POLPI ALLA LUCIANA

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Nella preparazione di questa pietanza sono fondamentali la qualità e la freschezza dei polpi. Importante è anche la modalità di cottura: non devono restare a lungo sul fuoco per non far perdere il tono della carne, la lucidità della pelle e la compattezza dei tentacoli. Generalmente vengono serviti sopra fette di pane leggermente dorate.

Nella ricetta originale i polpi venivano cucinati senza la passata di pomodoro, non ancora introdotta in cucina; verosimilmente anche l’uso delle olive nere è stato successivo.

Con il passar del tempo vennero utilizzati polpi di grandezza sempre minore, sì da permettere di avere carni sempre più tenere, fino ad arrivare ai tempi nostri in cui vengono sistemati in tegame polipetti veraci dal peso non superiore a 100 grammi ognuno. Per questo motivo la pietanza viene ormai più comunemente chiamata polipetti affogati. Affogati perché vengono cucinati a fuoco molto lento, immersi (affogati) solo nel sugo di qualche pomodorino.

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Pulite e lavate i polpi. In un tegame di terracotta fate soffriggere l’aglio, l’olio ed il peperoncino, aggiungete i polpi, coprite e fateli cucinare a fuoco lento per 5 minuti.

Aggiungete i pomodorini tagliati a metà, versate le olive ed un rametto di prezzemolo. Fate cucinare a fiamma bassa a tegame coperto per circa 30 minuti e servite.

Si chiamano alla luciana perché si ritiene che la ricetta sia nata nel quartiere marinaro di Santa Lucia. Gli abitanti di questo quartiere, chiamati luciani, erano prevalentemente pescatori e venditori di pesce e di frutti di mare.

Erano abili pescatori di polpi ed avevano una tecnica di pesca originale: posizionavano sui fondali anfore e mattoni bucati, dove di notte i polpi trovavano rifugio; era così molto semplice catturarli il giorno seguente.

Santa Lucia

cms_20575/2.jpgSanta Lucia è un mercato, un tafferuglio, una Babilonia da atterrire quell’infelice forestiero che per la prima volta si arrischi malcauto in quell’oceano di venditori ambulanti d’ambo i sessi che gridano, urlano, e vi assediano da tutti i lati onde spacciare le loro mercanzie: mercanzie di bocca, intendiamoci, giacchè a Santa Lucia non si va che a mangiare e a bere […].

Lo spettacolo è bellissimo, la messa in scena superba. Un delizioso odore di alga marina ti colpisce l’organo olfattorio, o più prosaicamente le nari, una lunga fila di rozze panche sormontate da mille sportelle 1 di frutti di mare ti colpisce la vista, e quel ch’è peggio ti fa venire l’acquolina in bocca.

cms_20575/3.jpgGiù il cappello. Siamo innanzi alla corporazione degli Ostricari, corporazione che fa datare la sua nobiltà all’epoca della scoverta dei cannolicchi e delle vongole… Gli ostricari di Santa Lucia sono i caporioni del quartiere e spesso fanno da giudici di pace nei frequenti litigi che nascono tra i loro vicini pescatori e marinari, tra le venditrici di acqua solfurea, che si disputano un cliente all’ultimo sangue, che se lo tirano pe l’abito, a costo di ridurlo in camicia.

Diciamolo francamente, essi sono la più buona pasta di uomini che vi sia al mondo. Seduti patriarcalmente, ciascuno a fianco della sua bottega ambulante, con un coltellaccio nelle mani pronto a spaccare quante decine di ostriche e di angine 2 vi piace, essi invitano il passeggero ad assidersi e gustare le primizie del Fusaro 3! Come resistere alla vista lusinghiera di quelle cento sportelle messe lì in bell’ordine, allo spettacolo attraente di quei frutti golosi? Non c’è via di mezzo. Se avete forza di guardare indifferente il primo, ecco il secondo che vi invita; resistete al secondo, v’incalza il terzo. L’odore inebriante dell’alga marina vi attrae; non c’è forza che valga, bisogna sedersi a mangiare.

Allora il volto dell’ostricaro brilla d’insolita gioia; gli si legge in faccia la gioia del trionfo. Egli vorrebbe farvi ingoiare una dopo l’altra tutta la svariata famiglia de’ frutti marini, che vi presenta dinnanzi, lodando con rara modestia la squisitezza delle ostriche, la freschezza delle angine, il calibro imponente de’ suoi cannolicchi. E quando siete ben bene satollo, e vi disponete a lasciare il desco voluttuoso, l’ostricaro vi mormora all’orecchio: “Signurì, v’aggio servito a ddovere, arricurdateve de Mucchietiello!”.

Ciò significa, ritornate domani sera, dopodomani, sempre, e non mi cambiate con un altro! […]

cms_20575/4.jpgDalle panche allineate degli ostricari che forman direm così, un corpo di armata a sé, a cui, come vi ho detto è difficile resistere, si passa al desco dei venditori di fichi d’India, alla caldaia della venditrice di spighe, alla pignatta dei polipi, ed agli altri svariati negozi ambulanti di ogni genere di commestibili

che ingombrano il marciapiede di Santa Lucia, e stan lì come tanti piccoli fuochi di un esercito al bivacco! […]

Allato alla venditrice di spighe sorge la colossale pignatta dei purpetielle (polpi), cibo pure tenuto in grandissima stima dalla minuta plebe, e di non più facile digestione. Ciò però non toglie che anche alla mensa dei ricchi il polpo non occupi un posto distinto ed onorevole. La sola differenza sta nel modo di mangiarlo. I popolani si contentano di cavarlo dalla pignatta, ridurlo a fette, spargervi sopra un po’ di sale e seppellirlo nello stomaco senza darsene più un pensiero al mondo. L’aristocratica cucina invece lo condisce con olio e sugo di limone, acciò la durezza naturale di quel mollusco non offenda la delicata digestione di chi lo mangia, e spesso anche, anziché prepararlo così alla buona, lo riduce a squisito manicaretto, formandone un ragout!

cms_20575/5.jpgMa la vera morte del polpo è nell’acqua bollente, la sua tomba la pignatta, ed in questo io sono dell’opinione dei popolani! Per far poi che il polipo acquisti anche maggior sapore, si usa cuocerlo con la stessa acqua che da esso emana, e da tal costumanza nacque l’antico adagio napoletano “fare cocere a uno co l’acqua soja stessa”, che vuol dire: “far correggere chicchessia de suoi difetti a proprie spese!”. Se questa traduzione fosse trovata da qualcuno un po’ troppo libera, la acconci pure a suo modo perché non me ne offendo. (Fonte “Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti” di Francesco De Boucard).

1) Sportella = cesto di vimini contenente pesce o frutti di mare.

2) Angina = riccio di mare.

3) Lago del Fusaro, poco distante da Napoli.

Bruno Di Ciaccio

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