TRIESTE INVASA ATTRAVERSO I SENTIERI DELLA “ROTTA BALCANICA”

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A Trieste, purtroppo, non è mancato un inopportuno contraccolpo ai risultati perseguiti e raggiunti, finalmente, con la riapertura di tutte le attività, così come ricercata dalla politica del governatore FVG Massimiliano Fedriga che, con il solito piglio determinato e anche a costo di un braccio di ferro con il Governo, si era spinto a cercare di precorrere i tempi purchè l’economia della sua Regione tornasse a “respirare”, comunque, l’aria salubre delle operose e lungimiranti imprese locali.

La gioia e il rinnovato entusiasmo del momento fanno il conto con una recrudescenza di afflusso di migranti che, soprattutto di provenienza pachistana e afghana, a schiere stanno invadendo Trieste; dove giungono attraverso la “Rotta Balcanica” grazie all’ambiguo lascia passare della Turchia, del cui ambivalente rapporto amicale-ricattatorio verso l’Europa, ne fa le spese soprattutto l’Italia e, per essa, proprio la città mitteleuropea all’estremo confine nord-est.

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Infatti, il fronte della Slovenia rappresenta il punto di arrivo, sia di giorno che di notte, ogni volta per gruppi che variano da una cinquantina ad un centinaio di persone alle quali, dopo estenuanti marce a piedi, si presenta la via che porta direttamente al capoluogo Giuliano, attraverso i più suggestivi siti che gli fanno da cornice.

Ma, proprio in quelle che sono sempre state mete di passeggiate attraverso la Val Rosanda fra la natura rigogliosa dei boschi che si estendono sino all’altopiano del Carso,oggi si è costretti a constatare vergognose contaminazioni: da cumuli di stracci sostituiti con nuovo vestiario di fortuna, oltre che da residui di documentazione strappata e bruciata di cui ci si sbarazza per sfuggire a identificazioni da parte delle Forze dell’Ordine che,comunque, non hanno compito di respingere i clandestini.

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Tutto questo, che ancor più risulta un esasperante contraltare alla situazione dell’essere stati chiusi nella trincea dell’emergenza COVID-19, trova i Triestini insofferenti davanti al porsi di questi migranti in un continuo contravvenire al conformarsi all’attitudine cittadina all’ordine e al rispetto delle regole di distanziamento e uso di guanti e mascherine che, sia pure fornite ai nuovi arrivati nel corso della prima accoglienza approntata in un tendone sul confine, subito dopo diventano un optional.

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D’altra parte, nonostante l’indubbio dovere di soccorso nei confronti di individui che la disperazione ha spinto lontani dalle loro terre di origine, non se ne può accettare supinamente l’invadenza per cui creano assembramenti nel camminare sui marciapiedi o nell’intrattenersi seduti a terra, persino incuranti di calpestare le aiuole ad ornamento di piazze e giardini.

Tanto, in base alla incapacità di recepire il senso civico cui da sempre, con ovvio distinguo in circostanze come l’emergenza attuale, i Triestini amano uniformarsi in ossequio alle tradizioni di civiltà che loro provennero dagli Avi Asburgici. Tenendo in conto che, proprio la indimenticata quanto amata imperatrice Maria Teresa d’Austria volle realizzare il sogno illuminato di una Trieste libera e sovrana, la cui cifra identitaria fosse la sua inconfondibile e indiscussa civiltà; la stessa per cui ha continuato a distinguersi nel tempo, ricercando la socialità fra uomini che, anche quando siano su piani di diversa provenienza, ambiscano ad incontrarsi in una condivisione che , imprescindibilmente, sia rispettosa gli uni degli altri.

Rosa Cavallo

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