RILEGGENDO POESIA - REMO PAGNANELLI

Forse l’eterno è in questo dormiveglia

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cms_21666/F2.jpg“Dove vado io (?) e m’allontano, / piccolo niente acciarinoso, / (sopra il tempo rovinoso), / se non verso la compagnia / di altri acciarinosi nella notte, / nell’aria bassa e calda, / in realtà sapendo delle rapide, / ma anche della familiarità”. Remo Pagnanelli, affermava Gianni D’Elia, è stato poeta, soprattutto, di questo sentimento di sconfitta collettivo, patito di fronte all’anima della rovina singolare, senza organizzazione, solidarietà e sostegno visibili. (POESIA, n. 29/anno III, maggio 1990).

Infatti, proseguiva D’Elia in quell’articolo, nulla può esservi se non la constatazione della inerme piccolezza del proprio io: troppo debole per sopportare prima le normative urgenze delle ideologie, e poi la loro veloce e artata decomposizione. “La scrittura testamentaria prevede / una poetica della memoria.”

cms_21666/F1.jpgRemo Pagnanelli (1955-1987) è stato lettore militante e generoso di poesia: era segno di una fame di senso delusa, e di una febbrile attività per circuirla e nutrirla di affetto e amicizia per gli altri, per il testo degli altri, attraverso una lucida e rara intelligenza. Ecco qualche cenno biografico (da: https://www.remopagnanelli.it/biografia.htm). Dopo aver conseguito la laurea in Lettere, per un breve periodo, è stato docente all’Accademia di Belle Arti di Macerata, specializzandosi successivamente in Scienze e Storia della Letteratura italiana all’Università di Urbino. Molto ricco è stato il suo impegno nell’ambito della critica letteraria, documentato da innumerevoli recensioni su poeti e scrittori contemporanei e dai saggisu Montale, Sereni, Fortini, Caproni, Luzi, Giudici, Penna, Bellezza, Bertolucci,Loi, Majorino, Volponi, Noventa e Zanzotto.

All’attività della critica letteraria ha affiancato quella della versificazione, facendo nascere scritti critici e poetici nei quali la considerazione sull’esistenza e sull’essenza stessa della poesia, si intersecano spesso con l’arte e la psicanalisi. Insieme a Guido Garufi, ha curato l’antologia Poeti delle Marche e fondato la rivista Verso, conosciuta anche all’estero e centro di un seminario all’Università di Firenze.

Muore di propria volontà a Macerata, il 22 novembre 1987, all’età di 32 anni

Il comune di Macerata (città natale di Paganelli, NdA) gli ha intitolato una via. Sul sito https://www.literary.it/dati/literary/l/lenti/attraverso_il_presente_di_remo_p.html troviamo lucida e interessante un’analisi recente sulla poetica di Remo Pagnanelli, che proponiamo ai lettori: Remo Pagnanelli scrive dal 1975 al 1987: dodici anni pieni di soprassalti politici e sociali, di cambiamenti per quanto inavvertibili, avvertiti e sofferti da chi li viveva, di instabilità, di prosopopee, di superficialità nell’analisi della realtà sia passata sia in corso di svolgimento, di rifiuti della tradizione o di abbarbicamenti ad essa, di eventi ed avventure culturali in bilico tra l’effimero e la durata non appagante, tra lo scherzo e l’imprendibile serietà, tra la concrezione rococò di “nuove” forme culturali e il disfacimento, provocato e conclamato, dei lasciti e delle forme consolidate, di spiazzamenti finanziari e difficoltà economiche e sociali, di facili entusiasmi per qualche cosa che era e avrebbe potuto, poteva, anzi doveva continuare ad essere e prefigurazioni allarmanti di un futuro rovinoso, di analisi lucide del vivere non si sapeva più bene su quali fondamenti, su quali rifiuti, su quali differenti possibilità e incontri esistenziali, di leadership rampanti, di intellettualità meno ascoltata o denegata, insomma di una “mutazione antropologica” che riguardava molti settori della vita politica e culturale. “Per quanto inavvertibili”! Il Muro di Berlino era ancora in piedi, e la globalizzazione un’ipotesi tutta da definire. Erano gli anni del “riflusso nel privato” e della “Milano da bere”, espressioni frequentissime all’epoca. Remo Paganelli si era accorto del futuro. Non gli era piaciuto.

Forse l’eterno è in questo dormiveglia

Forse l’eterno è in questo dormiveglia
di calce mista a biacca senza bagliore,
che elude in inganno ogni virile
aspettazione. Piè Veloce non agguanta
la sua tartaruga né noi il tratto esiguo
d’una giornata.

Vorrei questi versi riversi come un cane
che si abbandona all’agonia.

Raffaele Floris

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