RAIMON PANIKKAR

"Non un’etica globale ma un’etica "condivisa"

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cms_26552/1.jpgNel pensiero di Raimon Panikkar c’è la bellezza dell’Umanità.

Nel rinviare alle splendide riflessioni contenute nell’articolo di Gabriella Bianco mi permetto,

nel contempo, di suggerire ai cari lettori di ascoltare l’intervista di Franco Battiato.

Quando due straordinari uomini s’incontrano la Storia scrive le sue pagine migliori:

https://www.youtube.com/watch?v=On9TZ6Q9hy0

(Antonella Giordano)

Non un’etica mondiale…

La tesi di Raimon Panikkar si può così riassumere: non c’è un’etica globale. Essa non può esserci, perché ridurrebbe gli uomini ad una uniformità totale, e l’etica ad un’etica di deduzione dei principi. L’etica, invece, è qualcosa di vissuto e non soltanto frutto di una deduzione di principi. L’etica è una spinta personale, che viene più dal cuore che dalla mente.

Trovare una struttura formale o comune per fondare un’etica è impossibile. Non si può attuare eticamente costruendo sillogismi e traendone conseguenze: il problema comincia quando si vuol delimitare cosa è il bene e cosa è il male. Trovare una struttura formale o comune per fondare un’etica è impossibile. Per alcune culture le differenze tra quelli che noi chiamiamo uomini e gli altri animali non sono così essenziali.

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Un’etica unica, in un mondo multiculturale e multietnico, implicherebbe che l’etica in quanto tale è sovra-culturale, e sovra-religiosa, mentre il fondamento che ogni cultura ed ogni religione pongono alle rispettive etiche è diverso. Il colonialismo sostiene la credenza secondo cui è possibile avere una percezione e una soluzione ai problemi dell’umanità. Dopo le lusinghe coloniali occorre passare al disarmo di una cultura che si autoproclama universale e che pretende anche di fondare un’etica universale. Un’etica mondiale dovrebbe essere al di sopra di qualsiasi altro fondamento etico che hanno le diverse culture e le diverse religioni.

…ma un’etica "condivisa".

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Non un’etica "globale", che sarebbe una sorta di tentazione neocolonialista, ma un’etica dialogica, condivisa, contemplativa, frutto di un disarmo culturale e dell’incontro con le culture e le fedi religiose "altre".

L’unica forma di etica che abbia qualche forza deve essere un’etica interculturale. L’imperativo è pragmatico, perché non è fondato su un "a priori", ma semplicemente sul fatto che se non ci fosse un’etica alternativa per il mondo attuale, si andrebbe alla mutua distruzione dell’umanità, allo sterminio tra gli uomini e ai disastri ecologici. Quindi l’imperativo è pragmatico, perché l’alternativa è la distruzione.

Non è l’imperativo a priori "perché così deve essere". L’etica non può essere globale: ma deve essere oggi un’etica accettata nel mondo attuale e si costituisce soltanto nel dialogo interculturale.

È questa, in sintesi, la proposta di Raimon Panikkar, teologo e filosofo per metà spagnolo e per metà indiano, da anni impegnato nel confronto interreligioso: decalogo dell’etica del dialogo.

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Primo: l’altro esiste "per" ciascuno di noi. E l’altro è il musulmano, l’altro è l’emarginato, l’altro è il marito, l’altro è il bambino, il mondo ecc. Una specie di superamento inconscio del solipsismo.

Secondo: l’altro esiste come soggetto e non soltanto come oggetto. Esiste a sé stante e non mi ha chiesto il permesso di esistere. Neanche la pietra, gli alberi, gli animali. In altre parole: non si possono trasformare le pietre in pane.

Terzo: l’altro non è oggetto di conquista, di conversione, di studi: è (s)oggetto con diritti propri, con lo stesso diritto di interpellarmi, di interrogarmi, che ho io. La relazione è, quindi, biunivoca: il dialogo è dialogo perché non è monologo. Non è soltanto domandare, ma lasciarsi anche interpellare. Per questo c’è una necessità di ascolto, di umiltà, di uguaglianza.

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Quarto: anche se io penso che l’altro (e l’altro può essere un sistema religioso o culturale) sbaglia, devo entrare in contatto con lui, altrimenti non c’è dialogo e senza dialogo non c’è pace.

Quinto: la disposizione a dialogare è il principio etico supremo. Se ci si nega al dialogo, si finisce con il divorzio, con la guerra, con la bancarotta, con il disastro.

Sesto: il dialogo deve essere totale. Come dicono gli inglesi: non c’è niente di "non-negoziabile". Tutto deve essere messo sul tappeto, altrimenti non è dialogo dialogale, non è dialogo umano, è dialogo diplomatico. Si mira a vincere.

Settimo: l’etica è collegata al politico, dipende dal religioso ed è frutto di una cultura.

Tutto ciò relativizza l’etica, ma la rende concreta ed efficace.

Ottavo: l’etica scaturisce dal dialogo religioso e allo stesso tempo ne è la sua causa. È un circolo vitale come tutte le cose ultime.

Nono: nessuno ha il diritto di promulgare un’etica. L’etica non si promulga. Si scopre. E si scopre nel dialogo.

Inoltre, in un contesto mondiale qual è quello di oggi, a nessuno viene riconosciuto il diritto di promulgare un’etica universale ed assoluta.

Decimo: l’etica contemporanea deve confrontarsi con un "novum" che non si era mai verificato nella storia: il "novum" di tanta gente che muore di fame, di sete, di stenti, di violenza. E che attende una redenzione concreta: non annuncio di principî etici, ma un comportamento operativamente salvifico, purificato di ogni pretesa messianica.

Gabriella Bianco

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