Nella tarda serata dello scorso martedì l’Afganistan, già in preda a diverse problematiche politiche e militari emerse negli ultimi mesi, ha dovuto affrontare una nuova tragedia.
Un terremoto composto da varie scosse, tra cui la più forte di magnitudo 6.1, ha colpito l’area sud-est del Paese lungo il confine con il Pakistan. L’Istituto geofisico statunitense (Usgs) fa sapere che il sisma è stato rilevato a 44 km a sud-ovest di Khost, al confine con il Pakistan, a sud di Kabul con epicentro a 51 km di profondità.
Dalle prime immagini diffuse si nota come i villaggi e le città dei distretti di Barmala, Ziruk, Naka e Gayan nella provincia di Paktika siano totalmente distrutti, con edifici rasi al suolo.
Inoltre il Centro Sismologico Euro Mediterraneo ha dichiarato in una nota che l’evento catastrofico è stato talmente tanto impetuoso da essere avvertito in un raggio di oltre 500 chilometri, giungendo fino in India.
Immediatamente si sono attivati i soccorsi e i centralini sono stati inondati di chiamate con richieste di aiuto.
Il primo bollettino ufficiale diramato dalle autorità locali delinea un quadro alquanto disastroso: si conterebbero oltre 1000 morti e almeno 1500 feriti. Numeri che, come si può facilmente immaginare, sono destinati a crescere vertiginosamente man mano che si procede con le operazioni.
Bilal Karimi, portavoce del governo reggente, ha dichiarato su Twitter: “Chiediamo alle agenzie umanitarie di fornire soccorsi immediati alle vittime del terremoto per prevenire una catastrofe umanitaria”.
È risaputo che l’Afganistan, a causa della sua posizione geografica, è un territorio particolarmente sismico. Ciò è dovuto ai vari movimenti tellurici che interessano le montagne dell’Hindu Kush, dove si scontrano la placca tettonica indiana con quella eurasiatica.
Già nel 2015, e prima ancora nel 2002 e nel 1998, il nord est del Paese fu colpito da un forte terremoto della stessa intensità in cui persero la vita rispettivamente oltre 200, 1000 e 5000 persone.