PROPOSTE DI LETTURA – VITTORIO SERENI: UNA VISITA IN FABBRICA
Vittorio Sereni (1913-1983), nato a Luino, trasferitosi a Brescia con la famiglia, visse successivamente a Modena e a Milano. Dopo la laurea (con una tesi su Gozzano che suscitò riprovazione nel corpo accademico e consensi nel mondo letterario contemporaneo), si avvicinò alla cosiddetta Linea Lombarda, stringendo amicizie sincere con alcuni “compagni di studio”: Sassu, Quasimodo, Anceschi, Vigorelli, Gatto, Antonia Pozzi. Avercene, di compagni di studio così!
Gli Strumenti umani è la terza raccolta di Sereni ed è pubblicata nel 1965: scandisce il difficile e tormentato dopoguerra del poeta, reduce dai campi di prigionia dell’Algeria e del Marocco.”, mentre la sua prima pubblicazione data 1941. Poesie, prose, lettere e traduzioni: una produzione vastissima, rigorosa, multiforme. Nel 1955 entra in Pirelli (direzione ufficio stampa e propaganda) e nel ’58 in Mondadori. Esemplare la sua amara riflessione sulle occasioni perdute: per non aver partecipato alla resistenza e per essere sempre vissuto ai margini, sentendosi doppiamente tradito, testimoniando con chiarezza la “gabbia” del neocapitalismo. Esemplare perché non millantò appartenenze a posteriori: altri non ebbero il suo stesso pudore.
Da “Una visita in fabbrica” parti IV e V
IV
«Non ce l’ho – dice – coi padroni. Loro almeno
sanno quello che vogliono. Non è questo,
non è più questo il punto».
E raffrontando e rammentando:
«… la sacca era chiusa per sempre
e nessun moto di staffette, solo un coro
di rondini a distesa sulla scelta tra cattura
e morte …»
Ma qui, non è peggio? Accerchiati da gran tempo
e ancora per anni e poi anni ben sapendo che non
più duramente (non occorre) si stringerà la morsa.
C’è vita, sembra, e animazione dentro
quest’altra sacca, uomini in grembiuli neri
che si passano plichi
uniformati al passo delle teleferiche
di trasporto giù in fabbrica.
Salta su
il più buono e il più inerme, cita:
E di me si spendea la miglior parte
tra spasso e proteste degli altri – ma va là – scatenati.
V
La parte migliore? Non esiste. O è un senso
di sé sempre in regresso sul lavoro
o spento in esso, lieto dell’altrui pane
che solo a mente sveglia sa d’amaro.
Ecco. E si fa strada sul filo
cui si affida il tuo cuore, ti rigetta
alla città selvosa:
Chiamo da fuori porta.
Dimmi subito che mi pensi e ami.
Ti richiamo sul tardi -.
Ma beffarda e febbrile tuttavia
ad altro esorta la sirena artigiana.
Insiste che conta più della speranza l’ira
e più dell’ira la chiarezza,
fila per noi proverbi di pazienza
dell’occhiuta pazienza di addentrarsi
a fondo, sempre più a fondo
sin quando il nodo spezzerà di squallore e rigurgito
un grido troppo tempo in noi represso
dal fondo di questi asettici inferni.
Lascia un commento
NB: I commenti vengono approvati dalla redazione e in seguito pubblicati sul giornale, la tua email non verrà pubblicata.