Tensioni India-Pakistan in Kashmir

Rischio di guerra (nucleare?)

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Probabilmente in pochi ricorderanno il nome di Hari Singh, l’ambizioso Maharaja che dopo la morte dello zio salì al potere nel piccolo stato del Kashmir. Indubbiamente, egli era un uomo saggio e accorto, al punto che dopo essere salito al potere garantì al suo popolo una serie di riforme in grado di consentire l’accesso al lavoro anche alle persone meno agiate e di tutelare i bambini dalla piaga dei matrimoni forzati. Egli aveva tuttavia una curiosa e singolare peculiarità: era di fede induista in una regione popolata quasi esclusivamente da musulmani. Di per sé quest’ultimo non sarebbe stato forse un problema se non fosse stato per il fatto che nel 1947, come sappiamo, l’India e il Pakistan si divisero in maniera netta e brutale. I cittadini induisti si recarono a vivere nella prima di queste due nazioni mentre i musulmani, in seguito ad un esodo di massa, si trasferirono nelle due grandi zone controllate dal Pakistan: la repubblica islamica e il Bengala orientale.

cms_11993/2v.jpgIn quanto al Kashmir, in teoria a causa dell’orientamento religioso dei suoi cittadini esso avrebbe dovuto aderire proprio al Pakistan, ma come detto, tale nazione non ispirava alcuna fiducia in Hari Singh, da sempre contrario ai precetti e alla filosofia che animavano la maggior parte degli stati integralisti islamici. Dal canto suo, il governo di Islamabad decise allora di invadere militarmente l’indifeso Kashmir: disperato, il Maharaja non ebbe altra soluzione che chiedere l’aiuto al governo indiano. Il piano funzionò, ma ovviamente Nuova Delhi non avrebbe mai donato il suo supporto gratuitamente: da quel momento, al contrario, pretese che il Kashmir rinunciasse a qualunque velleità indipendentista venendo annesso dal governo indiano. A malincuore, Hari Singh non poté che accettare.

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Ovviamente i pakistani non accettarono mai tale soluzione, così, da allora la regione è diventata una delle più contese al mondo al punto che molti anni dopo il Presidente statunitense Bill Clinton arrivò a definirlo “il luogo più pericoloso del pianeta.” Milioni di persone hanno conosciuto la guerra, in molti sono morti sotto le bombe e in molti altri hanno vissuto la propria vita dovendo patire gli stenti e la miseria. La situazione iniziò tuttavia a cambiare all’inizio degli anni 70 quando il Kashmir venne diviso in una zona sotto l’influenza pakistana, un’altra sotto l’influenza indiana e una terza, a nord, sotto la diretta influenza dei cinesi, terzi incomodi nella disputa. Nello stesso periodo in seguito alle sanguinose rivolte della lega popolare bengalese, dopo decenni di lotte intestine e di tensioni interne legate al fatto che il governo di Islamabad non considerava a sufficienza le regioni più orientali ed isolate della nazione, il Pakistan venne costretto a concedere l’indipendenza anche al Bengala Orientale, che divenne quello che oggi conosciamo col nome di Bangladesh. Tutto ciò, parve inaugurare alcuni decenni di pace e di relativa stabilità nel subcontinente indiano traducendosi in un equilibrio che sarebbe perduto fino a pochi giorni fa.

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La situazione è tuttavia improvvisamente degenerata il 14 febbraio, quando alcuni terroristi pakistani hanno ucciso 42 soldati indiani in un attentato. È sempre strano rendersi conto di come un manipolo di manigoldi possa arrivare a cambiare il corso della storia, ad ogni modo l’evento ha portato a un’escalation di sangue e di violenza: dapprima Nuova Delhi ha dato l’ordine di attaccare un accampamento nella zona pakistana uccidendo secondo le stime ufficiali 350 uomini, in seguito, Islamabad ha a sua volta reagito bombardando il distretto di Rajouri e gli indiani, di lì a pochi giorni, hanno a loro volta inviato due dei propri cacciabombardieri in territorio straniero: quest’ultimi sono stati tuttavia intercettati dalla difesa nemica, i piloti sono stati fatti prigionieri e le foto raffiguranti i loro corpi imbavagliati, addirittura, postate su internet.

La situazione, già grave di per sé, assume un contorno addirittura nefasto se si considera che le due nazioni rivali godono entrambe di un pericoloso arsenale nucleare, il che trasformerebbe un’eventuale degenerazione del conflitto in una catastrofe assoluta non solo per le rispettive popolazioni locali ma perfino per il mondo intero. A questo bisogna aggiungere che, a differenza di quanto accade con nazioni quali Iran e Corea del Nord, il fatto che India e Pakistan possiedano la pericolosa arma di distruzione di massa sembra essere sottovalutato se non perfino trascurato da gran parte delle leadership occidentali, il che porta la Cina a divenire di fatto l’unico Paese realmente attivo nelle sempre più ardue trattative di pace nonché ad aumentare inevitabilmente la propria influenza politica e strategica nel continente.

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Noi tutti ci auguriamo che la spinosa questione possa raggiungere una risoluzione il più efficace e duratura possibile attraverso le armi del dialogo e della reciproca tolleranza. Non si può tuttavia ignorare che, affinché ciò accada, sarà indispensabile da parte di tutti un maggiore sforzo anche a costo di prendere decisioni che, apparentemente, potrebbero sembrare impopolari.

Gianmatteo Ercolino

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