RILEGGENDO POESIA – GIORGIO BÀRBERI SQUAROTTI

La voce in corso Francia

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cms_22806/1.jpgProseguendo nel nostro itinerario, ci soffermiamo oggi a sfogliare il n. 55 di POESIA (ott. 1992) e incontriamo, nella rubrica Le città dei poeti – Torino, Giorgio Bàrberi Squarotti, il quale osservava in quella circostanza: “ La Torino dei versi resta, in fondo, racchiusa tutta nelle celebri immagini di Gozzano, che la relegano nell’età del Risorgimento. (…)

Molto più in là non si va davvero negli ottant’anni seguiti a I colloqui, quasi che il paesaggio urbano di Torino sia refrattario a essere messo in versi. (…) Come luogo della letteratura (che nasce soprattutto da altra letteratura e non già dalla vita) Torino è, se mai, città da raccontare. Non credete affatto a chi vi racconti che Torino è una città magica o del sogno. È una città di prosa, invece: il verso, in essa, risuona difficile, stento, come dominato dal timore dell’indiscrezione e dal clamore oratorio.” Premettiamo: chiunque abbia intravisto, nella sua vita, qualche pagina di letteratura, non può ignorare la figura del poeta e grande critico letterario italiano scomparso nel 2017. Se così fosse, ha sicuramente sbagliato pagina. Leggiamo e approfondiamo quanto proposto da Alfredo Rienzi (https://alfredorienzi.wordpress.com/2021/01/07/poeti-di-torino-in-dieci-righe-giorgio-barberi-squarotti/): Giorgio Bàrberi Squarotti(Torino, 1929 – 2017), laureatosi con G. Getto all’Università di Torino, ne è stato Professore ordinario di Letteratura italiana moderna e poi di Letteratura italiana, dal 1967 al 1999, e ha svolto una intensa e importante opera critica, dedicando attenzione anche alla letteratura contemporanea, tra rigore accademico e passione militante. Imponente anche la sua produzione poetica, da La voce roca, Scheiwiller, 1960, fino all’opera omnia, Dialogo infinito, Tutte le poesie in due volumi, Genesi, 2017, che raccoglie i suoi 48 libri di poesia, uscito pochi giorni dopo la sua morte. La definizione, ricorrente, di «anche poeta», se da un lato rimarca la preminente attività di critico, tra i maggiori italiani contemporanei, non deve sminuire la vastissima opera poetica di Giorgio Bàrberi Squarotti, che ritengo meriterà presto maggiori e più sistematici studi di quelli finora ricevuti. Prese le mosse in tempi di sperimentalismo, la sua scrittura si è sempre connotata per la grande attenzione formale, i rimandi colti, l’illuminante creazione di folgoranti figure, quali le fanciulle nude, proustiane jeunes filles en fleur, vestali di Storia, Verità e Natura.

Aggiungiamo inoltre che, con Angelo Jacomuzzi, diresse Letteratura e critica: antologia della critica letteraria presso D’Anna e Critica dantesca: antologia di studi e letture del Novecento.

cms_22806/3.jpgNel 1971 gli fu assegnato il prestigioso premio "Amelia" per la letteratura. Dopo la morte di Salvatore Battaglia divenne responsabile scientifico del Grande dizionario della lingua italiana UTET, presso la quale diresse una Storia della civiltà letteraria italiana. Collaborò a testi e ad antologie scolastiche della Atlas. Consigliere-fondatore della Fondazione Marino Piazzolla, nel 1981 con Gian Luigi Beccaria, Marziano Guglielminetti e Giorgio Caproni istituì la Biennale di Poesia di Alessandria. Per ragioni di spazio non possiamo proporne l’elenco completo delle opere: parliamo di quasi sessanta saggi oltre alle quarantotto sillogi citate da Rienzi. Emblematico, purtroppo, il corsivo di Ottavio Rozzani, sul Corriere. Il 9 aprile è morto. L’evento è stato liquidato presto e in modo anche un po’ banale su qualche pagina di quotidiani. Come ormai avviene regolarmente, il lavoro vero di una persona, fatto durante tutta una vita, non viene più analizzato, non viene più nemmeno apprezzato. Bàrberi Squarotti ha avuto un grande torto o, se si vuole, ha fatto un grande errore: e cioè, in qualsiasi situazione si trovasse, nell’ambito delle diverse attività come letterato, è stato sempre molto generoso verso chiunque gli chiedeva qualcosa, un intervento critico, una presentazione, una prefazione. In realtà, a Bàrberi Squarotti molti poeti, molti critici, devono moltissimo. Attraverso le sue interpretazioni, o attraverso la sua guida pedagogica, molti illustri di oggi gli devono un grazie. Ma pochi se ne sono ricordati. “Leggeva chiunque gli scrivesse,” conclude Alfredo Rienzi, “rispondeva a tutti, e molti, poi, hanno sventolato le sue lettere personali come trofei di caccia.” Anche il cosiddetto mondo della poesia (accettiamo suggerimenti sulle eventuali coordinate, geografiche o metafisiche) dovrebbe dire qualche grazie in più e – se possibile – scrivere qualche brutto verso in meno.

La voce in corso Francia

Nel mattino d’ottobre, silenzioso,
in mezzo ai platani frondosi ancora
di corso Francia sorse d’improvviso
e serpeggiò lunghissima e leggera
di foglia in foglia una voce: interrotta
ora e flebile, ora il gemito dolce
d’amore, ora disfrenato e fervido
il racconto del viaggio sul fiume
torbido e ondoso, fra cannucce e salici
e asfodeli funebri e luminosi
e il rapido strisciare di una serpe
e fragoroso il sorgere delle ali
di uno smergo furioso, e, infine, l’antro
al margine delle acque, di dorato
tufo, caldo, dove paziente aspetta
l’apparizione del suo dio segreto
e distratto, che la deflorò rapido
nell’aprile di gigli e rose un anno
prima o un’altra primavera ancora
più antica: e si perde e poi ritorna
più forte ed insistente, infine solo
sillabe rotte, mentre irrompe il traffico
d’auto e ragazzi e il vento che violento
addensa nubi dolorose e acceca
ogni parola.

Raffaele Floris

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