Tanzania: aumenta il numero di ragazze madri costrette a lasciare gli studi

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Capita spesso a una giovane ragazza di rimanere incinta. Talvolta la propria gravidanza è il frutto di una scelta, altre volte di un incidente, ma in ogni caso dover diventare madri quando si è ancora adolescenti non è mai semplice, sia sul piano logistico che (soprattutto) su quello umano.

Eppure, nei Paesi del mondo occidentale esiste un problema al quale le giovani ragazze incinte non sono sottoposte: dover abbandonare i propri studi. Il fatto di aspettare un bambino non necessariamente preclude la propria possibilità di accedere a un’istruzione superiore o, in seguito, di tentare di far carriera; e, benché questa strada sia sempre più difficile per qualunque donna abbia da poco avuto un figlio, essa non è certamente vietata dalla legge. Ebbene, purtroppo esistono luoghi del mondo dove le ragazze non hanno la medesima fortuna, uno di questi è la Tanzania.

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Nel 1961, poco dopo l’indipendenza del Paese dal Regno Unito, il governò varò una legge attraverso la quale venne precluso il diritto di proseguire gli studi a chiunque “non godesse dei necessari requisiti morali”. Una legge ambigua, non solo perché in un Paese civile chiunque dovrebbe avere diritto a coltivare le proprie ambizione scolastiche, ma soprattutto perché il termine moralità può avere mille sfaccettature e altrettanti significati. Con l’arrivo al potere dell’attuale premier Magufuli, un fervente cattolico dalle idee reazionarie e conservatrici, la legge del ‘61 ha assunto un’interpretazione ben specifica: nessuna ragazza incinta avrebbe mai più dovuto mettere piede in una scuola pubblica. Non importa se la gravidanza in questione fosse il frutto di uno stupro o (altro fenomeno sempre più diffuso) di un rapporto con un professore intenzionato ad approfittarsi delle studentesse più disperate… qualunque ragazza porti in grembo un bambino deve immediatamente abbandonare la scuola per non farvi più ritorno. Secondo i dati ufficiali delle ONG, l’11% delle ragazze tanzaniane sono state vittime di violenze sessuali, eppure, tale dato non sembra aver ottenuto altra conseguenza se non quella di far dichiarare fuori legge molte ONG, e di incutere terrore in tutte le altre. Non è un caso se un’inchiesta del Financial Times, condotta pochi mesi fa, ha riscosso risultati insoddisfacenti proprio a causa dell’omertà diffusa nel Paese e della naturale riluttanza da parte della maggior parte della popolazione a esprimere liberamente il proprio punto di vista sull’argomento. Ne sa qualcosa Halima Mdee, deputata d’opposizione che ha avuto addirittura la sfacciataggine di far notare quanto le politiche governative fossero anticostituzionali e contrarie a tutti i trattati internazionali vigenti; il risultato è che, attualmente, aspetta di essere processata per aver insultato le istituzioni.

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Avere un rapporto sessuale al di fuori del matrimonio è considerato dal governo non solo un peccato gravissimo, ma anche un’offesa al decoro nazionale, pertanto l’espulsione dagli edifici scolastici sussiste per le ragazze anche dopo che queste hanno effettuato il parto. La garanzia del diritto allo studio nei confronti delle giovani che hanno perso la verginità “non fa parte della cultura africana” secondo una dichiarazione ufficiale del presidente. Una posizione dura, che tuttavia trova una forte condivisione da una larga parte del mondo religioso: in particolare, l’arcivescovo Damian Dallu si è detto d’accordo con la linea adottata in materia.

Tale scelta del primo ministro rischia di trasformarsi in un’autentica ossessione se consideriamo che un decreto del governo del 2017 ha obbligato tutte le scuole pubbliche a svolgere dei periodici controlli nei confronti delle ragazze per assicurarsi che non siano rimaste incinte.

Secondo le statistiche, tuttavia, la politica di Magufuli non sta sortendo alcun effetto: il numero delle gravidanze giovanili è salito al 27%, contro il 23% del 2010. Tale sconfitta non ha certo demoralizzato il premier, il quale ha anzi rincarato la dose, ordinando il carcere per cinque adolescenti incinte al fine di “dare una lezione esemplare alle proprie coetanee”. Più in generale, si calcola che almeno 55.000 ragazze potrebbero aver già abbandonato gli studi a causa di questa miope scelta politica, anche se a detta di molti analisti il numero reale potrebbe essere molto più alto a causa della pessima abitudine della Tanzania di registrare molte espulsioni come semplici abbandoni degli studi.

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Queste ragazze non hanno altra scelta se non quella di seguire un corso professionale o iscriversi a una scuola privata; purtroppo, però, i primi vengono organizzati solo nelle grandi aree urbane del Paese, mentre gli istituti privati sono troppo costosi per la maggior parte delle ragazze. Come se non bastasse, inoltre, numerose adolescenti dopo aver partorito si ritrovano ad essere diseredate dalle proprie famiglie, venendo così mandate via di casa e arrivando di fatto ad essere costrette a prostituirsi. Alcuni ingenuamente potrebbero chiedersi perché dunque tali ragazze non tentino la strada dell’aborto, ma la risposta è estremamente semplice: perché è illegale… in Tanzania, l’unico modo per abortire è quello di rivolgersi a medici clandestini, ed è ovviamente molto pericoloso; anche perché, com’è facile immaginare, le condizioni igieniche dei luoghi in cui tali aborti vengono praticati risultano essere quantomeno carenti.

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Non è con la paura che si risolveranno problemi delicati come quello in questione. Se davvero Magufuli desidera combattere le gravidanze giovanili, il modo migliore è quello di diffondere una maggiore educazione sessuale nelle scuole e investire nei mezzi pubblici. Molte ragazze tanzaniane, infatti, risiedono a diversi chilometri di distanza dall’istituto scolastico più vicino, e per raggiungerlo hanno bisogno dei cosiddetti boda boda, taxi o pullman molto costosi. Ridurre il prezzo dei boda boda significherebbe garantire a queste ragazze la possibilità di poter andare a scuola senza dover chiedere passaggi a sconosciuti che, spesso, arrivano a violentarle dopo averle fatte salire in auto o, più banalmente, a scambiare i propri passaggi con favori sessuali.

Gianmatteo Ercolino

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