Nordcorea, Pyongyang invierà soldati al confine Sud (Altre News)

Siria, sanzioni Usa contro il regime - Allarme Pechino, nuovi contagi: "Ce ne saranno ancora" - Floyd, il fratello all’Onu: "La vita dei neri non conta" - ThyssenKrupp, semilibertà per manager tedeschi condannati

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Nordcorea, Pyongyang invierà soldati al confine Sud

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Pyongyang ha in programma di riprendere le esercitazioni militari lungo il suo confine con la Corea del Sud e intende inviare soldati nelle zone che erano state smilitarizzate in seguito agli accordi del 2018. L’annuncio segue la distruzione di un ufficio di collegamento intercoreano a Kaesong da parte di Pyongyang, che ha rifiutato l’offerta di Seul di mandare un inviato speciale per la de-escalation.

Secondo quanto riferiscono i media nordcoreani citando i vertici dell’esercito di Pyongyang, i militari saranno inviati nel parco industriale della città di Kaesong e sulle montagne di Kumgang nella costa orientale. Verranno inoltre ripristinati i posti di guardia nella zona cuscinetto che separa i due Paesi, hanno aggiunto le fonti.

La notizia appresa con ’’profondo rammarico’’ da Seul, che ha chiesto ’’con urgenza di evitare che la situazione peggiori ulteriormente’’, come ha dichiarato il ministero dell’Unificazione della Corea del Sud in una nota rilanciata dall’agenzia di stampa ’Yonhap’. Intanto proprio il titolare del dicastero, il ministro Kim Yeon-chul ha presentato stamani le dimissioni assumendosi le responsabilità per il peggioramento dei rapporti con la Corea del Nord. Il presidente sudcoreano Moon Jae-in non ha ancora accettato formalmente le dimissioni di Kim.

La Corea del Nord ’’pagherà sicuramente un prezzo, se davvero agirà in questo modo’’, ha invece annunciato il direttore delle operazioni degli Stati Maggiori della Corea del Sud, Jeon Dong-jin.

Il ministero della Difesa sudcoreano ha quindi espresso ’’profonda preoccupazione’’ per i piani militari annunciati dall’esercito nordcoreano, sottolineando che questi vanno contro i precedenti accordi tra Suel e Pyongyang, compreso quello del 2018.

Siria, sanzioni Usa contro il regime: colpiti anche Assad e la moglie Asma

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Gli Stati Uniti hanno annunciato l’avvio di una "campagna di pressione politica ed economica" contro il regime siriano, sanzionando 39 tra individui ed entità tra cui il presidente Bashar al-Assad e sua moglie Asma. Le sanzioni sono state imposte nel quadro del ’Caesar Syria Civilian Protection Act’.

"Prevediamo molte altre sanzioni e non ci fermeremo fino a quando Assad e il suo regime non metteranno fine alla loro guerra inutile e brutale contro il popolo siriano", ha commentato il capo della diplomazia americana, Mike Pompeo, in una nota.

Mentre le precedenti sanzioni americane avevano colpito soprattutto il governo di Damasco, il ’Caesar Act’ prende di mira individui, enti e società - sia siriane che straniere - accusate di sostenere le attività militari in Siria di Assad e dei suoi alleati: Russia, Iran e i libanesi di Hezbollah. Le sanzioni colpiscono anche i settori dell’Oil&Gas e delle costruzioni.

Intanto la Banca Centrale siriana ha rivisto il tasso di cambio ufficiale con il dollaro Usa, portandolo da 704 Lire siriane a 1.256, come riferisce una nota dell’Istituto sul suo canale Telegram. Secondo l’agenzia ’Dpa’, al mercato nero di Damasco un dollaro americano è scambiato con 2.700 Lire siriane. La svalutazione della Lira potrebbe provocare un significativo aumento dei prezzi dei beni importati.

"Continueremo questa campagna nei prossimi mesi per colpire individui e imprese che sostengono il regime di Assad e ostacolano una soluzione pacifica e politica del conflitto come richiesto dalla risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite", ha annunciato Pompeo.

Il capo della diplomazia statunitense ha evidenziato come per la prima volta sia stata sanzionata dagli Usa Asma al-Assad che "con il sostegno di suo marito e dei membri della sua famiglia Akhras è diventata una delle più note speculatrici della guerra della Siria".

Durissima la reazione di Damasco. Una fonte del ministero degli Esteri, citata dall’agenzia di stampa ufficiale ’Sana’, ha sottolineato che gli Stati Uniti hanno ignorato tutte le norme e le leggi internazionali con il ’Caesar Act’. Il "comportamento" degli Stati Uniti si è "abbassato ai livelli di gang e banditi", ha dichiarato la fonte, secondo la quale "il popolo siriano e il suo coraggioso esercito, che hanno fatto abortire lo schema americano con la loro leggendaria fermezza, affronteranno queste sanzioni con la stessa determinazione".

Riferendosi poi alle proteste negli Stati Uniti per la morte di George Floyd, la fonte ha aggiunto: "Gli Usa, che danno la caccia ai loro cittadini nelle strade dei loro Stati e uccidono persone a sangue freddo, sono gli ultimi a poter parlare di diritti umani".

Per Joseph Tobji, arcivescovo maronita di Aleppo, le nuove sanzioni economiche imposte dagli Usa alla Siria sono un "atto diabolico". "Adesso - ha detto a Fides - ad Aleppo tutti dicono: stavamo meglio sotto le bombe. Quella delle sanzioni ‘mirate’ è una bugia a cui non crederebbe neanche un bambino. Tutti vedono benissimo quale è l’obiettivo: aumentare le sofferenze nella popolazione per alimentare il malcontento popolare e produrre in questo modo il cambio di regime. Ma questo modo di agire è criminale".

"La bomba arriva all’improvviso - ha affermato l’arcivescovo – e uccide le persone intorno al luogo in cui cade. Adesso, in Siria, si sente la fame vera, e milioni di persone hanno davanti agli occhi la prospettiva di guardarsi morire lentamente di una morte annunciata, senza possibili vie di fuga. Il valore della lira siriana è crollato in maniera vertiginosa".

Tobji ha descritto un quadro drammatico: "Chiudono i negozi, chiudono le piccole imprese, ognuno prova a sopravvivere con quello che trova. Quelli che hanno i soldi depositati nelle banche del Libano non li possono neanche ritirare, per la crisi finanziaria libanese. Negli ospedali mancano medicine e attrezzature indispensabili per gli interventi chirurgici salvavita, come gli stent. Se si entra nell’intimo delle fatiche e delle sofferenze delle famiglie, si sentono storie da piangere".

Allarme Pechino, nuovi contagi: "Ce ne saranno ancora"

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Pechino lotta contro il tempo per fermare i nuovi contagi a causa della pandemia di coronaivurs. Stamani sono stati confermati altri 31 casi di trasmissione locale, con il totale salito - secondo i dati ufficiali - a 137 in sei giorni. "E’ possibile che continuino a emergere per un po’ di tempo nuovi casi di infezione", ha ammesso Pang Xinghuo, numero due del Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie di Pechino, citato dai media ufficiali del gigante asiatico. Fra i 137 casi c’è anche un paziente di soli otto anni e una persona è in condizioni giudicate "critiche".

Lo riferiscono le autorità sanitarie della capitale cinese ieri hanno innalzato da 3 a 2 il livello di "risposta all’emergenza" sanitaria su una scala in cui il primo grado è il più grave e sospeso tutti i collegamenti aerei con Pechino per preservare la salute pubblica. Questa mattina sono più di mille i voli cancellati in due aeroporti di Pechino. Il Quotidiano del Popolo scrive di 1.255 voli cancellati in due aeroporti della città, con un dato aggiornato alle 9.10 ora locale (le 3.10 in Italia) e che - si legge - equivale a circa il 70% dei voli previsti.

Stop anche agli eventi sportivi e agli sport di gruppo. L’Ufficio per lo sport del governo municipale ha deciso per la sospensione di tutti gli eventi sportivi e la chiusura di alcune palestre. La chiusura viene imposta a tutte le piscine e palestre con locali sotterranei. Lo stop riguarda tra l’altro pallavolo, pallacanestro e calcio. E la diocesi di Pechino torna a chiudere le chiese per coronavirus. Padre John Baptist Zhang, della Jinde Charities, spiega al Sir che "l’attuale rimbalzo dell’epidemia a Fengtai di Pechino è un avvertimento per tutti: nessuno può credere di prendere alla leggera il virus". La diocesi di Pechino aveva riaperto le parrocchie il 10 giugno e alcune chiese avevano potuto celebrare messe. Ora il contrordine.

Floyd, il fratello all’Onu: "La vita dei neri non conta"

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"Le vite dei neri non contano negli Stati Uniti". Parafrasando il nome del movimento di attivisti afroamericani, Philonise Floyd, fratello di George, morto per mano della polizia a Minneapolis il 25 maggio scorso, ha denunciato l’atteggiamento del suo Paese nel corso di una sessione del Consiglio dei diritti umani dedicata al razzismo. "Gli agenti non hanno mostrato pietà né umanità - è tornato ad accusare il fratello di Floyd in video collegamento con Ginevra - e hanno torturato a morte mio fratello per le strade di Minneapolis davanti ad una folla di testimoni che guardava e li implorava di smettere, dando al popolo nero ancora una volta la stessa lezione, che la vita dei neri non conta negli Stati Uniti".

"Vi chiedo di aiutarci ad avere giustizia per mio fratello George Floyd. Spero che creerete una commissione d’inchiesta indipendente per indagare sull’uccisione di afroamericani da parte della polizia in America" ha detto Philonise Floyd.

"Il modo in cui avete visto mio fratello torturato e ucciso in un video è il modo in cui i neri vengono trattati dalla polizia in America", ha insistito Floyd, che, rivolto alle Nazioni Unite, ha sottolineato come abbiano "il potere di fare giustizia per mio fratello".

I Paesi africani del Consiglio dei diritti umani dell’Onu - dal quale gli Stati Uniti si sono ritirati nel giugno di due anni fa - vogliono che entro la settimana sia adottata una proposta per dare vita ad una commissione d’inchiesta che indaghi sul razzismo sistematico, le violenze della polizia e le violazioni dei diritti umani contro gli africani o gli afroamericani negli Stati Uniti e in altri Paesi. Da quando è stato creato nel 2006, il Consiglio ha istituito 31 commissioni d’inchiesta, ma nessuna che ha indagato su un Paese occidentale.

ThyssenKrupp, semilibertà per manager tedeschi condannati

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Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz, i due manager tedeschi condannati per il rogo alla ThyssenKrupp di Torino costato la vita a sette operai nel dicembre 2007, hanno ottenuto l’ammissione al lavoro esterno, che significa che sono detenuti in un penitenziario ma possono lasciarlo la mattina per andare a lavorare e devono tornare la sera. La notizia è arrivata oggi alla procura generale di Torino.

A quanto si apprende la concessione è subordinata a tre condizioni: l’assenza di recidiva, l’assenza di pericolo di fuga e assenza di pericolo di reiterazione del reato.

Un diritto che però lascia l’amaro in bocca ai familiari delle vittime. ’’Siamo disperate e indignate, non è possibile che ci si dimentichi di sette ragazzi bruciati vivi. Nessuno ci restituirà i nostri ragazzi e l’unica cosa che possiamo avere è un po’ di giustizia terrena’’, dice all’Adnkronos, Graziella Rodinò, la mamma di Rosario uno dei sette operai morti nel rogo, annunciando che domattina saranno davanti al Palagiustizia di Torino e poi andranno a Roma a far sentire la loro voce contro la decisione del magistrato di sorveglianza. ’’Per caso oggi tra mamme ci eravamo riunite per discutere degli sviluppi della vicenda e dalla Germania ci è arrivata questa notizia. Ora ci devono ascoltare, il governo deve fare qualcosa, vogliamo giustizia per i nostri ragazzi’’, conclude.

Di beffa parla anche Antonio Boccuzzi, l’ex operaio della Thyssen sopravvissuto al rogo. ’’Sono costernato oltre che senza parole, questa notizia è stata come ricevere uno schiaffo in pieno viso quando non te lo aspetti. Siamo di fronte a una beffa’’, dice all’Adnkronos. ’’Dopo le dichiarazioni della procura generale di Torino mi ero un po’ rassicurato. Sapere che i due manager tedeschi sarebbero andati in carcere era come mettere un punto fermo, avere in qualche modo giustizia. Ora sono senza parole’’.

Sulla decisione interviene anche Massimiliano Quirico, direttore di Sicurezza e Lavoro secondo il quale "la concessione di un regime ’leggero’ di detenzione per i due manager tedeschi è una notizia inaspettata, che lascia perplessi sotto diversi punti di vista. Si sono usati due pesi e due misure’’, afferma Quirico. ’’In Italia - ricorda - i dirigenti ’minori’ sono stati arrestati subito dopo la sentenza e hanno scontato un normale regime carcerario, almeno inizialmente. In Germania, i massimi vertici dell’azienda iniziano a pagare per le proprie responsabilità oltre quattro anni dopo la sentenza della Cassazione italiana. E non scontano neanche un normale periodo di detenzione: iniziano subito a usufruire di una sorta di ‘semi-libertà’’.’

’’Quella della magistratura tedesca è una decisione incomprensibile: la giustizia dovrebbe valere allo stesso modo in ogni Paese d’Europa. Soprattutto, quando si tratta di omicidi. E’ una sconfitta per gli operai italiani", conclude .

Redazione

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