VEZZI VIZI E VIRTU’ - LA STORIA RACCONTATA DAI VENTAGLI

LA PELLE DI CIGNO NEI VENTAGLI

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C’è un argomento che sembra affliggere i collezionisti e gli studiosi di ventagli di tutto il mondo, ma soprattutto quelli stranieri: la pelle di cigno. Da quando studio approfonditamente questo magnifico accessorio, mi sono spesso imbattuta in colleghi con i quali mi sono sentita in dovere di intraprendere dei veri e propri confronti, dovuti essenzialmente alla mia posizione ben precisa al riguardo.

cms_3804/foto_1.jpgL’atteggiamento generale, a parte pochi casi, come Mario Praz, insigne critico d’arte e di letteratura, studioso del Seicento oltre che di altri periodi storici, collezionista di ventagli, nato a Roma nel 1896 e purtroppo ormai non più fra noi, è quello di uno scetticismo senza fondamento.

Coloro che denigrano la tesi dell’esistenza della pelle di cigno perché sostengono che sia destituita di solide basi documentali dimenticano che anche il loro argomentare non ha basi, in quanto da nessuna parte è stato trovato un testo scritto che specifichi che la pelle di cigno non è mai stata usata per fare le pagine dei ventagli. Ho dunque deciso di mettermi al lavoro, e di tentare di trovare qualcosa che sostenesse questa mia tesi, di cui sono profondamente convinta:

LA PELLE DI CIGNO FU COMUNEMENTE USATA PER CREARE LE PAGINE DI

VENTAGLI SU CUI DIPINGERE

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Partiamo da alcuni assunti che forse non sono di facile deduzione per chi non è italiano, in quanto non a conoscenza di usi, costumi ed utilizzi di materiali nella nostra terra. La pelle di cigno, dunque, fu un materiale usato esclusivamente in Italia, già dal XVI – XVII secolo. Essa è stata lavorata a livello quasi “industriale” fino alla prima metà del XX secolo. Oggi il cigno è un animale protetto, benché ancora diffusissimo. De Montaigne, nel suo viaggio italiano del 1581, descrive grandi pelli distese ad essiccare nelle campagne senesi, spesso utilizzate per preparare le coperte da letto dei nobili. Il suo Journal de Voyage fu però pubblicato solo nel 1774. Blondel lo cita nel suo testo “Histoire de l’Eventail” - 1875 a p.92, confutando questa prova documentale, e sostenendo che la cosiddetta “pelle di cigno” o “pelle d’Italia” sia in realtà pelle di capretto.

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A parte l’incomprensibilità di tale posizione di Blondel, peraltro irriguardosa nei confronti della testimonianza di Montaigne, molti cataloghi ( esposizione di Bruchsal – 1990 ) fanno ancora riferimento alla suddetta pelle come materiale costitutivo delle pagine dei ventagli. Partiamo dall’assunto che la denominazione, che ha avuto origine secoli fa, di uno specifico materiale, si è tramandata durante un lungo periodo storico, anche al di fuori del territorio italiano. Che scopo ci sarebbe stato di chiamarla proprio “pelle di cigno”? Perché non “pelle di capretto”, allora, come infatti è accaduto in Francia, per esempio, con la definizione “cabretille”, velin, oppure vellum, pelle di pollo, pergamena, ecc...ecc... Se non vi fossero stati legami con l’animale cigno non vi sarebbe nemmeno stata alcuna necessità di inventarsene uno relativamente ai ventagli.

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In Italia i cigni sono volatili ancora oggi molto diffusi, e nel XVI secolo venivano usati anche come animali da cortile. Essi non sono commestibili, ma sono sempre stati assai sfruttati, a partire dal loro grande impatto estetico in vita, per arrivare, una volta morti, ad apprezzarne la pelle, appunto, e poi le piume ed il piumino. In epoca romana antica con il grasso si producevano unguenti e creme di bellezza, e si ovviava al cattivo odore che emanavano aggiungendo scorze di agrumi triturate. Semmai, vi è da dubitare che venisse utilizzata la pelle di pollo, in quanto eccessivamente grassa , deteriorabile e poco resistente, e soprattutto perché essendo tale volatile commestibile ed utilizzato in cucina in tutte le sue parti, anche la pelle veniva mangiata: tutt’oggi in Italia viene gustata come parte inseparabile dell’animale, particolarmente apprezzata nel pollo arrosto! Dubito fortemente che in epoche in cui il cibo era di importanza preminente anche per le classi più abbienti, si utilizzasse per fare ventagli una parte che poteva venir mangiata.

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In “Raccolta di lettere sulla pittura scultura ed architettura scritte da’ più celebri personaggi che in dette arti fiorirono dal secolo XV al XVII – Tomo II” pubblicato in Roma nel 1757, si parla di Camillo Rusconi, scultore nato a Milano nel 1658 e morto a Roma nel 1728, il quale fece un’opera in marmo nella chiesa di S. Francesco in Ripa, precisamente il sepolcro di Monsignor Paravicini, che viene così descritta: “ ....E di quest’opera fu ammirato non solo la scultura, ma anche il vago pensiero. E’ questa memoria affissa a un pilastro e confitta nel busto di esso prelato, e in due putti, che reggono, e tengono stesa UNA PELLE DI CIGNO in cui è incisa l’iscrizione. Volle il Rusconi alludere con ciò all’arme gentilizia di questo prelato.” Possiamo dunque assumere questo documento come dimostrazione che la pelle di cigno veniva utilizzata per rappresentarvi stemmi gentilizi ed iscrizioni. E ancora, cito “Il sequestro dei beni degli immigrati” tratto da “Storia socialista della Rivoluzione Francese” di Jean Jaurès : “ Nella casa di Jeanne Pourcel, figlia del fu Bernardo, abbiamo trovato una poltrona di damasco giallo, una scatola da toilette in ferro bianco, un manicotto di PELLE DICIGNO....”

cms_3804/foto_6.jpgIl “Nuovo Dizionario di Merceologia e Chimica applicata” di G.Vittorio Villavecchia, G. Eigenmann, I. Ubaldini e altri – 1977, recita che : “ La pelle di cigno comune a becco rosso è la più ricercata......Si usano inoltre le pelli di cigno nero con becco rosso.....”Infine, in “Pelli, piume e piumini di cigno d’oca e d’anatra” - Alessandro De Mori – Biblioteca Agricola – Paravia – 1932 si fa una lunghissima trattazione sulle varie procedure di lavorazione, soprattutto della pelle e non solo delle piume e del piumino, che evidentemente erano ancora in uso nel XX secolo.

cms_3804/foto_7.jpgVorrei fare inoltre un’ultima, ma secondo me fondamentale puntualizzazione: in più testi dedicati ai ventagli (fra questi vedi “The book of Fans” - Armstrong), si fa riferimento a ventagli del XVII e del XVIII secolo con la pagina costituita da una “pelle scura”, che faceva da fondo, appunto, alla moda dei ventagli scuri diffusa alla fine del 1600. Il cigno, infatti, sotto le piume bianche nasconde una pelle quasi nera. Era infatti per questo motivo che nel Rinascimento tale animale veniva considerato simbolo di tradimento e di ipocrisia : perché sotto al piumaggio candido si nascondeva una pelle di colore opposto. Il capretto appena nato, al contrario, ha pelle molto chiara.Concludendo, credo di non dover aggiungere altro al mio tentativo di dimostrare che non dovremmo mai liquidare con scetticismo testimonianze e denominazioni che provengono dal passato, ma che, anzi, è necessario fare un profondo ed umile lavoro di ricerca per cercare di dimostrarne la fondatezza.

Anna Checcoli

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