VITA DI VITTORIO EMANUELE III - (Aldo Alessandro Mola)

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cms_30278/00.jpgIl corposo - eppur di agile lettura- volume di Aldo A. Mola “Vita di Vittorio Emanuele III 1869-1947) - edito da Bompiani , non è soltanto la storia del Sovrano, ma anche della Dinastia Sabauda, descritta nelle grandi linee attraverso i suoi tratti essenziali.

E’ raro leggere un libro che sia insieme di storia e di politica, che si presenta con uno stile fluido e coinvolgente, tale da renderlo accessibile anche al Lettore comune, con l’interesse avvincente di un romanzo ed il rigore di una cronaca che appare in controtendenza con le fin troppo numerose vulgate acriticamente e tout court demolitrici della figura Re-Soldato.

Nel delineare il profilo psicologico del protagonista, l’A. scrive che fu e rimase un modello di riservatezza, spinto fino all’impenetrabilità, sin dalla giovinezza:“Vittorio Emanuele III affettuoso ed espansivo in privato, sorridente anche in cerimonie pubbliche, fu e rimane emblema tragico dell’Italia del Novecento, che pesa sull’Italia odierna. Perciò va conosciuto e capito”.

Fu personalmente agnostico ed al contempo rispettoso di tutti i culti; borghese secondo alcuni e socialista secondo altri. Fu tanto ostile alla clericalizzazione della vita pubblica, quanto rispettoso nei riguardi della Chiesa di Roma e delle Confessioni religiose in genere. Tale suo intimo sentire, non “non ebbe bisogno di suggerimenti massonici nelle decisioni assunte il 28-29 ottobre 1922”.

Venne definito “Re soldato” durante la Grande Guerra, e paradossalmente”Re fellone e fuggiasco” da coloro che lo criticarono sul finire del secondo Conflitto mondiale.

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Costantemente disponibile al confronto con ogni orientamento politico, filosofico o religioso, volentieri ascoltava, osservava, suggeriva, esaminava con attenzione la corrispondenza, e si documentava con speciale interesse su tutto ciò che riguardasse la promozione del progresso scientifico ed agricolo.

Emblematico del suo intenso impegno per l’elevazione delle masse anche attraverso la cultura, fu -tra gli altri- il discorso pronunziato il 24 marzo 1909, dove sostenne la diffusione dell’istruzione popolare, l’aggiornamento della didattica della scuola media ed il progresso della formazione universitaria, dalla qual ultima molto si attendeva per l’elevazione della cultura e della civiltà dell’intera nazione.

Con il desiderio di un sempre più intenso, ideale colloquio tra la massima Istituzione dello Stato ed il Popolo, dispose l’apertura del Quirinale al pubblico ogni giovedì e domenica dalle 13 alle 16, per tutti i visitatori che lo desiderassero.

Un ampio capitolo del Mola è dedicato al Regio Senato ed alle mire del Fascismo contro tale Istituzione, che peraltro rimase “forte della lettera dello Statuto e del proprio Regolamento”.

V.E. III non agì mai per impulsi personali, coltivando- viceversa- “propositi più di uomo che di Sovrano, e di uomo bene informato di tutte le cose”.La sua vastae poliedrica cultura abbracciava il campo economico, come quello amministrativo: già fin dal suo primo discorso alle Camere affermò la necessità che gli impiegati pubblici avessero uno stato giuridico che li ponesse al riparo “dall’arbitrio o dal favore”.

In ambito personale, coltivò la filatelia, la numismatica, la letteratura e la scienza, costantemente desideroso qual era di una conoscenza multiforme, contestuale ad una sempre più ampia promozione del sapere a tutti i livelli.

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Nel campo della politica estera, il Sovrano si manifestò sin dai primi venti anni del nuovo secolo particolarmente attivo, finanziando l’irredentismo ed impegnandosi personalmente per l’Accordo di Londra del 1915, con la conseguente entrata in guerra dell’Italia contro la Triplice Intesa.

Un significativo approfondimento è dedicato alla vita del Re nel castello di Racconigi, particolarmente affidabile sotto il profilo della sua personale sicurezza e di illustri ospiti come lo Zar, divenendo così tale residenza una sorta di “seconda capitale del Regno” posta al centro della Provincia Granda (Cuneo).

Il libro sulla vita di Vittorio Emanuele III, trascende ampiamente gli aspetti puramente privati del Sovrano, fornendo un’ampia disamina della politica interna ed estera, con specifici spazi dedicati alle elezioni cresciute in rappresentatività grazie all’allargamento del suffragio, alle vecchie e nuove forze politiche in campo; alle vicende belliche dalla guerra di Libia; al primo conflitto mondiale.

Larghi spazi sono riservati –né poteva essere altrimenti- anche alla figura di Giolitti, oggetto di vasti ed approfonditi studi specialistici del Mola, data la necessaria e costante interlocuzione istituzionale tra quest’ultimo ed il Re fino allo scoppio della Prima guerra mondiale, dal qual momento - avverte l’A.- “L’ Italia voltò pagina … Finì l’ era vittorioemanuelgiolittiana e ne iniziò un’altra, sotto il segno della militarizzazione e di una serie di misure che da allora in poi limitarono drasticamente la libertà dei cittadini”. Furono le premesse del prevalere della piazza sulle Istituzioni: un demone che avrebbe agevolato l’avvento del Fascismo.

Un ampio capitolo è dedicato alla guerra alla Germania, oggetto di iniziali perplessità ed avversata dal Presidente del Consiglio Salandra. Alla fine del conflitto, si verificò una strisciante guerra civile nel nostro Paese, assai provato moralmente, politicamente ed economicamente. Il Re nel Discorso della Corona del 1° dicembre 1919 dichiarò, peraltro, che l’Italia non aveva voluto la guerra e che sentiva il bisogno di “dirigere tutti i suoi sforzi verso opere di pace

L’instabilità dal primo Dopoguerra fu caratterizzata da “un eccesso di violenza sovversiva- parole di De Nicola del 3 aprile 1924 -a fronte della quale il senso e l’intuito del Capo dello Stato (V.E. III) risparmiarono una guerra civile, le cui conseguenze sarebbero state gravissime […]E’necessario rilevare ancora una volta che invece di costruire un Governo al di fuori del Parlamento o addirittura contro il Parlamento, come la Marcia su Roma faceva temere, l’onorevole Mussolini costituì un Ministero che, pur avendo l’impronta del Partito vincitore, raccoglieva i rappresentanti di tutti i Partiti costituzionali”.

Altrettanto significative erano state le parole pronunciate da V.E. Orlando il precedente 2 aprile: “La verità è che quando il fascismo arrivò al governo, delle antiche istituzioni parlamentari non rimaneva più che l’apparenza esteriore. ..Riconosco che la vittoria del fascismo rappresenta una giusta vendetta, non solo, ma che inevitabile era anche il modo violento onde essa fu compiuta, poiché non poteva più oltre perdurare uno stato di anarchia, ed il Parlamento era incapace di provvedere al rimedio.”

Tra le maggiori colpe che sarebbero state ascritte al Re, ne vengono evidenziate quattro in particolare:l’intervento nella Grande Guerra(1915); l’avvento del Fascismo(1922) con il silenzio dopo l’assassinio di Matteotti(1924); il non aver impedito le leggi razziali contro gli Ebrei (1938); la resa incondizionata dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943.

L’Autore esclude categoricamente che il Re avesse nutrito avversità contro gli Ebrei, essendo documentata la sua personale avversione nei confronti dell’antisemitismo dilagante in Europa sin dalla fine dell’Ottocento, nonché le sue numerose e solide amicizie con illustri esponenti delle Comunità israelitiche. Quando nel novembre 1938, venne approvata all’unanimità dalla Camera ed a grande maggioranza dal Senato la legge 1728,( Provvedimenti per la difesa della razza italiana), il Re (in quanto) costituzionale dovette apporvi la sua firma“salvo premere perché ne fosse mitigata l’applicazione”.

Il 24 luglio 1943, in una situazione bellica ormai disastrosa, il Gran Consiglio del Fascismo si riunì invitando il Sovrano ad esercitare tutte le sue prerogative statutarie, compreso il comando delle Forze Armate.

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Il giorno seguente questi revocò l’incarico di Capo del Governo a Mussolini, nominando al suo posto il maresciallo Badoglio, attraverso il quale Vittorio Emanuele III decise lo scioglimento del Partito fascista, della Milizia volontaria di sicurezza nazionale, del Gran Consiglio e di tutte le organizzazioni che facevano capo al partito fascista.

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Fu il Re a suggellare l’assenso dell’Italia alla resa incondizionata firmata a Cassibile il 3 settembre 1943. Giunto a Brindisi, il Sovrano affermò di essersi ivi trasferito per seguire il suo Governo e l’8 successivo fu proclamato l’armistizio.”Benché militarmente sconfitto- osserva il Mola- il Capo dello Stato italiano vide confermata la sovranità nazionale, raccogliendone gli immediati vantaggi sul terreno, decisivo, dei rapporti internazionali.

Il Mola verso la fine del suo corposo volume,afferma: “Con quanto sin qui scritto, non si vuol giustificare(fine estraneo alla storiografia) la condotta tenuta dal Re, da Badoglio, e dai vertici militari durante la crisi italiana dell’estate 1943, né insinuare che essi abbiano fatto bene a ripiegare da Roma a Brindisi. L’ufficio della storia non è di formulare postume condanne o assoluzioni, né di asserire che quanto avvenne non poteva non accadere va quindi accolto come unica possibile realtà, ma documentare e piegare gli accadimenti nella loro accertata sequenza e nella molteplicità delle loro cause e concause. “Opera”di persone che agirono in determinate circostanze , per sopravvenienze impercettibili e irripetibili. La “storia”avrebbe potuto avere altro corso. Le ipotesi restano però a margine del già gravoso compito dello storico: indagare ciò che effettivamente avvenne.”

Tito Lucrezio Rizzo

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