RILEGGENDO POESIA – GIOVANNI STEFANO SAVINO

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cms_29676/poesia.jpg“Anni fa, in una libreria fiorentina, incontrai Mariella Bettarini. Ci salutammo, poi lei mi mostrò un volume delle dedizioni Gazebo che raccoglieva i versi di un ottantenne che teneva nel cassetto cinquanta poesie inedite. Le brillavano gli occhi per l’entusiasmo, poi mi donò il libro, Anni solari, dicendomi che si trattava di un grande poeta.” Comincia così il racconto di Roberto Carifi nella rubrica ’Per competenza’, risalente al maggio 2008, n. 227 del mensile POESIA

Conosceremo meglio, per quanto possibile, Giovanni Stefano Savino che, per sua e nostra fortuna, visse ancora a lungo, ma intanto leggiamo le conclusioni di Carifi. “Il poeta era grande davvero, guidato da un limpido e luminoso lirismo, e ricordo che mi rimase impressa questa epigrafe: Sono un vecchio incantato, vivo e basta. Ora Giovanni Stefano Savino torna con L’acerbo vero, sempre per le edizioni Gazebo, e conferma l’alta qualità della sua scrittura. Mariella Bettarini e Gabriella Maleti hanno scritto per l’occasione una prefazione dove tra l’altro di dice: Che cos’è L’acerbo vero di Giovanni Stefano Savino? È l’acerba, la matura, l’antica-perenne verità della vita, della scrittura, certo. Grande scrittura che ci dice di sé e della vita, due esperienze così distinte e tuttavia parallele, diverse ma intersecanti, parallele misteriosamente co-incidenti più che contigue.” I nostri lettori non si stupiscano: in poesia è un dato di fatto sempre più frequente – e forse questa rubrica un po’ l’ha dimostrato – che poeti “davvero grandi” siano sconosciuti a molti (se non a tutti) e autori appena più che mediocri incensati e osannati oltre il loro reale valore. D’altronde non è cosa facile stabilire cosa sia il reale valore, e definire un poeta veramente grande non è altrettanto facile come per un musicista o un pittore. Stabilito questo, che è un po’ come dire stabilito niente, scopriamo chi era Giovanni Stefano Savino.

cms_29676/Giovanni_Stefano_Savino_.jpgNato a Firenze nel 1920, è scomparso nel 2018. Fu impiegato presso Poste e Telegrafi. Dal 1938 al 1949 fu soldato di leva e in seguito trattenuto dal 1940 al 1945 (come moltissimi altri suoi coetanei: vite sospese sull’abisso della guerra). Successivamente fu insegnante: scuola elementare, scuola media e, alle scuole superiori, d’italiano e storia, dal 1949 al 1979. Ci sarebbe piaciuto sentire qualche testimonianza dei suoi studenti di allora, ma anche considerando esclusivamente il periodo degli anni ’70 le nostre ricerche non hanno dato buon esito. Dal 1979 al 1994 su invito di Giovanni Paolo II aveva scritto saggi di letteratura e musica. Ha sempre vissuto a Firenze. Nel 2005 ecco quanto scriveva Laura Toppan (da https://boll900.it/numeri/2005-i/Toppan2.html). Dopo la pubblicazione di Anni solari, poesie scelte, 1999-2002, Giovanni Stefano Savino ci offre la continuazione di questo suo grande progetto con il volume anni solari II, che raccoglie alcune poesie composte tra il 2002 e il 2004. La selezione è stata fatta su ben 26 raccolte e in una nota all’edizione Gazebo (collana curata da Mariella Bettarini e Gabriella Maleti, «due ali di colomba») leggiamo: «Savino ha nel cassetto ottanta libri di poesia (77 o 106 poesie per libro), scritti dall’agosto 1993 all’agosto 2004».
I numeri balzano agli occhi, a testimoniare dell’urgenza dell’autore di esprimersi in versi, e di una "pratica" giornaliera che segue il ritmo solare delle ore e delle stagioni: «Ritagli di poesia, giorno per giorno, / la dose minima, per rimanere / tra sedia, tavolo, poltrona, sano; / prendo quanto mi basta del passato; / una miniera esaurita il presente / dalla mano del tempo, ricoperta / da pruni; [...]» (da Il Teatro dei soldati, LIII). Savino pare prenderci per mano e delicatamente accompagnarci nella sua intimità quotidiana, nei suoi gesti ripetuti con rigore "da soldato" accanto ai suoi «compagni», gli oggetti della casa. Passato e presente si mescolano e il ricordo della guerra ritorna incessante: «Non cedo la speranza di vedere / con tutti i morti, e i pochi vivi, nuovo / al libro aperto del mare, mattino» (XIV). E le date si trasformano in vivo ricordo: «Liberazione, venticinque luglio, / nascosta nei pensieri più nascosti / come la luce del giorno che viene / a mezzanotte. La notizia giunse / [...] / [...] e divenni un albero / che prende fuoco [...]» (da Le Frange, II).
[…] La difficoltà del vivere ritorna incessantemente nei titoli delle raccolte, come La pertica dei giorni, La parete di ghiaccio, L’ostacolo, L’eco ingabbiata, I giorni schiavi, in cui il poeta ci offre la propria "disciplina" nell’atto di resistere alle intemperie della vita: la pratica dello scrivere: «Sulle questioni ultime non vado / oltre una donna e il suo solido pianto; / nulla è cambiato dal tempo del nonno [...]. Non è cambiato nulla neppure di recente: nella poesia, nella società, nella vita. Nonostante i costumi talvolta ci illudano, sull’onda di sacrosante aspettative libertarie qualche volta mitizzate oltre misura. È un po’ come il paniere dei beni Istat: esce il CD ed entra il saturimetro.

“La testarda ricerca di parole”

dentro il solco profondo della vita,

acchiappando i ricordi come bimbo

nella fossa vicino al movimento

perenne d’onda i girini da mettere

nel secchio. Avrei preferito non crescere

per anni ottanta, rimanere a sette.

Sarei ancora a tavola col padre

e con la madre. Dolgono le strade

divenute dei simboli su carta,

segni di lontananza, e le campane

di Santa Croce, e il lungarno da ponte

a ponte, e l’Arco di san Piero. Sudo;

e non da vanga il sudore, da febbre.

Raffaele Floris

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