SUPERBIA SPIRITUALE: UN MALE UNIVERSALE
Papa Francesco: “Nell’umiltà diventiamo capaci di portare a Dio ciò che siamo”

Nell’Angelus domenicale, il Santo Padre ricorda come spesso si tenda a cadere nella trappola dell’io, accantonando la strada maestra che conduce a Dio. È questo il male del nuovo millennio, da cui nessuno è esente, neppure i fedeli più virtuosi.
Le parole del Pontefice sono chiare e lineari, indugiando in una attenta riflessione: "Salire esprime il bisogno del cuore di staccarsi da una vita piatta per andare incontro al Signore; di elevarsi dalle pianure del nostro io per salire verso Dio; liberarci del proprio io, di raccogliere quanto viviamo a valle per portarlo al cospetto del Signore. Questo è salire, e quando noi preghiamo saliamo".
La fatica del salire non deve essere necessariamente il passaggio più temuto. Vero, comporta sforzo e dedizione, ma la gioia di vedere il frutto del proprio impegno non ha eguali. Dio ci chiede questo: salire andando oltre i nostri pregiudizi, oltre le catene che ci impediscono di scorgere la via della luce. È difficile da ammettere, ma anche per le nostre comunità parrocchiali sussiste il pericolo di chiudersi a riccio. Crescere vuol dire non fare un passo indietro per salvare le apparenze, bensì essere realmente disposti a cambiare atteggiamento. Bergoglio non ha dubbi e avverte i fedeli in piazza San Pietro: "Nell’umiltà, infatti, diventiamo capaci di portare a Dio, senza finzioni, ciò che siamo, i limiti e le ferite, i peccati e le miserie che ci appesantiscono il cuore, e di invocare la sua misericordia perché ci risani, ci guarisca e ci rialzi. Sarà Lui a rialzarci, non noi. Più noi scendiamo con umiltà, più Dio ci fa salire in alto".
L’umiltà ci rende liberi da qualsiasi forma di schiavitù mentale e fisica, perché mettere al primo posto Dio vuol dire rinascere, spezzare le catene limitanti. A giudicare spregiudicatamente è invece la voce del male, che ci fa dimenticare come dietro ad ogni persona si nasconda un vissuto unico e irripetibile: "Pensando a loro, guardiamo a noi stessi: verifichiamo se in noi, come nel fariseo, c’è ‘l’intima presunzione di essere giusti’ - afferma Francesco - che ci porta a disprezzare gli altri. Succede, ad esempio, quando ricerchiamo i complimenti e facciamo sempre l’elenco dei nostri meriti e l’elenco delle nostre buone opere, quando ci preoccupiamo dell’apparire anziché dell’essere, quando ci lasciamo intrappolare dal narcisismo e dall’esibizionismo. Vigiliamo, fratelli e sorelle, sul narcisismo e sull’esibizionismo, fondati sulla vanagloria, che portano anche noi cristiani, noi preti, noi vescovi ad avere sempre una parola sulle labbra. Quale parola? ‘Io’".
Il discorso pronunciato dal Santo Padre non deve essere dato per scontato, in nome di un Gesù che si è fatto uomo per noi, caricandosi di ogni peso. Quello della croce non è simbolismo, ma un vero atto d’amore verso il prossimo. Un amore così grande da andare oltre ogni offesa e menzogna.
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