RILEGGENDO POESIA – LUCIO MARIANI

Quali barbari

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cms_29542/poesia.jpgAndrea Cortellessa affermava, nel dicembre 2007 (n. 222): “Lucio Mariani più che classicista è autore classico: perché i riferimenti, nella sua poesia frequenti, al luminoso repertorio del pensiero e delle lettere dell’Antico sono sì orchestrati con la sicurezza del cultore non occasionale, ma altresì con un senso di evidente, stringente necessità.

L’articolo riguardante questo importante autore s’intitolava L’accia del gomitolo e faceva riferimento a Parola estrema, canzoniere che Mariani pubblicò in quell’anno. Un altro articolo, su quello stesso numero, portava la firma di Vanna Gazzola Stacchini e si intitolava Verso il silenzio.

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Lucio Mariani, nato nel 1936, è morto nel 2016. Vediamo come viene presentato da https://www.treccani.it/enciclopedia/lucio-mariani, premettendo che esiste un omonimo altrettanto illustre, un archeologo nato a Roma nel 1865 e morto nel 1924. La sua ispirazione è contrassegnata da un linguaggio espressivo – spesso arditamente innovativo – che riflette sulla condizione umana e recupera il valore perenne del mito attraverso una poesia che scuote, sovverte i concetti, disorienta le certezze. Poesia come esercizio aristocratico per «esorcizzare l’oblio», espressione di una radicale solitudine, pur nel suo impegno civile; mai consolatoria o decadente, ma virilmente impegnata a interrogarsi sulle esperienze del nostro tempo, sentite come un frammento di storia universale. Nei suoi versi torna frequente una vena di ironia, espressione di forza morale, di lucida consapevolezza critica. Tra le opere: Bestie segrete (1987), Dispersi gli alleati (1990), Pandemia (1990), Il torto della preda (1995), Qualche notizia del tempo (2001), Profondo amor profano (2004), Il sandalo di Empedocle (2005), Parola estrema (2007) e, più recentemente, Traces of time (2015), raccolta di un quarantennio di produzione poetica. Sillogi antologiche sono apparse negli Stati Uniti (Echoes of memory, 2003), in Francia (Connaissance du temps, 2005) e in Spagna (Búsqueda de la sombra, 2008). Ha tradotto i Carmi Priapei (1992 e 1993) e liriche di Vallejo, Corbière, Koltès, Bonnefoy, Warren e Gioia. Nel 1991 ha pubblicato In bassa sapienza, una raccolta di saggi e aforismi. Sulla sua poetica, J. Taylor, Into the heart of the European poetry (2008). (L’ultima pubblicazione è stata Farfalle e Segno, edita da Crocetti nel 2010, NdA). Cortellessa sottolineava il fatto che scrivere del Classico e dell’Antico era per Mariani una “stringente necessità”, mentre altri, magari venuti dopo, ne hanno ostentato l’esclusività quasi snobistica senza realmente detenerla. Per Mariani, infatti, Parola estrema non significava parola pronunciata tardivamente, sull’orlo del congedo, ma primaria, primordiale, originaria. Quando scomparve, nel 2016, Franco Manzoni su Corriere così descrisse la sua poetica: “tradotto nelle principali lingue, Mariani si è contraddistinto per una poetica del dubbio, dove la parola lotta con l’assenza, il desiderio con l’abisso, in forme innovative che disorientano, mentre l’autore analizza la condizione umana nel recupero del valore perenne del mito. I tratti distintivi della sua scrittura risultano di primo acchito la sensualità del lessico, una straordinaria dimensione gnomica, la scissione della parola tra silenzio e senso, lo sguardo ironico e sarcastico sulle vicende umane alle quali partecipa virilmente con impegno civile. Spesso Mariani ha sondato il mistero, quella zona di lacerazione del sacro, in cui lampeggia la condizioneumana, quando il divino si nasconde, il momento in cui sgorga la vocalità della parola annullata, ferita, violentata verso uno stato metamorfico. Così in questo luogo vuoto e puro, ossia purificato, la forma scaturisce da una linea di tensione inaudita sino a ricostruire l’essenza elementare in un tutto apparentemente armonico. La scissione della parola tra silenzio e senso costringe il poeta ad istituirsi custode di quel vuoto, che è comunque in comunicazione con il divino che si ritrae.

Ma non per questo, come prometteva Empedocle, oggi lo scrittore può assicurare agli uomini di essere a metà del ponte che li unisce al divino né tantomeno presentarsi quale loro intermediario. Semmai ha il compito di resistere all’aspirazione degli dèi che scompaiono e ha il dovere di rifondare la civiltà degli esseri umani, che ciclicamente viene travolta. Ecco perché, al di là dei classici greci, possiamo a ragione accostare Mariani a consonanze di pensiero che si rintracciano in Leopardi, Keats, Blake, Baudelaire, Beckett, Montale, Caproni.” Certo, non ci dispiacerebbe sapere a chi si riferiva Cortellessa, quando alludeva a chi “scrivendo come lui da dopo, ne ostenti al contrario l’allure esclusiva, diciamo pure snobistica.” Non facciamo troppi pettegolezzi!

Quali barbari

Non calano dai monti dei Balcani
tracce umane ignorate dalla storia
né abbandonano più remote sponde
per affrontare il mare, aggrovigliati
come resti dell’ultimo pescame
su carrette sospinte dai respiri.
Se appena a terra vanno praticando
costumi ignoti e differenti riti
se balbettano per idiomi astrusi
se hanno altri colori della pelle
e ti chiedono pane per la strada
trascinando le lacere creature
a cui ogni cane abbaia,
non sono quelli i barbari, puoi credermi.

I barbari
vivono in sonno dentro ad ogni uomo
latenti e armati abitano anche in voi
se ne stanno acquattati in mezzo al cuore
dei più miti compagni e dei fratelli
dei miei adorati figli e dei nipoti.
La barbarie s’accartoccia nei corpi
nascosta fra grovigli e gangli oscuri
langue nel nostro sangue e al primo nulla
punge e ispina sia l’osso che la vena
esce rabbiosa e va rasente i muri
a procurare pena con la mossa
d’una violenza appresa nella culla
quando impastiamo l’anima nel buio
coltivando il talento da rapace
sull’esempio di pessimi maestri.


Barbara è questa carne universale
che nasce al male dalla nostra carne.

Raffaele Floris

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