Televisione, il medium della quotidianità nella corsa al capitalismo digitale
Marshall McLuhan nel suo famosissimo Understanding Media affermava che ogni volta che un nuovo medium s’impone storicamente, i media che lo hanno preceduto tendono a non scomparire, ma iniziano una specie di processo di riconfigurazione in cui cercano di attualizzare il proprio senso e la propria identità. Nell’attuale epoca della postmodernità o modernità liquida è giusto allora sottolineare come i vecchi media, tralasciando le attuali piattaforme, abbiano oggi necessità di essere riconcettualizzati alla luce delle loro biografie. La nascita e lo sviluppo di uno dei più importanti media elettronici della storia, la televisione, è stata di un’importanza fondamentale per tutti quei significati che ha saputo introiettare nella storia e nella società, operando una transnazionalità mediatica capace di raccontare sotto ogni latitudine gli eventi che man mano si presentavano. In particolar modo nel corso della seconda metà del’900, la costruzione dell’immaginario collettivo operato dalla televisione ha assunto un valore che è andato a caratterizzare l’interpretazione di tale medium da parte del pubblico e l’uso politico, economico e culturale di questa tecnologia.
Il mito fondativo della stessa televisione ha permesso di offrire alla popolazione mondiale i mezzi necessari per comprendere il grande cambiamento che i media in generale avrebbero apportato da un punto di vista pratico, simbolico, culturale e ideologico. Tornando all’oggi, la televisione, testimone fedele del passaggio di secolo e dell’avvento della rete, rimane nonostante tutto un medium che si discosta dalla sua primaria natura di macchina, per assumere nei confronti del pubblico un insieme di pratiche associate al suo diretto utilizzo. Ciò vuol intendersi come il rifuggire da parte della televisione da una staticità dovuta al progresso e all’avanzare della cosiddetta platformization e invece dal ricorso a continue negoziazioni tra la nuova tecnologia televisiva e i neo rituali d’uso. L’industria televisiva ha saputo cioè ibridarsi con i linguaggi del digitale evitando l’inutile e inconcludente competizione con la rete, e divenendo un medium oggi connesso al web.
La televisione ieri come oggi è ancora il mezzo centrale nei salotti dell’occidente, si è liberata dai timori legati alla sua nascita e ha conquistato lo spazio e il tempo dello spettatore grazie all’alleanza con la rete, alleanza che ha permesso al pubblico di diventare il protagonista del processo comunicativo. Il futuro della televisione come di tutti gli altri media è però legato allo sviluppo di ecosistemi mediali per forza di cose sempre più globali (global media) e anche sempre più legati a dinamiche e logiche neoimperialiste, di cui le piattaforme sono un fenomeno evidente e transnazionale. Lo sviluppo sempre maggiore delle imprese di comunicazione in particolar modo statunitensi, porterà a un mainstream connotato culturalmente, economicamente e politicamente da un’ideologia ancor più a stelle e strisce in cui faranno sempre più fatica a emergere paesi terzi. La televisione in questo scenario si troverà ancora a una volta a narrare, suo malgrado, quello che con una felice espressione il sociologo britannico Billig ha definito il nazionalismo banale, ovvero pratiche culturali e quotidiane che ci appaiono ordinarie ma che in realtà sono pervasive perché trasmesse in modo naturale dai media.
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