RE CARPENA

Re Càrpena
La pelle che s’apre, si crepa, mia madre nuda,
vecchia, così la terra che ho tutta intorno. Io scendo
nelle rughe dei pescadur di frodo, dei brach, draghi
di nebbie dal venter de Tesinn. Entro nelle ombre,
in bocca a un pesce mostruoso che mi ha partorito,
qui abbandonato. La mia testa è un rame vecchio
di erotiche leggende. Den’ gha buja la polenta,
rossi tocchi di carne morta mi fanno felice.
Traduzione di alcuni vocaboli dal dialetto dialetto abbiatense:
Re Carpena, Re Carpa
brach, bracconieri
venter de Tesinn, ventre di Ticino
Den’ gha buja, dentro vi bolle
Punto di riflessione:
Questo per me è uno scritto fondamentale. Parla di mia, della nostra madre, questa nostra terra umiliata, distrutta. E del suo, mio mondo, dialettale, povero (ma non misero...), a suo modo eroico, lirico. Credo che in queste poche parole ci sia tutto ciò che sono, vedo, patisco. Forse davvero la nostra Storia, quella vera, quella un passo prima del turbine senza fine di questa globalizzazione postumana e geneticamente infetta, questa nostra Storia, è davvero finita. Ma qualcuno mi ha dato in dono queste parole. Io le scrivo. Da questa ultima, estrema, trincea, scruto nuovi sentieri. A lumi quell che anmu gh’è de fà. Tutto è per me possibile: tranne la resa.
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