PASSEGGIATA ARTISTICA IN ITALIA ATTRAVERSO "IL LUNGO OTTOCENTO" (I^Parte)

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La locuzione lungo Ottocento proviene dal saggio “Long 19th Century” di Eric Hobsbawm (1917-2012).

Lo storico britannico, di formazione marxista, con una trilogia divide questo secolo allargato in tre parti: “The Age of Revolution”, “The Age of Capital”, “The Age of Empire”, tre libri tradotti e pubblicati in italiano, rispettivamente coi titoli: Le rivoluzioni borghesi, Il trionfo della borghesia, L’Età degli Imperi, semplificando, molto semplificando… la rivoluzione, il capitale, l’impero.

Eppure è tutto lì, in tre parole, in un qualcosa di circolare, l’eterno ritorno dell’uroboro della tradizione occidentale o del tao orientale, ma anche del cane che si morde la coda essendo un qualcosa senza alcuna via d’uscita; quasi come se i cicli della storia si ripetessero, ma in modo ogni volta più ampio, avendo così in sé più bene ma anche più male e ogni ciclo fosse formato allo stesso modo, come un cerchio sull’acqua che concentricamente si allarga, formato dalle azioni degli uomini che lasciano delle impronte nella continuità dello spazio, orme od onde energetiche fluide come le scie scultoree nell’opera di Umberto Boccioni, in cui la figura si modifica e allo stesso tempo muta lo spazio del visibile e del non visibile che occupa.

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Umberto Boccioni- Forme uniche nella continuità dello spazio- 1913

Seppur a volte io sia assai prolissa, amo le frasi concise, così ne inserisco due, opposte ma complementari, una è di William Shakespeare (Enrico VI, 1592): la gloria è come un cerchio nell’acqua, che non cessa mai di allargarsi, finché, a furia di spandersi, si sperde nel nulla. L’altra è attribuita a Johann Wolfgang Goethe: Il sasso nel pantano non fa cerchi.

Ebbene si butta nell’acqua trasparente il sasso, ovvero l’ideale pieno di buone intenzioni con un gesto che è di rottura, la rivoluzione, i cerchi si allargano in un processo migliorativo, il capitale, ma poi i cerchi si allargano talmente tanto che si sperdono nel nulla, l’accumulo e il potere rendono torbido l’iniziale ideale, così nel pantano il sasso non fa cerchi, bisogna ripulire le acque e di solito lo si fa con delle guerre o un’altra rivoluzione. Tra l’altro pare quasi che i cicli della storia ampliandosi diventino sempre più veloci, alternando rivoluzione, capitale, impero e decadentismo in tempi sempre più ristretti.

Herbert Spencer, filosofo ottocentesco, uno dei primi sociologi, applica il darwinismo alla società che ritiene dinamica, essa cambia ogni volta che entra un elemento nuovo; un secolo dopo Talcott Parsons, sociologo statunitense, elaborò una nuova teoria sulla società, interpretandola come un insieme interrelato di parti che è capace di autoregolazione, in cui ogni parte svolge una funzione necessaria all’intero sistema, individuando 4 punti fondamentali, chiamate funzioni.

Parsons sostiene che chi non rispetta le regole e genera tensioni tra i vari sottosistemi-funzioni, viene assorbito dal sistema, sino a che non è quest’ultimo che muta, quando le nuove tensioni-valori sono talmente forti da non poter essere assorbiti nella società.

Sembrerebbe così che una società dell’equilibrio sia un’utopia, essa dai principi iniziali muta in continuazione, diventando qualcosa d’altro sino a che non regge più.

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Antonio Canova- Venere Italica- 1804/1812- Galleria Palatina-Firenze

Attraverso l’arte che rispecchia solitamente l’ambito sociale, morale, culturale, etico o religioso del suo tempo storico cercherò di tratteggiare il periodo italiano che va più o meno dalla seconda metà dell’Ottocento all’inizio del Novecento, che parte dagli ideali risorgimentali di un’Italia fondata sui principi di libertà, indipendenza ed unità, più giusta ed equa per tutti e termina col Decadentismo e la prima guerra mondiale… come si arrivò a questo in una manciata di anni?

Come si arrivò dall’euritmia e dall’armonia della “Venere Italica” di Canova al ritmo scomposto e veloce della scultura di Boccioni in una manciata di anni?

Prima di cominciare a tratteggiare velocemente gli stili artistici di questo lungo Ottocento, mi preme sottolineare che non è che un modello arriva e l’altro va, vi è sempre una continuazione, come esempio prendo un grande letterato, il Foscolo, che è un noto esponente del Neoclassicismo col suo accorato studio degli antichi, ma è altrettanto famoso come precursore del Romanticismo, si pensi ai “Sepolcri” o al romanzo epistolare “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”.

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François-Xavier Fabre- Ritratto di Ugo Foscolo- 1813

Se ho preso come esempio un letterato c’è un motivo, quando cambiano i modelli di riferimento, c’è uno scambio reciproco fra le arti figurative, la letteratura, la musica, il pensiero e la mentalità generale, avrei potuto prendere come contraltare visivo Francesco Hayez neoclassico nella forma e romantico nel sentimento, ma il ‘sentire’ di Ugo Foscolo (1778-1827) è così vibrante e puro nella classicità e allo stesso tempo inquieto, ribelle e sventurato, con le tombe, la morte e il suicidio posti nel suo romanticismo letterario, che ci fa quasi ‘entrare’ dentro i contrasti di inizio Ottocento, che devono essere stati ben molti, visto che si era passati dall’essere sudditi, all’essere cittadini per poi tornare più sudditi di prima nel 1815 con la Restaurazione e il tutto condito da guerre.

La Francia che aveva portato in Italia e non solo, col sangue, gli ideali di libertà uguaglianza fratellanza, si rivelò in realtà un padre-padrone, la mazzata per Foscolo fu il trattato di Campoformio del 1797, con cui Napoleone cedette la millenaria repubblica di Venezia all’Austria, in cambio del riconoscimento della Repubblica Cisalpina, così Foscolo da rivoluzionario diventa antirivoluzionario, poi filonapoleonico per poi capire che si era passati dalla padella alla brace.

Foscolo e il suo ‘spirto guerrier ch’entro mi rugge’, è espresso molto bene in Jacopo Ortis, il personaggio del suo romanzo tutto sentimento e irrazionalità.

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Teofilo Patini- La morte di Jacopo Ortis- 1880 circa

Jacopo è sfortunato in amore; intensamente patriottico, ammira la classicità del Parini ma è un fan sfegatato di Alfieri (altro preromantico e personaggio simbolo del Risorgimento); Jacopo, identificandosi con quest’ultimo racconta che l’Alfieri già a nove anni era preso a volte di tanta furia che strappava e mangiava l’erba per cercare di placare la fiamma irosa che aveva dentro.

Jacopo che si butta sfiancato e scomposto all’ombra di un albero, addormentandosi, trovando un attimo di pace o passeggia lungo i sentieri delle colline pensando al sogno svanito di una patria libera, trovando conforto nell’amore impossibile con Teresa.

Jacopo ama Teresa ma lei sposa un altro, meno eccellente e raro di lui, ma adatto a conformarsi alla società mentre lui è inadeguato e così Jacopo si suicida.

Quello che succede a Jacopo più o meno successe anche a Foscolo: sradicato dalla sua patria, il dolore per il suicidio del fratello, gli ideali patriottici insultati, il rifiuto di collaborare con gli austriaci, l’esilio volontario e il tormento per la servitù dell’Italia e poi gli infelici amori che finiscono uno dopo l’altro.

Foscolo morirà nel 1827 a Londra povero e malato, a soli quarantanove anni, assistito dalla figlia che morirà poco dopo pure lei.

Dopo il Risorgimento a Unità avvenuta, le sue ceneri furono recuperate e nel 1871 vennero traslate nella Basilica di Santa Croce a Firenze, tempio di quelle itale glorie che lui stesso aveva celebrato nel carme Dei Sepolcri, cosìFoscolo assieme all’Alfieri e a Dante, è considerato un profeta della Patria italiana.

«Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo

Di gente in gente; mi vedrai seduto

Su la tua pietra, o fratel mio, gemendo

Il fior de’ tuoi gentili anni caduto.»

(Ugo Foscolo, In morte del fratello Giovanni )

(Continua)

Paola Tassinari

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