USA: COME FUNZIONA LA PROCEDURA DI IMPEACHMENT CONTRO TRUMP?

Analizziamo le fasi del provvedimento che porta al processo del prossimo 8 febbraio

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La Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha trasmesso al Senato l’articolo del secondo impeachment contro Donald Trump, accusato di “incitamento all’insurrezione” contro il Governo degli Stati Uniti e di “azione illegale in Campidoglio”. La data del processo è stata fissata all’8 febbraio, con i Repubblicani che avrebbero voluto posticiparlo di un’altra settimana per permettere agli avvocati di Trump di prepararsi al meglio, mentre i Democratici speravano di accelerare i tempi per poi concentrarsi sulla produzione degli atti legislativi ordinari. Alla fine, si è dunque giunti a questo compromesso. In queste due settimane le parti potranno prepararsi al dibattimento e scambiare briefing preliminari. Lo scorso anno, il processo di impeachment contro Trump durò 21 giorni: se queste tempistiche si ripetessero, il suo destino politico verrebbe determinato dal Senato all’inizio di marzo. Eppure, un’eventuale decisione di condanna da parte dei senatori-giudici potrebbe anche non sortire alcun effetto. Non era infatti mai capitato nella storia americana che un Presidente venisse sottoposto a processo d’impeachment dopo il termine del suo mandato.

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La Costituzione americana non si esprime chiaramente riguardo l’ipotesi, e i giuristi sono divisi a tal proposito. Forse, in questo caso, la Corte Suprema a trazione conservatrice costruita proprio da Trump con ben tre nomine nell’arco di un singolo mandato potrebbe risultare davvero determinante, in ultima istanza. Per la condanna dell’accusato servirà una maggioranza di due terzi dei senatori, che non è assolutamente scontata, visto che i democratici controllano esattamente il 50% dei seggi. Sarebbe quindi necessario trovare ben 17 senatori repubblicani disposti a “tradire” quello che fino a pochi mesi fa era il loro leader indiscusso. Non è però certa neanche l’assoluzione dell’ex-Presidente: le sue azioni post-elettorali hanno irritato i politici moderati di destra, inflitto un duro colpo all’immagine (ed al consenso) del “Grand Old Party” e messo a rischio persino l’incolumità di deputati e senatori, che il 6 gennaio hanno condiviso tutti lo stesso destino nell’essere costretti a chiudersi in un bunker, indipendentemente dalla parte politica che rappresentavano. Non a caso, già durante il voto nella House of Representatives 10 repubblicani si sono schierati a favore della procedura contro il tycoon.

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Non molti, considerando che alla Camera i conservatori sono 211, ma bisogna anche ricordare che lì l’approvazione della procedura d’impeachment era scontata ed il voto del GOP era quindi ininfluente: molti deputati potrebbero aver dunque espresso un voto contrario “di facciata”, per dare l’impressione della permanenza di un’unità d’intenti. Una volta chiamati, invece, ad una scelta decisiva, diversi senatori conservatori potrebbero riservare sorprese. Fondamentale potrebbe risultare, in un verso o nell’altro, un’eventuale dichiarazione di intenti (non necessariamente pubblica) del leader repubblicano al Senato Mitch McConnell, che proprio recentemente ha usato toni durissimi contro l’operato di Trump, rimanendo però sempre imperscrutabile riguardo la propria volontà di voto. Se, con quello che sarebbe un colpo di scena, dovesse arrivare la condanna di Trump, i Senatori sarebbero chiamati ad una seconda votazione, questa volta a maggioranza del 50%+1 (quindi completamente nelle mani dei Democrats), per decidere se impedire o meno all’accusato di ricandidarsi a future elezioni: è proprio questa sentenza l’obbiettivo finale dei Dem, intenzionati a liberarsi politicamente di una figura ritenuta gravemente pericolosa per la stabilità della Nazione, una volta per tutte.

Giulio Negri

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