Pescatori italiani sequestrati in Libia

Ecco i possibili moventi

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Alla vicenda del sequestro dei 2 pescherecci italiani in acque libiche, corrisponde un profilo dai contorni molto fragili e per certi versi poco chiari. “L’Italia non accetta ricatti, lo voglio dire molto chiaramente. I nostri concittadini devono tornare a casa.” - afferma il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio in un intervento a Radio 24. Da giorni, infatti, si sarebbe aperta la pista del ricatto, come strategia adottata dalle milizie di Haftar per ottenere la scarcerazione di 4 scafisti, condannati in cassazione a 30 anni per la vicenda della cosiddetta “strage di ferragosto”, raccontata anche nelle scene del docu-film Fuocoammare di Gianfranco Rosi, che implicò la tragica morte di 49 migranti. La notizia della proposta di uno scambio di prigionieri, sarebbe stata ripresa dalla marineria di Mazara del Vallo, da alcuni account legati alla gerarchia di Haftar, ma ancora la pista del ricatto non avrebbe ricevuto ufficializzazione da parte della Farnesina, che in tutti i casi ad oggi sta seguendo con particolare attenzione la vicenda, intensificando i contatti con l’ambasciata italiana a Tripoli.

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Il legale di uno degli scafisti condannati, Francesco Turrisi, parla di “un’azione terroristica inaccettabile”, riferendosi all’atteggiamento assunto dalle forze di Haftar, e aggiunge: “Sono favorevole all’idea che possano scontare in Libia questa pena, basata su una sentenza ingiusta, ma un eventuale ‘scambio’ andrebbe correlato alla liberazione di soggetti italiani detenuti in quel Paese, mentre ritengo che trattare dei pescatori, lavoratori e padri di famiglia come ostaggi, sia un’azione terroristica inaccettabile se questi sono i metodi utilizzati dal nostro interlocutore non c’è alcuno spazio per qualsivoglia trattativa che non sia il rilascio immediato dei nostri cittadini”. Nonostante il contesto geopolitico profondamente frastagliato all’interno del quale si inserisce la vicenda, ci sono buoni presupposti per un accordo pacifico tra i due interlocutori, non sussistendo formalmente elementi di vizio nella stipulazione di un eventuale accordo in linea con i principi del diritto internazionale.

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I pescherecci italiani, sarebbero stati intercettati dalla marina libica nel raggio delle 72 miglia in cui la Libia nel 2005 aveva esteso unilateralmente la sua sovranità, rivendicando quanto disposto dalla Convenzione di Montego Bay. Nonostante ciò, come ribadito dai familiari dei 18 marinai fermati: “il loro intento non era rubare, stavano solo lavorando”. Sarebbe anche plausibile il movente politico a monte dell’azione di Haftar, considerando che il sequestro è avvenuto al ritorno del ministro Di Maio in visita a Tripoli per sostenere l’accordo tra Al-Serraj e il presidente della camera dei rappresentanti di Tobruk, Aguila Saleh. Al momento il Ministero degli Esteri si è confrontato con i ministri di Russia ed Emirati, paesi che godono di una certa influenza su Bengasi. Prosegue il pressing da parte della Farnesina per convogliare lo sviluppo delle trattative verso un risultato positivo, mentre le inutili polemiche non costruttive del leader della Lega, Matteo Salvini, che attacca il governo “Conte-Pd-5stelle” per “spalancare i porti ai clandestini e non fiatare dopo il sequestro”, sembrano piuttosto dettate da uno spirito propagandistico in tempo di elezioni.

Federica Scippa

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