RISCHIO GUERRA CIVILE IN ISRAELE

Al centro delle proteste, la riforma della giustizia

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cms_29887/0.jpegProseguono le proteste in Israele contro la riforma della giustizia voluta dal governo Netanyahu che, pubblicamente, in un discorso alla nazione, ha propeso per un maggior dialogo, rinviando a dopo Pasqua la sua discussione parlamentare. “Non possiamo avere una guerra civile”, ha dichiarato, per cui “troveró una soluzione a tutti i costi”. “Sono responsabile di fronte alla nazione, per questo ho deciso di posporre la seconda e la terza tornata di voti alla Knesset (il parlamento israeliano, ndr)”. Insomma, per il momento si prende tempo sperando di calmare gli animi nonché di “raggiungere un’intesa”, con una proposta, quella attuale, che è stata accolta dall’opposizione. Lo scontro, non solo di piazza, è diventato istituzionale dal momento che era stato proclamato uno sciopero ad oltranza che aveva coinvolto persino le ambasciate israeliane nel mondo. Anche la sede di Roma aveva aderito alla protesta: “L’Histadrut, il maggiore sindacato israeliano, ha dato indicazione di scioperare a tutti i dipendenti governativi, incluse le missioni diplomatiche israeliane nel mondo. L’Ambasciata d’Israele rimarrà chiusa da oggi (27 marzo) fino a nuovo avviso e non saranno forniti servizi consolari”. Al centro delle proteste le riforme giudiziarie che, secondo i manifestanti, indeboliscono il ruolo della Corte Suprema e, in generale, il sistema giudiziario. La riforma osteggiata, infatti, prevede che i 15 membri della Corte Suprema vengano nominati dal governo e non solo: per respingere una legge (contraria ai principi fondamentali) servirebbe la maggioranza assoluta da parte dei suoi membri. Il testo passerebbe poi nuovamente al parlamento che, questa volta, potrebbe decidere a mera maggioranza semplice, annullando di fatto le attività di detta Corte Suprema. Di fatto il governo non avrebbe più nessuna forza a contrastarlo.

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La situazione, comunque, dopo le parole del premier giunte nel corso della serata, sembra essere rientrata: “Lo sciopero che ho annunciato questa mattina finirà”, ha annunciato ieri Arnon Bar-David, presidente del sindacato in questione. Israele è stato pressoché paralizzato, per via delle proteste che sono insorte in diverse città, tanto che lo stesso premier è stato costretto nei giorni scorsi a stemperare gli animi con un messaggio: “Chiedo a tutti i manifestanti, di destra e di sinistra, di comportarsi in modo responsabile e non agire violentemente”. “Siamo tutti fratelli”, ha scritto su Twitter. Anche il presidente israeliano Isaac Herzog aveva chiesto a Netanyahu di bloccare le fasi legislative del disegno di legge. Dello stesso pensiero il ministro della Difesa Yoav Gallant che, come il capo dello Stato, aveva chiesto al premier di fare un passo indietro. Una presa di posizione però che gli è costata il posto, dal momento che è stato licenziato. Ma Gallant ne era consapevole, tanto che aveva dichiarato di essere disposto a “pagare un prezzo personale” per le sue idee. Aveva persino avvertito, “in quanto ministro della Difesa di Israele”, che “le lacerazioni che si stanno verificando nella nostra società stanno penetrando anche nell’esercito e nelle altre istituzioni di sicurezza”.

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Le pressioni sono state tante, nella giornata di ieri si era dimesso anche il console generale di Israele a New York, Asaf Zamir, con delle dure parole a sostegno della propria decisione: “Considero mio dovere garantire che Israele rimanga un faro di democrazia e libertà nel mondo” e, per tal motivo, “non posso continuare a rappresentare questo governo”. Preoccupazione anche da parte degli Stati Uniti, che sono stati informati della decisione imminente del “congelamento della riforma”. Il ministro della Giustizia Yariv Levin, promotore del disegno di legge, “rispetterà” qualunque decisione da parte del primo ministro, compreso evidentemente il suo blocco, sottolineando però che questo stop potrebbe avere ripercussioni sulla tenuta del governo. L’appello alla sospensione del progetto legislativo viene anche dalle comunità ebraiche all’estero, in particolare da quelle francese che, per voce del Consiglio Rappresentativo delle Istituzioni Ebraiche, chiede “al governo israeliano di sospendere la riforma in corso per ripristinare al più presto la calma e il dialogo con tutta la società”.

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Intanto, l’aeroporto di Tel Aviv è stato bloccato a causa della massiccia adesione agli scioperi, tanto che tutti i voli in partenza sono stati cancellati. Si è fermato anche il porto di Haifa, il più grande del paese. Anche il sistema sanitario nazionale ha incrociato le braccia: il sindacato dei medici israeliani ha dichiarato che avrebbe sospeso le attività finché la riforma non fosse stata definitivamente abolita. Netanyahu ha vinto le elezioni soltanto un paio di mesi fa, costituendo un governo di estrema destra, il più estremo nella storia. Si pensava che la spinta destrofila potesse essere contenuta, invece il neopremier ha inserito diversi esponenti nei ruoli chiave del paese, dando vita a una serie di riforme che, secondo alcuni, snaturano il sistema democratico dello stato ebraico. Il pericolo, previsto da alcuni e ora paventato dallo stesso Netanyahu, è che possa preannunciarsi una vera guerra civile come conseguenza delle azioni dell’attuale governo.

Enrico Picciolo

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