PROPOSTE DI LETTURA – GIOVANNI PASCOLI: CASA MIA

Il cancello socchiuso

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cms_19245/440px-Giovanni_Pascoli.jpgGiovanni Pascoli (1855 -1912), romagnolo, di formazione positivistica (ma dire questo oggi ha ancora senso?) poeta simbolista di fin-de-siècle, deve la sua fortuna letteraria e le sue ossessioni personali ai noti fatti - e tuttavia mai totalmente chiariti – che lo videro, undicenne, orfano di padre, assassinato a fucilate. Il trauma lascò segni profondi nel poeta e la famiglia si disgregò. Non tanto per motivi economici, quanto per una serie impressionante di lutti: morirono la sorella Margherita di tifo, e la madre per un attacco cardiaco; nel 1871 il fratello Luigi e nel 1876 il fratello maggiore Giacomo. Gli rimasero Ida e Maria con le quali, diversi anni dopo, Giovanni tentò di ricostruire il “nido” familiare. Questa aspirazione gli impedì relazioni sentimentali, ambizioni personali e realizzazioni professionali. Per nostra fortuna: diversamente non avremmo avuto, forse, la “poetica del fanciullino” e autentici capolavori quali Il gelsomino notturno, La mia sera, L’ora di Barga, Nebbia e moltissimi altri. Quell’aspirazione divenne ben presto ossessione: per approfondire la poetica pascoliana rapportata alla sua vicenda personale suggeriamo il bellissimo volume: Giovanni Pascoli – Sentimenti filiali di un parricida, di Elio Gioanola, una pubblicazione tutto sommato recente, a testimonianza del fatto che dopo Cecchi, Contini e Bàrberi Squarotti Giovanni Pascoli e la sua poetica avevano ancora molto altro da dirci. Ci fu anche qualche soddisfazione: le pubblicazioni, le medaglie d’oro ai concorsi di poesia latina, la cattedra universitaria. Fu arrestato nel ’79 per aver appoggiato la protesta di alcuni anarchici. Fu dunque socialista? No, fu semplicemente infatuato di socialismo. Aderì alla Massoneria: fu veramente massone? No, si conformò semplicemente alle tendenze culturali del suo tempo. Intanto si profilava la catastrofe bellica della Grande Guerra, e Pascoli, sempre più pessimista e deluso, emotivamente provato dall’ulteriore fallimento del suo tentativo di ricostruzione familiare, compensava col vino e il cognac. Illuminanti le parole di Mario Luzi in proposito: Per il Pascoli si tratta in ogni caso di una vera e propria regressione al mondo degli affetti e dei sensi, anteriore alla responsabilità; al mondo da cui era stato sbalzato violentemente e troppo presto. Possiamo notare due movimenti concorrenti: uno, quasi paterno, che gli suggerisce di ricostruire con fatica e pietà il nido edificato dai genitori; di investirsi della parte del padre, di imitarlo. Un altro, di ben diversa natura, gli suggerisce invece di chiudersi là dentro con le piccole sorelle che meglio gli garantiscono il regresso all’infanzia, escludendo di fatto, talvolta con durezza, gli altri fratelli. In pratica il Pascoli difende il nido con sacrificio, ma anche lo oppone con voluttà a tutto il resto: non è solo il suo ricovero ma anche la sua misura del mondo. Tutto ciò che tende a strapparlo di lì in qualche misura lo ferisce; altre dimensioni della realtà non gli riescono, positivamente, accettabili.”

Eccoci quindi alla poesia oggi proposta. Il cancello di "Casa mia" è il simbolo del varco individuato dal poeta per incontrare sua madre, morta; questo incontro è allucinato, visionario, onirico, delicato, straziante, intangibile e vero. In un tripudio di colori e di odori, il fantasma bianchissimo della madre appare al poeta. Ma soltanto "al cancello": quel varco non si può oltrepassare. Il poeta lo capisce eppure insiste, anzi, fa quasi sfoggio della sua cultura: "Lavorerò di lena/E comprerò leggiadre/vesti". La risposta della madre è ironica e sconsolata, ci sembra persino di udirne l’accento romagnolo: "Ma dove son io, figliuolo, sai, ci nevica e ci piove".
Alcune strofe si ripetono, a ribadire il vortice ossessivo, ostinato dell’impossibile, surreale, dolcissimo incontro. Quel cancello è il varco per l’altrove, tra sogno e inconscio. Proviamo a socchiuderlo.

CASA MIA

Mia madre era al cancello.
Che pianto fu! Quante ore!
Lì, sotto il verde ombrello
della mimosa in fiore!

M’era la casa avanti,
tacita al vespro puro,
tutta fiorita al muro
di rose rampicanti.

Ella non anche sazia
di lagrime, parlò:
"Sai, dopo la disgrazia,
ci ristringemmo un po’... „

Una lieve ombra d’ale
annunziò la notte
lungo le bergamotte
e i cedri del viale.

“ci ristringemmo un poco,
con le tue bimbe; e fanno...„
Era il suo dire fioco
fioco, con qualche affanno.

S’udivano sussurri
cupi di macroglosse
su le peonie rosse
e sui giaggioli azzurri.

“Fanno per casa (io siedo)
le tue sorelle tutto.
Quando così le vedo,
col grembiul bianco, in lutto...„

Io vidi allor la mia
vita passar soave,
tra le sorelle brave,
presso la madre pia.

Dissi: “Oh! restare io voglio!
Vidi nel mio cammino
al sangue del trifoglio
presso il celeste lino.

Qui sperderò le oscure
nubi e la mia tempesta,
presso la madre mesta,
tra le sorelle pure!

Lavorerò di lena
tutto il gran giorno; e sento
ch’alla tua parca cena
m’assiderò contento,

quando dal mio lavoro,
o la tua lieve mano
od il vocìo lontano
mi chiamerà, di loro.

E sarò lieto e ricco
io delle mie fatiche,
quando ogni tenue chicco
germinerà tre spiche.

E comprerò leggiadre
vesti alle mie fanciulle,
e l’abito di tulle
alla lor dolce madre„

Così dicevo: in tanto
ella piangea più forte,
e gocciolava il pianto
per le sue guancie smorte.

S’udivano sussurri
cupi di macroglosse
su le peonie rosse
e sui giaggioli azzurri.

“Oh! tu lavorerai
dove son io? Ma dove
son io, figliuolo, sai,
ci nevica e ci piove!„

Una lieve ombra d’ale
annunziò la notte
lungo le bergamotte
e i cedri del viale.

“Oh! dolce qui sarebbe
vivere? oh! qui c’è bello?
Altri qui nacque e crebbe!
Io sto, vedi, al cancello„

M’era la casa avanti
tacita al vespro puro,
tutta fiorita al muro
di rose rampicanti.

Raffaele Floris

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