritiene che il pensiero debole sia emancipatorio.

Ma in che senso?

cms_29243/6.jpgFin dagli anni Sessanta il soggetto e la soggettività si delineano come una questione essenzialmente politica. Il pensiero debole, nelle intenzioni di Rovatti e Vattimo, è la denuncia di quella violenza teorica le cui ricadute pratiche e politiche si perpetrano attraverso quell’affilatissima arma politica che è la Verità, la verità oggettiva, morale, scientista, utilitaria, rivoluzionaria o contro-rivoluzionaria.

Il pensiero debole è un modo di combattere la violenza implicita, e le lusinghe, di tutte le verità che si pretendono assolute. Il pensiero debole è il pensiero anti-ideologico. Oggi tutti vogliono essere anti-ideologici, ma non basta un’autocertificazione per essere antiideologici: per dar prova di essere anti-ideologici bisogna smontare e criticare i concetti di cui si dispone.

Questa è la pratica politica del pensiero debole: la messa in crisi delle certezze -anche delle proprie- in filosofia come in politica. In Italia, al di là di singoli intellettuali, come Giorgio Agamben, Umberto Eco o Roberto Esposito, un vero e proprio “movimento di idee” di risonanza internazionale, dopo il “pensiero debole”, non si è ancora delineato.

Per una nuova proposta politica

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C’è da chiedersi a quale “soggetto”, collettivo o individuale, si puo’ indirizzare una nuova proposta politica? Come può un cosiddetto “filosofo”, oggi, assolvere all’obbligo etico e autocritico di includere se stesso nella critica che rivolge alla società?

Non è forse vero che, marxianamente, l’intellettuale non è altro che un effetto sovrastrutturale proprio di quella società che si affanna a criticare e moralizzare?

Se l’umanità è una totalizzazione, tanto vale affrontarla criticamente. Se il ruolo dell’intellettuale non è quello dell’eroe morale che arringa la società e la politica, egli non è neppure il servo o il consigliere dei potenti, né l’intellettuale organico al partito, secondo Gramsci, né il “funzionario dell’umanità” secondo Husserl. Al contrario, egli è un soggetto impegnato in un esercizio quotidiano, e più umile, di autotrasformazione, un esercizio fatto su di sé, le cui ricadute politiche e filosofiche sono incidentali.

Non sono più i tempi della “doppia società”, quella di cui parlava Alberto Asor Rosa, che ci ha lasciati da poco: questa è la società realizzata della mutazione antropologica diagnosticata da Pasolini. È a partire da qui che bisogna reinventare le lotte e le strategie di pensiero. La questione rimane aperta.

Bibliografia

Pier Aldo Rovatti, professore di Filosofia contemporanea all’Università di Trieste, è stato allievo di Enzo Paci a Milano e ha vissuto sin dagli anni Sessanta l’esperienza della rivista “aut aut”, di cui è direttore dal 1976.

“IL pensiero debole”, a cura di Gianni Vattimo e Pier Aldo Rovatti, testi di Amoroso, Carchia, Comolli, Costa, //Crespi, Dal Lago, Eco, Ferraris, Marconi, Rovatti, Vattimo, Feltrinelli, 1983

Marta Frascati-Lochhead, “Nihilism, Technology and Religion. An Interpretation of Gianni Vattimo”, a philosophy lecture at the Italian Cultural Institute, November 19th, 1996, Vancouver, BC (Canada)

Dario Gentili, “Italian theory: dall’operaismo alla biopolítica”, Il Mulino, 2012

Antonio Negri, “La differenza italiana”, Nottetempo, Roma 2005, “The Italian Difference di Antonio Negri”, in, Cosmos and History: The Journal of Natural and Social Philosophy, Vol 5, No 1 (2009)

Gabriella Bianco

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ANTONELLA GIORDANO

Comincia con questo articolo su Pier Aldo Rovatti, coautore del pensiero debole con Gianni Vattimo, un percorso che condurrà i lettori all’Italian Theory e ai suoi protagonisti. Approfondendo la filosofia italiana, potremo comprendere quanto essa non sia astratta ma, piuttosto, una nuova strada nella ricerca della Verita’ che si risolve nella messa in crisi di qualsiasi certezza. Un’occasione -in epoca di fake news - importante per riflettere....
Commento del 15:55 03/02/2023 | Leggi articolo...



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