ROMA INDIMENTICABILE CITTA’

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Non sono qui a rammentare come Roma sia magica per bellezza, a questo proposito però, mi piace immaginare lo stupore dei rappresentanti dei governi durante i Trattati di Roma, firmati il 25 marzo del 1957 nella Sala degli Orazi e Curiazi di Palazzo dei Conservatori, a Roma, che fu il secondo grande passo per la costruzione dell’Unione Europea, (il primo era stato completato sei anni prima, il 18 aprile 1951, a Parigi). Dunque mi piace immaginare la loro meraviglia quando si sono affacciati al Belvedere del Tabularium, dopo aver magari visitato i Musei Capitolini, convinti che niente più li avrebbe stupiti e invece hanno scorto un panorama mozzafiato sul Foro Romano, magari al tramonto, avranno certo pensato… ah questa Italia!

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Vista del Foro Romano da Palazzo da Tabularium/Palazzo Senatorio- Roma

Non è di questo che intendo scrivere, ma di un mio ricordo legato alla città eterna. Qualche anno fa, assieme a parenti stretti, abbiamo deciso di visitare Roma durante il Ferragosto, sfidando il caldo atroce, pensando che essendo i romani in ferie, fosse possibile visitare la città più facilmente, decisione sbagliata perché molti turisti avevano avuto la stessa idea. Questa volta mi ero ripromessa di visitare San Pietro, avevo già visitato i Musei Vaticani, ma non la Basilica. Avevo lasciato San Pietro, sempre per una prossima volta, ero un po’ restia, tutti quegli ori, quell’enorme baldacchino berniniano, San Pietro mi sembrava il volto della Chiesa reazionaria, marciante e trionfante, non so, forse per questo non mi aveva mai attirato e tutte le volte che mi ero detta-dai andiamo- la fila per entrare mi sembrava sempre troppo lunga, questa volta avevo deciso che l’avrei vista anche all’interno e purtroppo ho un grande difetto, sono testarda come un mulo. Le giornate erano trascorse veloci, allegre e in buona compagnia, con arte, storia, passeggiate, incetta di libri strani, gustose cene e naturalmente escursioni quotidiane in via Margutta. (Prima di continuare il racconto, due parole su via Margutta, questa strada verde, piena rampicanti e di edera, col fico ruminale, le botteghe artigiane, i negozi d’antiquariato, le gallerie d’arte, le scritte e le poesie, il marmista dove ho acquistato il quadrato del Sator, ha un valore proprio di bellezza amena, quasi arcadica. A ciò si aggiunge un pregio che evoca l’antico mos maiorum: i commercianti, gli abitanti, la mattina presto puliscono e lavano, non solo il loro ingresso, ma tutta la strada. Ciò mi ha rammentato che non molti anni fa, ma sembra siano passati secoli, i contadini del mio paese, tenevano pulito l’argine del fiume che passava accanto alle loro case, ognuno falciava la riva che delimitava il loro podere, oggi l’argine del fiume è invaso di erbacce e si critica e si inveisce contro il Comune che deve intervenire in tutto ciò che è pubblico, dimenticando che se è pubblico è anche tuo non solo degli altri.)

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Via Margutta- Roma

L’indomani era l’ultimo giorno di permanenza e la mattina dopo avrei visitato San Pietro, ma camminando nei pressi del Foro, con la testa verso l’alto, ho inciampato su un sampietrino divelto e siccome ero con i sandali bassi, l’unghia dell’alluce si è alzata di circa un centimetro, un dolore terribile. L’albergo era vicino, sono stata medicata e confortata, sollecitata ad andare al Pronto Soccorso e a richiedere i danni al Comune. Ho accettato solo la medicazione e gli antidolorifici, all’ospedale non sono andata, non volevo perdere tempo, men che meno chiedere un risarcimento, sono io che non sto attenta e osservo sempre di qua e di là senza guardare dove metto i piedi. La notte ho dormito poco, il piede mi doleva, l’alluce pulsava e sembrava dovesse prendere fuoco, ma non ho detto nulla. Il mattino dopo a colazione, ho finto di stare benissimo, altrimenti mia nuora e mio figlio mi avrebbero certo trattenuta, ho preso un antidolorifico e mi sono diretta, zoppicando verso il Vaticano con il piede fasciato. Dopo un po’ il dolore non lo sentivo più, forse l’effetto dell’antidolorifico o forse le mie endorfine eccitate dalle bellezze di Roma, in fin dei conti avrei visto dal vero una delle opere che in gioventù consideravo la più splendente, ovvero la Pietà di Michelangelo.

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Via Margutta- Roma

Dopo più di un chilometro a piedi, arrivo a Piazza San Pietro, la fila è molto lunga, ci sono i controlli antiterrorismo, mi accodo contando di farcela ad entrare in circa due ore. Osservo che c’è un ingresso privilegiato per chi accede alla Messa, per lo più sono religiose e frati. Non posso accedere da lì perché non ho il tempo materiale per ascoltare la funzione, quindi sto buona, buona, in fila ad aspettare. Il piede inizia a dolermi, ingoio una pasticca con un sorso d’acqua, nel mentre un gruppo di giovani mi si avvicina. Penso vogliano chiedermi un’informazione, invece in inglese mi dicono che sono una maleducata, che ho oltrepassato la fila, con la coda dell’occhio vedo, con orrore che hanno ragione, ero entrata da una parte a metà piazza e non mi ero accorta che la fila era oltre il doppio, in breve ne avevo saltata la metà. La regola mi imponeva di indietreggiare e di scusarmi, ma ero stanca, accaldata, sola e dolorante e quei ragazzi potevano apostrofarmi più gentilmente e soprattutto, se avessi indietreggiato così tanto, non sarei riuscita ad entrare perché il tempo a mia disposizione era ormai finito. Così decisi di fare la gnorri, di far finta di non comprendere l’inglese. I ragazzi ne dissero di tutti i colori, su di me e sugli italiani, minacciarono di chiamare i carabinieri, uno di loro pure vi si incamminò, io stavo muta e allocchita sopportando le ingiurie, che ritenevo la mia giusta punizione, poi ci fu l’apertura da parte dei militi e una ventina di persone entrarono tra cui i ragazzi e tutto finì lì. Le altre persone rimaste, non mi dissero nulla anzi qualcuno mi fece un sorriso. Un’altra mezzora ed entrai, con un pizzico di tristezza per quello che era accaduto.

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Baldacchino- Gian Lorenzo Bernini tra il 1624 e il 1633- San Pietro- Roma

-Oh! Finalmente dentro! - Fu allora che mi prese un certo non so che, un che di straniamento, la testa sembrava galleggiare nel vuoto, non so spiegarlo. Giusto il tempo di intravedere il baldacchino, poi mi diressi alla zona cordonata, all’accesso per i fedeli, improvvisamente volevo confessarmi. L’addetto mi guardò in tralice, si capiva che non si fidava di me, forse pensava che cercassi un accesso privilegiato. “È sicura?” E intanto guardava il mio aspetto fru fru. “Sì”, risposi, stando col volto nascosto perché stavo piangendo di commozione, quel pianto che è un misto di dolore e di felicità. Tolsi il foulard che avevo legato alla tracolla della borsa, lo misi in testa. Mi confessai. Poi segui la Messa, feci la Comunione, sempre col fazzoletto sui capelli e col volto nascosto perché il pianto non mi ha lasciato se non alla fine della liturgia. A quel punto mi sono alzata, ho tolto il fazzoletto e sono uscita velocemente senza dare un’occhiata a nessuna opera d’arte. In quel momento mi sentivo sazia di ogni cosa, non avevo bisogno di arte e di nient’altro, ero in stato di grazia. La sera stessa, già di ritorno a casa, sono andata dal mio medico, che mi ha prescritto sei giorni di antibiotico; l’unghia dell’alluce mi è caduta dopo un mese e ricresciuta dopo sei, così la Pietà michelangiolesca non l’ho vista neppure quella volta, ma…“Soldato che fugge, è buono per un’altra volta”.

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Son la Pia- dedicato a Pia de Tolomei-Purgatorio Canto V

Paola Tassinari

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