PER UNA NUOVA VISIONE DELLA SOGGETTIVITA’ FEMMINILE

L’opinione del filosofo

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cms_27332/2_1661824049.jpg«Ogni donna in carne e ossa o soggetto femminile femminista è: una molteplicità in sé stessa: scissa, frammentata, una rete di livelli di esperienza […], una memoria vivente e una genealogia incarnata.

Non solo un soggetto conscio, ma anche soggetto del proprio inconscio: identità come identificazione, in un rapporto immaginario con diverse variabili come: classe sociale, razza, età, scelte sessuali”.

(Rosi Braidotti, Nuovi soggetti nomadi)

Oltre il genere. Per un’etica femminista e sul postumano

cms_27332/0.jpgNel nostro recente articolo sull’ etica femminista e sul postumano in Rosi Braidotti, nel ripensare la sessualità senza generi, il fattore essenziale dell’economia politica nomadica di Braidotti non è il genere, né la razza, ma il punto di partenza è la materia vivente, che è sempre già sessuata.

Per Lacan, esiste una matrice originale del potere: il momento del significante maestro e magistrale è il fallo, la matrice del potere, tutto coniugato al singolare. Al contrario, Deleuze, in ”Logica del senso”, nell’”Antiedipo” e in tutti i lavori successivi, afferma che non esiste la matrice del potere, mentre per Deleuze e Guattari il potere è una situazione strategica continua.

Il potere è nei meccanismi costanti di cattura e di resistenza da parte di una materia corporea, affettiva, relazionale e trasversale, che riesce a battersi per negoziare e resistere alle forze con le quali si confronta. Questo non significa che la resistenza vinca, ma esiste e si auto-organizza. Una politica del posizionamento non può prescindere dal linguaggio, ma neanche dal corpo, inteso come un’intersezione tra biologico, simbolico e sociale.

Per offrire forme di resistenza e smantellare linee di demarcazione antiquate, Braidotti mette in luce l’ affinità elettiva tra il femminile, il mostruoso e la tecnica, considerati ‘poli negativi’ e alterità assolute, ma in cui la fusione tra l’umano e il tecnologico diventa il punto centrale per la nuova visione della soggettività. (Madri, mostri e macchine)

Secondo Braidotti, il grande cambiamento è che con le scienze e le tecnologie contemporanee non siamo più nello sfruttamento, ma nella riproduzione e ricreazione della materia. Oggi la materia si fabbrica con le nanotecnologie, con le cellule staminali, con i codici del digitale, con gli algoritmi e con i codici genetici. Quindi siamo davvero nella produzione del vivente. Si parla di invenzioni di mondi e di forme di vita possibili.

Esiste ormai un’intimità tra noi e le diverse tecnologie che è una cosa nuova rispetto al passato e cambia completamente il dibattito. Una politica del corpo passa attraverso l’ibridazione e la mediazione tecnologica. Nel rapporto tra umano e tecnologia, la filosofia della scienza, soprattutto francese, si interroga sulla tecnologia e se possa esistere un suo dominio assoluto.

Oggi c’è una tecnologia – afferma Braidotti - molto auto-organizzata e trasversale nei confronti delle specie e delle categorie. Sto pensando in modo particolare ai sistemi numerici di calcolo e di computazione, che forniscono per esempio tutti i calcoli per l’economia globale. Ormai la tecnologia si auto-corregge, si auto-organizza con sistemi di calcolo velocissimi o con computer che fanno cose che il nostro cervello non riesce a leggere…(…) che fa della tecnologia qualcosa di diverso: un superumano in un certo senso, ma che regola la nostra vita quotidiana con grandi livelli d’intimità”.

Guattari c’insegna che l’auto-poiesi tecnologica costituisce l’orizzonte del nostro divenire e forse anche di una nuova fase evolutiva per la nostra specie – basta guardare la velocità con la quale le più giovani generazioni si sono adattati ai nuove media e tecnologie, per capire che qualcosa di grosso si è messo in moto nelle strutture cerebrali, neuronali e cognitive che ci compongono.

La questione è che cosa siamo nel processo del divenire, ma questa domanda si poneva anche prima che l’orizzonte fosse tecnologicamente mediato, quando ancora si parlava di “natura”. Quindi per Braidotti, sul piano concettuale, non c’è crisi, ma progresso. C’è un’intimità ma anche un’autonomia dei sistemi di calcolo ed è per quello che i lavori interessanti nella teoria dei media, sono proprio sui sistemi di programmazione, sugli algoritmi, sui sistemi di calcolo che portano alla creazione di certi tipi di rete, di scambio di informazioni, che poi sono capaci di auto-organizzarsi.

cms_27332/4.jpgTra l’uomo e l’altro uomo, le macchine, gli animali c’è una relazionalità ontologica positiva che non tiene in considerazione il negativo, il precipizio su cui è sospeso il faccia a faccia con l’altro. In questa proposta, filosofica e l’azione politica non si risolvono necessariamente in opposizione e il monismo spinozista viene alla luce come una sorta di pacifismo ontologico.

La questione del pacifismo ontologico mette al centro di tutto il dibattito la questione dell’etica, un’etica che non è morale, né un sistema normativo che attribuisce valori più o meno positivi ad un certo tipo di comportamento o di pensiero. È piuttosto un sistema di codificazione delle forze, che sono relazioni molteplici con altri, umani e non umani, tecnologici, indotti, etc., un’etica che si puo’ definire relazionale.

L’etica spinozista consiste nel privilegiare una relazione affermativa che ci apre alle infinite possibilità del divenire, una relazione di ricezione può essere passiva, ma anche apertura alle infinite forze e flussi di divenire, come quel “boato di energia cosmica” che struttura tutta la nostra relazionalità. Il rapporto etico è ciò che ci apre alle possibilità, una relazione non etica invece è quella che ci chiude nel narcisismo e paranoia dell’individuo moderno.

C’è all’interno della nostra corporalità, della nostra stessa immanenza radicale, un sistema di controllo: sono i limiti di ciò che un corpo è capace di fare, un corpo che è sempre materia intelligente, cervello incorporato. Il monismo è infatti un rapporto di intima connessione tra il cervello e il resto del corpo. Questa materia conosce i suoi limiti e sono i limiti della nostra pelle, i limiti del nostro posizionamento, i limiti del nostro antropomorfismo, che è una grande ricchezza a differenza dell’antropocentrismo. Le premesse del biopolitico esortano a guardar oltre il maschilismo implicito, il razzismo intrinseco e l’antropocentrismo manifesto.

L’etica di cui si parla nell’antropomorfismo, è un’etica vissuta, pragmatica, situata, che permette di evitare da una parte i deliri di onnipotenza dell’antropocentrismo e dall’altra di rinchiudersi in un discorso di pura opposizione negativa. Si tratta di un’etica, non di una morale, è la grande scommessa di Spinoza secondo cui l’essere umano, l’organismo che noi siamo, è un organismo – come segnalava Freud – che tende e si orienta verso il piacere, l’affermazione, la gioia e non verso la tristezza, la negazione e la paranoia.

Il desiderio di esprimere la forza affermativa che ci proietta avanti è la grande scommessa che segna inevitabilmente una differenza da altre scuole filosofiche. Avere il coraggio di desiderare l’affermazione è la scommessa etica di Spinoza, grande fonte d’ispirazione filosofica per la nostra epoca. In questo solco, l’ontologia in cui è inscritto il concetto nomade di soggetto postumano è una forte etica eco-filosofica.

La filosofia e la politica. Il soggetto nomade

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Nel pensiero di Braidotti, si aprono orizzonti del possibile che implicano un grande distacco dalla negatività che ci circonda. Ma come confrontarsi con gli orrori che sono ogni giorno sempre più atroci? Come continuare ad avere un atteggiamento politico ed etico propositivo ed affermativo?

C’è una concezione diversa di temporalità, un diverso rapporto con il tempo? Il soggetto nomade e il postumano si appoggiano a vicenda, fanno parte di due momenti del tempo, costituiscono due temporalità diverse. Nel contestualizzare il nomadismo del pensiero, che è un discorso d’opposizione, Braidotti esamina le condizioni di potere che da una parte ci condizionano e dall’altra ci valorizzano. (Soggetti Nomadi)

Il pensiero nomade è critico, ma è anche creatività e il postumano si collega al discorso sull’etica affermativa, che già si trovava in “Trasposizioni”. In questo modo si passa al livello della temporalità pura e diffusa del divenire, in un discorso più propositivo ed affermativo.

Il lavoro del pensiero propositivo -, che agisce in favore della dignità femminile contro le disuguaglianze, per la giustizia inter-generazionale, per affermare mondi possibili, ontologicamente pacifici, creativi e pieni di possibilità, in un pensiero critico e creativo che difende un’etica affermativa -, fa un lavoro di proposizione che sviluppa un discorso di speranza.

Se il politico è la costruzione di avvenire e di divenire sostenibili, il soggetto nomade attualizza forme di divenire che si scontrano con condizioni reali, materiali, semiotiche e simboliche e negozia con esse. Il momento politico non va inteso solo come negativo e opposizione – e rientrerebbe in questo tutto il discorso sulla violenza – ma il politico o la politica è un’attività in un certo senso “ascetica” di far avvenire, possibilità, progettualità, relazioni, azioni, pensiero, valori.

Prendendo distanza dalla biopolitica contemporanea, Foucault ne fa uno strumento analitico che gli permetta di analizzare le mutazioni in corso del capitalismo, facendo della biopolitica una lettura delle grandi trasformazioni del capitalismo avanzato, passando da un sistema di dominio selvaggio di sovranità assoluta ad un sistema che esercita il potere prendendosi “cura” della vita che è la vita della specie, della razza, della nazione, della comunità.

Appoggiandosi all’ultima fase del pensiero di Foucault, quella dell’etica e delle tecnologie del sé, Paul Rabinow parte dal bios per sviluppare una linea di pensiero critico e una forma di resistenza politica al capitalismo avanzato, trasformando il biopolitico in uno schema normativo verso un nuovo senso di responsabilità morale per la vita che è in noi e non ci appartiene, la vita della specie, della razza e del nostro patrimonio genetico

Deleuze e Guattari offrono una critica ai limiti del bios, sostenendo che la vita non è solo umana, ma anche non umana. Lo slittamento dal bios a zoé, dalla vita come fenomeno antropocentrico alla vita come attributo di tutto ciò che esiste, umano e non umano, spiazza non solo le frontiere tra uomo e animale, uomo e piante, mondo vegetale e le varie classificazioni, ma anche le visioni temporali.

Nello spostamento temporale e nel presente continuo, che cristallizza il passato in atti e avvenimenti che aprono le frontiere dell’avvenire, cambia il discorso sia sulle origini, sull’eredità genetica e sulla nostra appartenenza a scale temporali che ci precedono – il nostro codice genetico è la memoria accumulata nella nostra specie che si svolge e si dispiega dentro di noi, ma non è controllata da noi – , che sull’avvenire, che ci porta inevitabilmente alla questione della morte, cioè all’ annullamento dell’individuo.

cms_27332/6.jpgUn’epoca come la nostra, che è immersa nella morte, tuttavia continua a mettere l’accento sulla vita, la giovinezza, il benessere fisico e psichico, facendone quasi degli imperativi morali.

Deleuze, attraverso Spinoza e Bergson, incrocia la continuità della materia con il discorso sulla continuità del tempo, che si esplica nella differenza tra la morte personale e la morte impersonale: nella morte personale viene cancellata la presenza di sé, dell’io individuale, ma la vita va avanti come insegnano tutti i pensatori vitalistici dell’antichità.

La vita si concentra sulla morte impersonale, quindi sulla continuità dei processi vitali al di là dell’individuo o dell’organismo costituito, andando oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte.

(Continua)

Gabriella Bianco

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