URBANA, STORIA DI UN’ANIMA
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Vincenza Salvatore è nata e vive da sempre a Roma, città esplorata e fotografata con grande cura, in ogni dove, realizzando varie esposizioni fotografiche, su tematiche di impegno ecologico e civile e soprattutto la figura della donna nel suo vivere quotidiano.
In questi anni è stata fotografa di scena del “Teatro del Giallo" a Roma e, nell’ambito della manifestazione estiva “L’Isola del Cinema” presso l’Isola Tiberina, ha svolto reportage fotografici degli incontri de “L’Isola dei Poeti”, curati dalla scrittrice, poetessa e critica letteraria Francesca Farina e dal poeta Roberto Piperno, già professore di lingue straniere, dirigente pubblico e direttore del giornale della Federazione Giovanile Ebraica.
La Salvatore si è poi anche dedicata alla scrittura, pubblicando, nel 2016 insieme a Giuseppe Ciampaglia, per la casa editrice IBN, il romanzo II Cavallo di Ferro. La vita e gli aerei di Raffaele Conflenti, libro ispirato alla vita di suo nonno, inventore dell’aereo civile.
Con Bertoni editore nel 2019 è stata tra gli autori presenti nell’antologia poetica Genova - omaggio in versi, a cura della poetessa Tamar Niederdorf. La scrittrice aveva peraltro curato in precedenza, nel 2010, per tipi delle Edizioni Associate, la silloge poetica Portrait. Ritratti foto – poetici, da un’idea della critica letteraria, scrittrice e poetessa Francesca Farina. La silloge è composta da “autoritratti poetici” ad opera degli importanti autori che vi avevano collaborato, con le loro poesie e le loro foto.
Urbana è il secondo romanzo di Vincenza Salvatore, anche questo edito nel 2020, dalla Casa Editrice Bertoni, e descrive la vita di una donna ai margini della società che nella sua fragilità esprime, in modo disincantato, le immoralità, le brutture, i vizi di una città, in particolare una metropoli, quale quella di Roma, e del nostro vivere odierno. Riprende così, con la scrittura, una tematica già affrontata in fotografia.
La lunga esperienza della Salvatore nel mondo della fotografia, ha espressione già nelle figure effigiate nel romanzo, ove si nota subito una scelta accurata e non casuale delle immagini della copertina e in quella posta nel retro e nella quarta di copertina
Nella copertina compare infatti una bella foto sensuale di una donna dai lunghi capelli neri, a mezzo busto di spalle, con una vista peraltro solo della spalla sinistra e di parte del capo. Sia in fondo a sinistra come in alto a destra viene a sovrapporsi un inquietante punteggiare rosso che sembra man mano ricoprire (e assorbire) la figura.
Nel retro di copertina invece, sotto una breve “sinossi” del romanzo, compare l’immagine delle banchine e dei binari di una stazione ferroviaria, a indicare la nota Stazione Termini di Roma.
Infine, il dipinto a pastello di Veronica Aquilini, in bianco e nero (a pag. 103) e a colori (nel retro di copertina), sembra svelare l’ “identità” della donna, fornirle un viso: ma l’immagine risulta enigmatica e inquietante nel darci il volto di questa donna, tratteggiato con pennellate nere, spigolose, infossate: sullo sfondo, sfocata, appare significativamente una cartina di Roma delle linee della metropolitana e treni locali a indicare la città con i suoi percorsi “sotterranei”, evidenziando i “luoghi” delle vicende della protagonista.
E tali sfaccettature, già presenti, per così dire ab externo, la Salvatore “fotografa” nei vari capitoli del romanzo, fotogrammi di una pellicola impressionata dalla sua abilità di cogliere e definire sfumature, sguardi, espressioni, moti d’animo, amarezze, illusioni, drammi, “tele di ragno”. A tal ultimo proposito il titolo del Capitolo 24° La donna ragno (pag. 81 e segg.), che viene poi a completare il precedente Capitolo 19, Il bacio (pag. 66 e segg.), portano alla mente Il bacio della donna ragno, il famoso romanzo di Manuel Puig del 1976, ove viene rappresentata un’altra situazione di forte degrado ma anche di grande affetto. Lì, in una “prigione” reale, nella città di Buenos Aires in Argentina, due “detenuti” condividono una “cella”: una donna transgender e un prigioniero politico, avvicinati tra loro nel corso della loro “forzata convivenza”.
Nei 31 capitoli di questo agile romanzo la Salvatore scandisce il senso di una storia di un’anima, simile a quella di tante ragazze disagiate nei meandri di una città bellissima, ma anche costituita – come tante metropoli del mondo – da zone di degradazione e violenza, qual è Roma nei luoghi San Lorenzo, la Stazione Termini, Piazza Vittorio.
Ma la fotografia, di cui la scrittrice è esperta, la pellicola che viene ad essere impressa non è indulgente, ma obiettiva, e il romanzo non rinuncia alla durezza, e non teme le descrizioni vivide e senza infingimenti. Anche se è nel contempo anche delicato e sensibile, tenero, nelle descrizioni sia fisiche sia psicologiche di Urbana ed esprime tra le righe un desiderio, una tensione, l’esigenza di un riscatto, un impeto sociale a cambiare queste situazioni, nonostante tutto.
La scrittrice opera una raffigurazione di un mondo sradicato, una storia emblematica, i cui riferimenti alla prostituzione, alla droga, alla ricerca di cibo, senza più alcun decoro, la fanno assurgere a esporre una sofferenza che è quella di tante persone ai margini della società, non solo romana (come per gli emarginati del quartiere di San Lorenzo e delle zone circostanti) o italiana, ma naturalmente anche di altri paesi, in questo e altri periodi storici. Non a caso il titolo del romanzo è il nome della protagonista, Urbana, e il riferimento al tessuto urbano è innegabile.
Il romanzo si impernia, ad un primo sguardo, sul personaggio femminile di Urbana (donde il titolo come si diceva), centro del racconto, delineando la sua psicologia, il suo mal à vivre, le sue malattie fisiche (La farmacia - La malattia, Cap. 11°, pag. 42 e segg., e L’Ospedale [di San Camillo], Cap. 23°, pag. 79 e segg.,) e mentali e la sua angoscia (Biologismo psichiatrico, Cap. 29°, pag. 93 e segg.), la prostituzione:
“«Io lo so che non dovrei andare a letto con i vecchi, non dovrei farlo per rispetto di me stessa, ma sono sola come un animale, a causa della condizione di estrema fragilità di una donna ai margini della sua città […] Non ho soldi, questo è l’unico modo per sopravvivere. Sono tutti molto cattivi con me, nessuno mi aiuta»” (Urbana e gli uomini, Cap. 4°, pag. 21).
Si succedono nello svolgersi della storia appuntamenti, incontri, dileguamenti, rifiuti, con un andamento temporale incerto e sfumato che si riverbera sulle vicende, che si rincorrono, con una modalità quasi circolare, si ripetono. Un centro morboso, resistente ad ogni modificazione, una situazione senza speranza in un ambito oscuro e di perdizione in cui la protagonista si trova per varie circostanze a vivere, che si affaccia su un precipizio cui non si può resistere.
Importanti per avere un quadro esaustivo del personaggio sono gli elementi, pur accennati, dell’infanzia (Rigattiere, Cap. 2°, pag. 14 e segg.), il marito Pietro e i figli della protagonista (Il padre dei suoi figli, Cap. 5°, pag. 25 e segg.).
E, a ben guardare vi sono, pur tratteggiati, altri personaggi accanto ad Urbana: Anna “che aveva conosciuto Urbana in carcere” (Cap. 5°, cit. pag. 25), gli uomini (Cap. 4°, cit.), il marito Pietro e i figli, come si diceva, nonché il narratore, che a breve vedremo.
Ma Urbana è anche una storia d’amore, certo del tutto particolare, come si evidenzia nel suo sviluppo:
“Io avevo due cuori: il primo apparteneva a Urbana, l’altro, sua appendice, era sempre sanguinante per lei. Che tipo di amore era veramente il mio: spirituale o materiale? Era un amore e basta, con tutto quello che ne consegue. Mi ricordo la sua espressione più tipica, che come leitmotiv mi risuona incessantemente nel profondo, come l’eco della sua voce dal timbro particolare unico: «Di’ tutto a bimba tua.»” (Ultimo atto, Cap. 30°, pag. 95).
Urbana, infatti, in apparenza è la sola protagonista del romanzo. Vi compare accanto o talora in sovrapposizione la figura di un narratore senza nome dai cui occhi, come un “obiettivo” fotografico, vengono scandagliate, esplorate, vicende ed emozioni.
Urbana è legata a questo personaggio che racconta da un misto di attrazione e repulsione che si sviluppa per tutta la durata del romanzo:
“Io ero lì e mi guardavo, inerme. Senza agire osservavo me stesso preda dei miei sentimenti per lei ma esanime, la mia droga mi soggiogava e non provavo nemmeno per un attimo a distaccarmi da lei che mi comandava di essere fortemente dipendente dall’amore impossibile. La mia finestra sul mondo ero io, sneza via di scampo. Mi osservavo, mi detestavo, ma al tempo stesso mi affacciavo e guardavo me stesso, o forse il riflesso dell’ombra di quel che era di me” (Dalla finestra,Cap. 6°,pag. 28).
Una fissazione morbosa, da parte del narratore, che nasce dal tentativo frustrato di riscatto, di un possibile aiuto per sottrarla a una condizione a cui sembra inevitabilmente destinata, assurgendo, per così dire, ad emblema di un atteggiarsi dell’uomo odierno, volto spesso e irrimediabilmente alla sua caduta:
“nello specchio […] nel mio volto le sue stesse stigmate.
È il dolore che mi sta distruggendo […] Mi sono abbandonato alla disperazione. Sono stato contagiato non solo da tutto quello che lei rappresenta ma soprattutto da quello che lei porta in se stessa, nella complessità del suo essere.”
(Giubbetto,Cap. 18°,pag. 65)
Ma altri “personaggi”, che pur muti ci parlano e costellano la storia, sono i luoghi dove si svolgono le vicende di Urbana e, di conseguenza, quelle del narratore senza nome: il quartiere di San Lorenzo, cui è dedicato un intero capitolo, San Lorenzo (Il quartiere) (Cap. 7°,pag. 29 e segg.), con il suo “cuore”, Piazza dell’Immacolata, anch’essa oggetto di un capitolo dall’omonimo titolo (Cap. 8°,pag. 32 e segg.). Ma anche le zone limitrofe, come la Stazione Termini e Piazza Vittorio, nelle quali è sempre presente e obiettivo lo sguardo fotografico della scrittrice
“ La seguivo nel suo errare per le strade del mio quartiere in un triangolo di luoghi:
S. Lorenzo, la Stazione Termini, piazza Vittorio. Ecco le zone da lei frequentate ogni giorno. Qui incontrava le sue conoscenze, qui replicava i gesti del suo quotidiano e la fatica di sopravvivere” (Il padre dei suoi figli, Cap. 5°, pag. 25).
Una storia vera di un fragile essere presa dalla realtà e che scaturisce senz’altro dal lungo impegno nel sociale e nel volontariato da parte dell’autrice, situazioni di emarginazione le cui difficili problematiche la Salvatore ha affrontato in prima persona.
Una scrittura chiara, limpida, dal punto di vista stilistico, quella di Vincenza Salvatore, pur velata e capace di trasmettere una forte empatia con le vicende del romanzo, secondo la sensibilità del lettore, lettore che rimane comunque preso inevitabilmente, una volta cominciato il romanzo, in questa cornice senza potersene allontanare. Un romanzo coinvolgente da leggere con lentezza per entrare in sintonia con Urbana e il narratore che accompagna, talvolta spia la donna nelle sue vicende: così da conoscere attraverso gli occhi di questo personaggio Urbana e la sua vita.
E concludiamo questa nostra breve disamina del bellissimo libro Urbana col significativo e coinvolgente esergo (a pag. 5) che in una riga, direi in un verso, riassume il senso ultimo e più profondo del romanzo di Vincenza Salvatore:
“Dedicato a chi vive sulla strada e non ha voce”.
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