SULLE TRACCE DEL GRAAL (Quinta parte)

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Abbiamo lasciato Bari tenendo a mente quanto emerso da una possibile interpretazione del crittogramma della Basilica di San Nicola, a Bari, in cui si accennava a Galvano, uno dei leggendari Cavalieri della Tavola Rotonda. Ed in Italia esiste un luogo in cui una spada è incastrata nella roccia, come l’Excalibur del ciclo arturiano, ed il cui proprietario si chiamava appunto Galgano. Ma prima di recarci nei dintorni di Siena, dove si trova quella lama, passeremo per un luogo poco considerato come nascondiglio del Graal, l’Abbazia di Farfa.

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Si tratta di un edificio costruito in Sabina, nel Lazio, fondata da un monaco proveniente dalla Siria, che per coincidenza si chiamava Lorenzo. Questo nome si ripete spesso nella storia del Graal, sia a Genova che a Roma infatti i luoghi di culto che sembrano aver ospitato la Sacra coppa sono intitolati a questo Santo. E poi, tornando a Farfa, bisogna sapere che tra le varie leggende che circondano questo luogo, una in particolare ricorda un contenitore. Tutto inizia con Carlomagno, in viaggio verso Roma per essere incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero, ospitato dai monaci dell’abbazia. Ebbene, il re carolingio donò ai monaci, sempre secondo quanto si racconta, un cofanetto molto prezioso, al cui interno erano celate altre ricchezze. Purtroppo il cofanetto andò perso, forse fu trafugato durante una invasione dei saraceni, o forse venne nascosto e poi si perse il ricordo del nascondiglio. Ancora oggi nessuno sembra abbia trovato quel tesoro, ma se invece non fosse stato un dono prezioso in senso stretto? Se il tesoro fosse stato ben altro? D’altra parte non bisogna dimenticare che i Carolingi sostituirono i Merovingi alla guida della Francia, e secondo una teoria ripresa anche ne “Il codice Da Vinci”, essi erano i discendenti ultimi della casa di Maria di Nazareth. Inoltre, giova ricordarlo, nell’anno 804 Carlomagno invitò il Papa Leone III a Mantova per verificare se il presunto “sangue di Cristo” ritrovato in località “Gradaro” ( che curiosa assonanza con gradale e cioè graal) nel l’803 fosse realmente ciò che si diceva.

cms_6998/3a.jpgMa Mantova era dominata dai francesi già da diversi anni, e di quel sangue ritrovato sembra che Carlomagno ne prese una parte. Quindi, rimandando indietro le lancette del tempo, proviamo ad immaginare un re francese, a conoscenza della presunta discendenza dinastica dei Merovingi, che si trova tra le mani il sangue del Salvatore, e che indeciso sul da farsi ne lascia una parte dove è stato ritrovato, seppur dopo aver compiuto le sue di indagini, poi avvisa le autorità ecclesiastiche supreme, il Papa, non senza prima aver portato al sicuro, in un luogo sconosciuto, eretto da un monaco di nome Lorenzo, una parte di quel ritrovamento, definendolo preziosissimo, senza dubbio di maggior valore rispetto a gemme ed ori. Sono fantasie senza dubbio, anche se poi, tornando sempre indietro tra le nebbie della storia e del tempo, Carlo Magno, come Re Artù, aveva anche egli una spada mitologica, Joyeuse, il cui nome è di origine ignota, ma stranamente una spada con lo stesso nome figura anche tra il ciclo dei Cavalieri della Tavola Rotonda, ed era il nome della spada di Lancelot du Lac, Lancillotto. Impossibile dimenticare che anche Orlando aveva una lama magica, Durlindana, in grado di tagliare la pietra poiché era indistruttibile. La spada di Artù ad un cavaliere di Carlo Magno e la spada di un cavaliere di Artù al re francese? Impossibile, certo, ma d’altra parte si stanno percorrendo tracce impresse non solo nel tempo e nella storia ma anche e soprattutto nella leggenda, nel mito. E poiché di spade e cavalieri si parla, si può riprendere la marcia verso la Spada nella Roccia, verso Monte Siepi, per concludere questa camminata attraverso i secoli e l’Italia, seguendo la scia di qualcosa che ancora oggi ha il potere di far parlare di se.

Paolo Varese

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