VERSO L’8 MARZO - LIDIA POET

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Lei è Lidia che voleva fare l’avvocato.

Ma i tempi non erano d’accordo.

Soprattutto gli uomini dei suoi tempi.

Con la sua laurea in giurisprudenza conseguita con il massimo dei voti nel lontano 1881, e una tesi sui diritti delle donne, Lidia aveva svolto brillantemente la pratica forense, aveva superato l’esame da avvocato, e chiesto l’iscrizione all’Albo degli avvocati e procuratori legali di Torino, dove viveva. E nonostante 4 voti contrari su 12, Lidia pensò di aver coronato il suo sogno.

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Ma si sbagliava. Dopo pochi mesi, la Corte d’Appello annullò la sua iscrizione perché: “sarebbe disdicevole e brutto veder le donne discendere nella forense palestra, agitarsi in mezzo allo strepito dei pubblici giudizi, accalorarsi in discussioni che facilmente trasmodano”.

Insomma, le donne non potevano fare l’avvocato, perché era brutto. Piuttosto, secondo quei giudici, sarebbe stato meglio riflettere se sarebbe “veramente un progresso e una conquista per loro quello di poter mettersi in concorrenza con gli uomini, di andarsene confuse fra essi, di divenirne le uguali anziché le compagne”.

cms_29612/2v.jpgFu un brutto colpo per Lidia, che però non si arrese, e pur non potendo esercitare formalmente la professione, collaborò attivamente con il fratello Giovanni Enrico, avvocato perché maschio, occupandosi soprattutto di minori, donne, emarginati.

Vinse la sua battaglia quando, all’età 65 anni, ormai prossima alla pensione, finalmente ebbe la possibilità di iscriversi all’Albo.

Fu la prima avvocata d’Italia. La prima a rompere uno dei tanti, troppi soffitti di cristallo che impediscono alle donne la loro piena realizzazione.

Un personaggio straordinario, che viene banalizzato, romanzato e tradito dalla serie televisiva “La legge di Lidia Poët”.

Una serie che nonostante i difetti, gli anacronismi, e una non necessaria iper-sessualizzazione della protagonista, ha però il merito di far conoscere la storia di una donna che ha sfidato tabù e convenzioni, quando la società ancora si domandava “se e quanto il progresso dei tempi possa reclamare che la donna sia in tutto eguagliata all’uomo”.

La Farfalla della gentilezza(Valentina M. Donini)

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