STORIA DI STORIE DIVERSE - XLXIX

Insegnanti di sostegno allo specchio: la disabilità tra difficoltà e gratificazione

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cms_22726/Foto_1.jpg“Storia di storie diverse”, ovvero storie di alunni disabili, persone con caratteristiche speciali, con limitazioni visibili ed innegabili potenzialità.

Il loro percorso scolastico, le difficoltà incontrate e quanto sia ancora difficile oggi parlare di integrazione nella scuola italiana.

Negli articoli della rubrica si affronteranno anche le problematiche più generali del sistema scolastico, con una visuale privilegiata, quella di chi lavora al suo interno.

Divento docente di ruolo nel 2001, assunta a tempo indeterminato dal Ministero della Pubblica Istruzione. Governava Silvio Berlusconi mentre Letizia Moratti era Ministro dell’Istruzione. Con un suo decreto furono assunti 70.000 insegnanti tra cui io, appena ventiseienne; avevo concluso il corso di sostegno presso l’Università di Bari. Se penso a questi vent’anni di lavoro, affrontati con impegno, mi sento un po’ delusa. Io non ho mai insegnato alla classe e quando ho provato a chiederlo la risposta è stata piccata. Insegnare in forma disgiunta da quanto avviene in classe è un avvilimento perché l’alunno in difficoltà si demotiva, si accorge che lui fa cose diverse.

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L’insegnante di sostegno non riesce a ridestare la motivazione e trova una difficoltà nel portare avanti il lavoro didattico, che non va svolto con coercizione. L’alunno si percepisce isolato, lontano dagli altri; spesso il suo banco e quello dell’insegnante di sostegno sono posti in fondo alla classe, come se fossero un’isola. Non si va fuori dalla classe però si crea, al suo interno, uno spazio separato.

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L’insegnante di sostegno è relegato in un angolo, non può quasi parlare, viene zittito ed è elemento di disturbo. Non abbiamo il diritto di fare lezione e di sentirci insegnanti. Spesso mi sono spazientita e ho reagito, nell’altrui disinteresse. Se il bambino aveva una crisi, ad esempio, non doveva essere portato fuori dalla classe ma erano compagni e insegnanti a dover stringersi attorno a lui, aiutandolo a superare le difficoltà.

Una volta è accaduto che Virginia, l’alunna che ho seguito, svolgesse il compito di matematica in modo estremamente corretto, io ero galvanizzata; quando dissi alla collega di classe di avvicinarsi alla bambina per rendersi conto del lavoro che aveva svolto e complimentarsi con lei, né mi disse di sì, né venne. Io rimasi irreparabilmente delusa perché l’insegnante di classe è molto importante per gli alunni disabili: rappresenta la normalità, il sentirsi come gli altri. Il fatto che non sia stata data importanza a questa richiesta, dall’alto valore simbolico, è piuttosto grave. Andando, la maestra avrebbe fatto capire che era lì, in classe, anche per lei, che era la sua maestra e che, anche se per poco, sarebbe rimasta a gratificarla per il lavoro svolto.

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È questa la ragione per cui sto cercando di cambiare lavoro: provo ripugnanza per questi sistemi di discriminazione degli alunni disabili, è un apartheid coperto; sono anche delusa che il dirigente scolastico non intervenga rispetto al verificarsi di dinamiche così gravi, ormai entrate nella consuetudine. Lascio il sostegno per essere libera di insegnare, per un nuovo percorso che - se dovessi ottenere il passaggio - potrebbe condurmi ad interfacciarmi con migranti o detenuti.

Vincenza Amato

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