SILVIA CAPOCCIA
Il mondo dalla finestra

Siamo nella provincia di Frosinone, cuore del nostro Bel Paese, per incontrare Silvia Capoccia, fotografa per vocazione.
Giovane donna con le idee chiare, ha compiuto con coraggio un passo che pochi riescono a fare o, quanto meno, a mantenere.
Dall’esterno all’interno, dal fuori ad dentro, dal visibile all’invisibile, dalla materia all’anima: questo è il grande salto di Silvia Capoccia, salto che non solo le ha cambiato prospettiva ma - mi azzardo a dire - l’intera esistenza.
Silvia Capoccia
Non lasciamoci ingannare dalla sua giovane età e dal suo aspetto sbarazzino: Silvia è dotata di una rara profondità che le permette di andare oltre al visibile, cogliendo quanto di più intimo e segreto si cela dietro a un’immagine.
La scelta della fotografia in bianco e nero non fa che confermare quanto sinora detto, come lei stessa assume: “Per me la fotografia è un qualcosa in divenire, tant’è che sono costantemente alla ricerca del linguaggio espressivo che possa raccontare il più fedelmente possibile ciò che ho dentro. Il bianco e nero è questo linguaggio in quanto, più del colore, è in grado di “scarnificare” l’immagine e di scendere in profondità. La fotografia è il veicolo attraverso il quale mi spingo nel profondo di una situazione, di una persona, di me stessa”.
Non è necessario essere degli esperti per rendersi conto che queste non sono soltanto parole.
Una serie di scatti, risalenti al periodo del lockdown, ne sono una chiara testimonianza.
Si tratta di un progetto che nasce come tributo alla sua terra - la Valle di Comino - splendido scenario in provincia di Frosinone, a ridosso dell’Appennino abruzzese e del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.
Una terra, però, vista dalla finestra, dal segreto della propria casa in quanto le disposizioni di quel periodo ci obbligavano a questa limitazione.
La finestra di casa è diventata così il filtro attraverso cui guardare il mondo, scorgendo magari nuovi e significativi dettagli rimasti anonimi fino ad allora.
“Quello che mi piace sottolineare è l’emozione che ognuno di noi, attraverso il proprio sguardo, riesce a carpire del posto in cui si trova - spiega. Il progetto conta dodici foto, ovvero dodici vedute da dodici case diverse. Gli scatti colgono solo in parte sia la realtà esterna che quella domestica: sono scorci che, più che vedere, lasciano filtrare una realtà diversa, nuova rispetto a quella conosciuta fino ad allora. Il periodo che stiamo vivendo, con la sua reclusione forzata, fa sì che l’accento si sposti sull’introspezione di noi stessi più che sull’osservazione del mondo esterno.”
Abituati - giustamente - alla libertà, perdiamo spesso la capacità di fermarci non tanto a guardare ma a VEDERE; quando invece il mondo si ferma, tutto scorre più lentamente ed ecco che emergono nuove sfumature che, diversamente, non avremmo colto.
“A casa di Elena” - photo by Silvia Capoccia
È chiaro che dietro ogni macchina fotografica c’è una persona, con la sua personalissima visione della realtà; l’obiettivo non fa che cogliere questo moto dell’anima che si manifesta spesso ad insaputa del suo autore.
Dalla visione d’insieme, Silvia Capoccia estrapola non tanto il dettaglio quanto lo scorcio, quel “vedo-non vedo” la cui funzione è di invitarci ad entrare ed esplorare con i nostri occhi.
“Questo tipo di scatto suggerisce piuttosto che rivelare - spiega. È un invito ad aprire la finestra sulla realtà che ci circonda, a buttare l’occhio su qualcosa che pensiamo di conoscere ma che realtà non conosciamo poi così bene. Quando ho pensato di fare un tributo alla Valle di Comino, ho scartato subito l’idea del paesaggio: avrebbe certamente rivelato in maniera plateale questa zona ma avrebbe incuriosito di meno. In questo modo, invece, lo spettatore rimane avvolto da questo alone di mistero.”
A questo punto to viene spontaneo chiedersi: guardare e vedere sono sinonimi?
“No, non credo lo siano - afferma - direi che sono piuttosto consequenziali: non si può guardare senza vedere e non si può vedere senza guardare. Forse in un primo momento possiamo lasciarci prendere dal fattore più evidente, ovvero dall’immagine. Dopo, però, il passaggio verso l’introspezione è obbligato: è questa la differenza tra guardare e vedere.”
In questo senso credo che il contributo degli artisti - fotografi o di qualunque altra scuola - sia fondamentale: è grazie a loro che le persone prendono consapevolezza di ciò che hanno, della bellezza del mondo e della spiritualità di cui è rivestito.
“Autoritratto con rosa bottiglia e bicchiere” - photo by Silvia Capoccia
In un periodo storico così particolare come quello che stiamo vivendo, ci rendiamo meglio conto di quanto il nostro sguardo si fosse abituato a guardare senza vedere, proprio perché le cose facevano parte di un quotidiano percepito in maniera un po’ troppo superficiale. Oggi viviamo più consapevolmente, perché abbiamo compreso che nulla è scontato e che anche le cose più semplici fanno parte di un universo di umanità e di equilibrio di cui non possiamo fare a meno.
“La fotografia fa un po’ da zoom, come se ci spiegasse in qualche modo il tempo, aiutandoci ad andare in profondità. Supponendo che il tempo viaggi in linea retta,
grazie alla fotografia esso acquisisce un movimento più perpendicolare: scavando nel profondo allarga i dettagli, permettendoci di cogliere quei momenti che, diversamente, ci sfuggirebbero.”
L’intervista che segue è stata realizzata da “Tavoli HeArt” per la Social TV della storica Libreria Bocca di Milano, all’interno della splendida cornice di Galleria Vittorio Emanuele II.
La Libreria Bocca dal 1775 è locale Storico d’Italia con il patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali.
L’articolo è pubblicato su “International Web Post” che, nella persona del suo fondatore e direttore Attilio Miani, si fa portavoce della partnership tra un magazine di informazione internazionale e una libreria storica unica nel suo genere.
#socialtvlbocca
Dove trovare Silvia Capoccia:
https://www.facebook.com/silvia.capoccia.33
https://www.instagram.com/silvia.capoccia/
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