Nomine, si avvicina l’ora delle scelte (Altre News)

Sud: un piano da 123 mld fino al 2030, 21 mld in primo triennio per rilanciare investimenti - Crisi edicole, ne spariscono 2 al giorno

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Nomine, si avvicina l’ora delle scelte

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Massimo rigore, competenza, merito e niente politica: saranno questi i criteri per la scelta dei vertici delle grandi aziende pubbliche. Parola del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. Dopo aver posto i primi tasselli con i nuovi direttori delle Agenzie fiscali, la stagione delle nomine si avvicina a grandi passi ed è il titolare dell’Economia a indicare le regole del gioco. "Non metteremo politici ai vertici di grandi aziende", ha assicurato venerdì mentre, intanto, quaranta deputate di diversi gruppi parlamentari lanciavano l’appello al premier, Giuseppe Conte, di non dimenticare le donne in questa tornata. I criteri "saranno ispirati al massimo rigore e alla valorizzazione del merito, della competenza e della professionalità”, ha insistito ieri Gualtieri.

Parole, quelle del ministro, che danno il polso di come il dossier stia sempre diventando sempre più caldo e il valzer delle poltrone, che si calcola siano complessivamente circa 400, tra ipotesi di riconferme e rinnovi, stia entrando sempre più nel vivo. La posta in gioco è alta: nel pacchetto delle nomine ci sono, innanzitutto, i colossi di Stato, come Eni, Enel, Leonardo, Poste, e non solo, i cui consigli di amministrazione scadono con l’approvazione dei bilanci 2019.

In scadenza l’ad di Eni Claudio Descalzi, che sta per concludere il secondo mandato al timone dove era arrivato nel 2014, e poi rinnovato nel 2017, dopo una lunga carriera interna al gruppo. Alla fine del secondo mandato è anche Francesco Starace, ad di Enel. Scade anche il mandato di Alessandro Profumo. L’ex banchiere era arrivato a Leonardo nel 2017 al posto di Mauro Moretti. A fine del primo mandato, l’ad di Poste Matteo Del Fante, arrivato da Terna nel 2017. Al suo posto alla guida della società della rete elettrica era arrivato Luigi Ferraris, che prima ricopriva l’incarico di cfo di Poste. In scadenza anche i vertici di Enav, guidata dall’ad Roberta Neri e dal presidente Nicola Maione.

Guardando all’agenda, ci sono già delle date cerchiate di rosso: sono quelle fissate dai calendari finanziari delle società interessate dai rinnovi. Il 5 marzo prossimo si riunirà il consiglio di amministrazione di Poste Italiane per l’approvazione del bilancio del gruppo mentre l’assemblea degli azionisti, chiamata a nominare i nuovi vertici, è programmata in unica convocazione per il 16 aprile prossimo. Il 27 aprile è convocata, anche questa in unica convocazione, l’assemblea di Terna (il 19 febbraio il cda esaminerà i dati preliminari consolidati 2019 mentre il 10 marzo viene presentato il bilancio).

A maggio si comincia con l’Enav. L’appuntamento è per il 5 maggio, giorno di convocazione dell’assemblea. La società di assistenza al volo approverà i conti il 12 marzo prossimo. Poi il 13 maggio toccherà all’Eni, il cui cda approverà i conti il 27 febbraio prossimo mentre il 28 febbraio è in programma la strategy presentation. Leonardo riunirà il 12 marzo il consiglio di amministrazione per il via libera al bilancio 2019. Come viene indicato nel calendario finanziario, l’assemblea degli azionisti si svolgerà tra il 6 e il 20 maggio. Per l’Enel, il calendario societario non indica ancora la data o, comunque, la ’finestra’ di convocazione dell’assemblea. Il prossimo appuntamento è per il 19 marzo per la relazione finanziaria annuale relativa all’esercizio 2019. Nelle scadenze c’è anche Mps: l’assemblea dell’istituto è convocata per il 6 aprile in unica convocazione.

Se si è sbloccata la partita con le agenzie fiscali, che ha visto il ritorno di Ernesto Maria Ruffini alle Entrate, di Marcello Minenna alle Dogane e Antonio Agostini al Demanio, ci sono ancora altre ’pendenze’ degli ultimi mesi, come le nomine ai vertici delle authority: quella delle Autorità delle Comunicazioni e della Privacy, scaduti nel luglio scorso e prorogati. Nessuna sostituzione ancora alla guida dell’Anac dopo l’uscita di Raffaele Cantone. Partita che sembra destinata a slittare al gran ’ballo’ di primavera.

Sud: un piano da 123 mld fino al 2030, 21 mld in primo triennio per rilanciare investimenti

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Per il rilancio del Mezzogiorno il Piano Sud del governo prevede oltre 123 miliardi di euro. Nel breve termine, nel periodo 2020-22, ci sarà già un primo impatto da 21 miliardi di euro (+65% rispetto al triennio 2016-18) massimizzando l’impatto delle misure nella Legge di Bilancio 2020 per aumentare sensibilmente gli investimenti pubblici. E’ quanto prevede il Piano Sud 2030 che è stato illustrato oggi dal ministro per il Sud e la Coesione territoriale Giuseppe Provenzano, assieme al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, all’Istituto d’Istruzione superiore ’Francesco Saveri’ di Gioia Tauro.

Le azioni su cui si concentrerà l’attività del Governo per rilanciare gli investimenti nel Sud nel triennio 2020-22, a parità di risorse disponibili e senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, "garantiranno una maggiore dotazione di risorse e capacità spesa in conto capitale in media d’anno di circa 7 miliardi di euro, pari all’1,8 per cento del Pil del Mezzogiorno".

L’obiettivo viene conseguito mediante il riequilibrio delle risorse ordinarie, con l’effettiva applicazione della clausola del 34%; il recupero della capacità di spesa della politica nazionale di coesione (Fsc); il miglioramento dell’attuazione della programmazione dei Fondi Strutturali e di Investimento europei (Sie). Parte integrante del presente Piano "sarà l’attività di nuova programmazione per il periodo 2021-27, delle risorse della politica di coesione nazionale ed europea".

Tra i punti principali del Piano c’è quello di "un Sud rivolto ai giovani". In particolare si punta ad "investire su tutta la filiera dell’istruzione, a partire dalla lotta alla povertà educativa minorile, per rafforzare il capitale umano, ridurre le disuguaglianze e riattivare la mobilità sociale". Per conseguire questo risultato il piano punta a "scuole aperte tutto il giorno", "al contrasto alla povertà educativa e alla dispersione scolastica"; alla "riduzione dei divari territoriali nelle competenze"; al "potenziamento dell’edilizia scolastica"; "all’estensione No Tax area (senza penalizzare le Università)", e "all’attrazione dei ricercatori al Sud".

Ma non solo si punta nel Piano anche ad infittire e ammodernare le infrastrutture, materiali e sociali, come fattore di connessione e di inclusione sociale, per spezzare l’isolamento di alcune aree del Mezzogiorno e l’isolamento dei cittadini in condizioni di bisogno. Un Piano Sud del Mit di oltre 33 miliardi ma anche ad affrontare l’emergenza viabilità secondaria, ad istituire un Fondo infrastrutture sociali per comuni medi e piccoli, a realizzare nuovi nidi al Sud, a favorire l’inclusione abitativa per cittadini e lavoratori svantaggiati, a creare ’Case della salute’ per l’assistenza integrata e al rinnovo della dotazione tecnologica sanitaria.

Inoltre si punta a rafforzare gli impegni del Green Deal al Sud e nelle aree interne, per realizzare alcuni obiettivi specifici dell’Agenda Onu 2030 e mitigare i rischi connessi ai cambiamenti climatici. In particolare è previsto un ’reddito energetico’ per le famiglie; una sperimentazione di economia circolare; un potenziamento del trasporto sostenibile; contratti di filiera e di distretto nel settore agroalimentare; una gestione forestale sostenibile.

Inoltre nel Piano si punta a supportare il trasferimento tecnologico e il rafforzamento delle reti tra ricerca e impresa, nell’ambito di una nuova strategia di politica industriale. In particolare grazie ad un Credito d’imposta in ricerca e sviluppo al Sud; al rafforzamento degli Its al Sud; al potenziamento del “Fondo dei Fondi”; ad una Space Economy Sud e ad aiutare lo sviluppo di Startup tecnologiche al Sud. Inoltre il Piano punta a rafforzare la vocazione internazionale dell’economia e della società meridionale e ad adottare l’opzione strategica mediterranea, anche mediante il rafforzamento delle Zone Economiche Speciali (Zes) e i programmi di cooperazione allo sviluppo.

La creazione di lavoro buono, soprattutto per i giovani e le donne, è la premessa e la conclusione necessaria del Piano Sud 2030. Il tasso di disoccupazione dei giovani nel Mezzogiorno ha raggiunto il 48,4% del 2018, a fronte del 24% nel Centro-Nord. Il tasso di attività delle donne al Sud è pari al 41,6%, rispetto al 64,1% nel Centro-Nord e al circa 74% della media Eu-28. Un dato che conferisce alla questione di genere un carattere emergenziale e che richiede una risposta strutturale, accompagnato da un forte sgravio contributivo per anticiparne l’impatto. Per questo nel Piano Sud 2030 sono previste misure trasversali avviate o da avviare nel 2020, per rafforzare la competitività del sistema produttivo la creazione di buona occupazione per giovani e donne.

I prossimi step prevedono entro il 31 marzo 2020: un Dpcm per l’attuazione della cosiddetta clausola del 34%; la presentazione della relazione al Cipe sulla riprogrammazione del Fsc; l’approvazione Dpcm sulle modalità attuative del Fondo per gli investimenti in infrastrutture sociali. Entro il 10 aprile 2020 è atteso il Def che deve contenere la quantificazione finanziaria della politica di coesione nazionale per il ciclo 2021-27; entro il 30 aprile è attesa la sottoposizione al Cipe dei Piani Sviluppo e Coesione e entro il 30 giugno la condivisione con la Commissione Europea dello schema di Accordo di Partenariato per la Programmazione 2021-2027.

"Il Sud è un’opportunità, ce lo diciamo da troppi anni, ma questa opportunità troppo spesso è stata mancata", ha sottolineato il ministro del Sud Giuseppe Provenzano a margine della presentazione del Piano per il Sud a Gioia Tauro. "Quando una generazione va via in massa, non lo fa solo per mancanza di lavoro, perché a volte il lavoro manca anche nel resto del Paese, a volte le condizioni di lavoro sono pessime anche altrove, ma quando se ne vanno così tanti vuol dire che manca una prospettiva di futuro, da qui a 10, 20 anni per i nostri territori di origine. Ecco perché abbiamo voluto chiamare il nostro Piano 2030", aggiunge Provenzano.

Crisi edicole, ne spariscono 2 al giorno

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(Cristina Armeni) - La crisi della carta stampata affonda la rete di vendita. Nel 2019 sono sparite due al giorno tra edicole e altre attività di vendita di quotidiani e riviste, per un totale complessivo di 781 perdute durante l’anno, con una variazione negativa del 5,2%. Un dato che aggrava ancora di più il bilancio dell’ultimo decennio: tra il 2011 ed il 2019, infatti, la rete della rivendita di quotidiani e riviste ha perso 4.102 attività, circa un quarto, il 22%, del totale delle imprese, passando da 18.447 a 14.345. E’ quanto stima Fenagi, l’associazione di giornalai ed edicolanti Confesercenti, in uno studio diffuso dall’Adnkronos.

Il dato allarmante include tutti i negozi e pubblici esercizi che aggiungono all’attività prevalente la vendita dei giornali. Le edicole vere e proprie, cioè i tradizionali chioschi specializzati solo nella vendita di giornali e periodici e non riconvertiti ad altri prodotti o attività, sono ormai solo circa 5 mila in tutta Italia.

Le difficoltà delle imprese sono legate a doppio filo al calo repentino delle vendite dei prodotti editoriali. Un fronte su cui il 2019 è un anno da dimenticare: i ricavi dalla vendita di quotidiani e periodici dovrebbero infatti essersi assestati a poco più di 1,9 miliardi, il 10% in meno rispetto al 2018 ed è il dato peggiore degli ultimi 5 anni, come stima Fenagi sulla base delle elaborazioni condotte sui dati resi pubblici dagli Uffici studi delle associazioni della filiera della carta.

In particolare, i giornalai stimano che i ricavi da quotidiani si siano fermati a 855 milioni di euro, il 7,5% in meno sull’anno passato. Per le riviste e le altre pubblicazioni periodiche, invece, si prevedono vendite per 1.076 milioni di euro, con un calo vicino al 12%.

Una riduzione marcata, con conseguenze su tutta la filiera dell’informazione, dalle redazioni alla rete di vendita, ormai in una situazione di crisi strutturale. I conti economici parlano chiaro: rispetto al 2013, il reddito medio delle imprese del commercio al dettaglio di giornali, riviste e periodici è sceso di circa un terzo, e ormai 6 edicole su 10 realizzano utili, ante imposte, di 10mila euro l’anno o ancora meno.

Redazione

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