UMBERTO ORSINI

Istantanee d’autore

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In questi anni ci hanno lasciati molti dei migliori attori e registi che la Televisione e il Teatro italiani hanno avuto il privilegio di avere in un periodo d’oro.

Ma ne esiste ancora qualcuno che ci ricorda, purtroppo, un’arte che illanguidisce sempre più.

Scrivo “purtroppo” perché nel raffronto con questi personaggi, la maggior parte delle figure che popolano l’ambiente dello spettacolo attuale risultano sbiadite e senz’anima.

Tra le icone di quell’epoca preziosa annovero Umberto Orsini.

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Protagonista di molti classici prodotti dalla Rai e di tanto teatro di spessore.

Qualcuno sa dirmi perché la nostra Televisione si è dimenticata della cultura e del suo passato?

Prima milioni di italiani conoscevano Pirandello, Manzoni, Dostoevskij.... attraverso le loro opere riprodotte sul piccolo schermo.

cms_26721/2_1657339549.jpgEd il merito era anche di attori dotati di grande magnetismo e di una bravura, certo frutto di una tecnica sublime, ma che della tecnica non facevano trasparire nulla.

Qualcuno ha detto che l’attore bravo è quello che non sembra che reciti.

Ho conosciuto Orsini molto tardi e ho avuto il privilegio di ospitarlo in un teatro che dirigevo.

Fu questa trattativa l’occasione del nostro primo incontro, paradossalmente non previsto nei modi in cui si svolse.

Dovevo infatti incontrare il suo produttore che mi diede appuntamento in un piccolo bar di Monteverde, a Roma.

Sul retro c’era un esiguo spazio arredato spartanamente con due tavolini e poche sedie, usati probabilmente decenni prima e poi rimasti lì dietro come oggetti da museo.

Francesco mi portò lì e, poggiando la bozza del contratto sul tavolino, cominciò a leggerlo.

Io, sinceramente, ero sorpreso dalla scelta di quel luogo e qualche dubbio cominciava ad insinuarsi nella mia mente.

Premesso che ero di spalle all’uscita, mi accorsi di avere una scarpa slacciata e mi chinai a rimediare.

Quando rialzai il capo c’era un’altra persona, in piedi, accanto a me. Era lui.

“Sono venuto a conoscere un direttore di teatro che, senza essere sollecitato, compra un dispendioso allestimento di Dostojevskij”.

Mi alzai e, lasciando trasparire la mia emozione, gli dissi che era un onore per me conoscerlo e che si fosse disturbato a venire.

“Io abito di fronte, non ho fatto molta fatica”

Si sedette e mi parlò dello spettacolo (La leggenda del grande inquisitore) e di come lo aveva impostato.

Ascoltavo la sua voce, che in quella circostanza era solo per me, e mentre seguivo il suo discorso, ricordavo le tante volte che, da ragazzo, ero entrato di soppiatto nelle tante storie trasmesse in TV e l’avevo udita.

Ma ricordavo anche che per anni era stato l’uomo di una delle mie Kessler.

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Pochi mesi dopo lo rividi per la prima di tre recite nel mio teatro.

Stavolta avrei assaporato una sua prestazione di attore: evento che avevo voluto e avevo spesso pregustato.

Iniziò lo spettacolo.

Nei primi minuti lui era in scena da solo, che si agitava senza parlare in un ambiente claustrofobico, illuminazione spettrale, un neon che lampeggiava come si stesse per esaurire, una voce fuori campo che ripeteva spesso le stesse frasi.

Mi sentivo morire. Ero pronto a fuggire se il pubblico si fosse sollevato a protestare.

Dopo un’eternità cominciò a recitare.

Per tutto il tempo non si sentì un applauso.

Ignoravo che questa rappresentazione non permettesse di essere interrotta.

La tensione guastava il piacere di vederlo all’opera di fronte a me.

Finita la rappresentazione, partì una standing ovation da far venire i brividi.

Rimasi inebetito sulla mia sedia, ondeggiando tra meraviglia ed orgoglio.

Ma cosciente di aver vissuto qualcosa di unico.

Per un attimo ripensai al ragazzino che, seduto su una poltrona del salotto di casa, guardava “I Fratelli Karamazov” con i suoi genitori.

(Foto di proprietà dell’autore)

Giacomo Carlucci

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