Norvegia: il mistero del beluga-spia

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Verso la fine degli anni ‘80, a distanza ravvicinata dall’incredibile scoperta secondo cui il delfino sarebbe l’animale più intelligente presente sulla faccia della terra, il Pentagono ordinò un programma di addestramento dei mammiferi marini affinché potessero individuare pericolose armi subacquee durante la prima guerra del golfo. Tutto ciò fu svolto avendo la premura di sottolineare in un comunicato ufficiale che il compito degli animali non sarebbe stato quello di far scoppiare le mine, ma semplicemente di scovarle. Evidentemente, i vertici statunitensi temevano che l’eventuale morte dei delfini potesse suscitare nei propri connazionali un’indignazione ben più significativa di quella legata alla morte dei propri soldati.

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Ad ogni modo, l’aspetto più significativo dell’intera faccenda fu che l’allora Unione Sovietica, forse per emulazione o forse più semplicemente per aver condiviso la medesima idea, decise a propria volta di addestrare militarmente in Crimea non solo i delfini, ma anche le balene, le orche e numerosi altri tipi di animali marini. Il progetto venne affidato alla Flotta del Mar Nero, una componente della marina Sovietica fondata nel 1783 dal Principe Grigorij Potemkin e stanziata nella città di Sebastopoli (fondata a sua volta dal Principe Grigorij Potemkin, ma nel 1784). Naturalmente, i vertici sovietici erano ben più discreti di quelli americani, di conseguenza le informazioni che ci giunsero riguardo quest’inedita formazione degli animali furono ben più scarne ed effimere, tutto ciò che sappiamo è che agli allevatori delle principali città dell’epoca giunse la richiesta di consegnare alla marina animali “dai denti sani e robusti”.

Com’è noto, a partire dagli anni ‘90 e fino al 2014 la città di Sebastopoli, al pari dell’intera Crimea, finì sotto il controllo del governo ucraino e malgrado Mosca ottenne l’autorizzazione per stanziare nel porto locale alcune delle proprie navi, il cambiamento geopolitico in atto dovette ridimensionare non poco le velleità avanguardistiche della marina russa. Tuttavia, è ben noto che quando un progetto è animato da forti motivazioni difficilmente può essere fermato del tutto: è così che, a distanza di anni, dall’insospettabile Norvegia è giunta una notizia che riapre il discorso sull’addestramento militare degli animali marini e che, in un certo senso, ci riporta tutti con la fantasia ai tempi della guerra fredda.

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Nel corso di una consueta giornata di lavoro in mare aperto, a pochi chilometri dalle coste della piccola città di Inga alcuni semplici pescatori del posto hanno visto avvicinarsi alla propria imbarcazione quella che sembrava essere una maestosa balena bianca e che, volendo essere precisi, ad una più attenta analisi si sarebbe rivelata essere un giovane beluga. Contrariamente alle proprie consuete abitudini, però, il cetaceo non solo si è avvicinato alla barca dei pescatori ma si è perfino lasciato accarezzare, segno inequivocabile della sua abitudine alla compagnia degli uomini e del suo… straziante appetito. Già, perché capita spesso che quando un animale trascorre la maggior parte della propria vita in cattività, una volta immerso nella natura (o in questo caso, in mare aperto) non risulta in grado di procurarsi da solo il cibo che gli è necessario per sopravvivere; è dunque probabile, o almeno questa è stata l’interpretazione dei biologi norvegesi interpellati, che la balena bianca si sia avvicinata ai pescatori proprio perché speranzosa che questi la nutrissero a dovere.

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Ancor più curioso tuttavia è il fatto che sul dorso del maestoso animale è stata ritrovata un’imbracatura particolarmente adatta per contenere una fotocamera, sulla quale vi era una scritta tanto emblematica quando inequivocabile: “Equipment of St. Petersburg”.

In un primo momento, tutti hanno pensato alla possibilità che il tortuoso percorso compiuto dal cetaceo, al pari della natura della sua imbracatura, non fossero altro che il frutto di un qualche curioso esperimento scientifico. Ma tale ipotesi è stata quasi immediatamente smentita dal professor Audun Rikardsen dell’università di Tromso, il quale, dopo essere stato chiamato ad un’attenta analisi, ha asserito: “Se il beluga dovesse provenire dalla Russia, e ci sono ottime ragioni per crederlo, non può essere stata inviata da scienziati ma solo dalla marina”.

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L’esemplare è stato rimesso in libertà da un team specializzato, sebbene, come detto, è alquanto dubbio che la propria indole e la propria carenza d’esperienza lo rendano adatto a sopravvivere nel Mare del Nord. Nondimeno, qualunque sia il suo destino non può distogliere le nostre attenzioni da quella che è stata la sua storia: non è infatti ancora stato svelato come e soprattutto perché indossasse delle così appariscenti cinghie né tantomeno, cosa forse più importante, chi è stato a legare quest’ultime sul corpo del beluga o a cosa servissero. Costretto a dare una spiegazione, il Cremlino ha energicamente negato qualunque coinvolgimento nella vicenda; stranamente, però, non ha affatto negato la possibilità che la Marina stia svolgendo sul territorio russo un programma d’addestramento per questo tipo di animali. A distanza di poche ore, il mistero sembra essere stato ulteriormente infittito dalle dichiarazioni del colonnello esperto di mammiferi marini Viktor Baranets, secondo il quale ben presto numerosi animali marini verranno utilizzati dai russi per uccidere i sommozzatori stranieri e per attaccare una serie di mine sugli scafi delle navi nemiche. In altre parole, sebbene le prove che ricolleghino il beluga alla flotta del Mar Nero siano al momento inesistenti i sospetti, al contrario, sono più forti che mai.

Gianmatteo Ercolino

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