UE, NIENTE PROCEDURA D’INFRAZIONE PER L’ITALIA (PER ORA)
Secondo indiscrezioni rivelate dal Financial Times, l’Ue aspetta le proposte del governo italiano

Nessuna procedura di infrazione per deficit eccessivo. Almeno, non per ora, E’ la notizia ultima sul fronte Ue che suscita la speranza, per il governo italiano, di rivedere i suoi piani di spesa e disinnescare un nuovo scontro con Bruxelles. È questa l’anticipazione rivelata dal Financial Times. Il quotidiano britannico cita due fonti anonime che hanno rivelato i piani della Commissione europea: rinviare la procedura di infrazione e aspettare che il governo italiano offra delle proposte per trovare una soluzione. Risale a ieri, tuttavia, una riunione della Commissione Europea a Bruxelles. Tema: l’Italia.
Il commissario per gli affari economici Pierre Moscovici e il vicepresidente Valdis Dombrovskis aggiorneranno gli altri membri della Commissione sulla situazione del nostro Paese. Il nodo della questione è la manovra economica decisa dal governo Conte e le sue conseguenze sul debito pubblico. L’errore dell’Italia – almeno stando a quanto riferisce l’Ue - è stato nella programmazione delle politiche economiche dell’ultima manovra finanziaria. Misure dispendiose come il Reddito di Cittadinanza e Quota 100, pensate stimando una crescita economica attorno all’1% del Pil. Previsioni che sono state disattese dai dati pubblicati a maggio dall’Istituto di statistica, secondo i quali la crescita resta ferma allo 0,3%.
Ma cosa prevede una procedura d’infrazione? Quali le conseguenze per l’Italia? Nello specifico, la procedura di infrazione per eccesso di debito eccessivo è una dinamica regolata dall’articolo 126 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Si tratta di un provvedimento che l’Ue è chiamata a prendere in considerazione quando un Paese membro non rispetta due requisiti: il deficit di bilancio pubblico non deve superare il 3% (cioè le uscite di uno Stato non devono superare gli incassi di oltre 3 punti percentuali). Contrariamente a quanto annunciato nel Def, nel quale il Governo aveva previsto una riduzione del deficit dello 0,3% rispetto al 2,4%, al momento l’Italia si aggira attorno al 2,5%. Secondo quanto rivendicato da Giovanni Tria durante il G20 finanziario di Fukhuoka, l’Italia riuscirà a toccare quota 2,1% entro la fine del 2019; il debito non deve superare il 60% del Pil: per debito pubblico si intende quel debito che lo Stato contrae con altri soggetti che hanno deciso acquistare dei titoli di Stato; i creditori possono essere piccoli investitori, banche o anche altri Paesi. Al momento, l’Italia ha superato del 132% il suo prodotto interno lordo (prima di noi c’è la Grecia al 181%, subito dopo il Belgio e Cipro intorno al 102%).
Il rapporto tra Pil e debito è fondamentale per scongiurare il rischio del fallimento di uno Stato: più l’andamento del Pil è positivo, più un Paese non rischia di perdere i suoi creditori.
Comunque, il premier Giuseppe Conte è determinato a rispettare le regole per evitare la tanto temuta procedura d’infrazione. Conte e il suo ministro delle finanze Giovanni Tria stanno cercando, infatti, di trovare risparmi sul bilancio per convincere Bruxelles a fare un passo indietro rispetto all’avvio di un nuovo processo sanzionatorio e Roma vuole utilizzare un miglioramento netto di 5,2 miliardi di euro nel suo piano di spesa per il 2019, per mitigare la sua posizione finanziaria e non incidere ulteriormente sul debito pubblico. Il premier Conte venerdì scorso era a Bruxelles, per un vertice dei leader dell’UE, e, parlando con i giornalisti, ha sostenuto che il governo “deve evitare” la procedura per i disavanzi eccessivi. Situazione tutta “in divenire”, quindi. Non ci resta che aspettare.
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