NAGORNO KARABAKH:E’ CONFLITTO APERTO TRA ARMENIA E AZERBAIGIAN

La storicità delle tensioni tra i due stati e le ripetute violazioni del cessate il fuoco

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Il riemergere del conflitto in Nagorno Karabakh, per quanto possa aver provocato sconcerto per l’intensità e la rapidità con cui si è ripresentato, non sarebbe risultato imprevedibile. Era da tempo infatti, che nell’area del Caucaso meridionale, si covavano le tensioni geopolitiche presenti nelle relazioni tra le repubbliche dell’Armenia e dell’Azerbaigian, confinanti al Nagorno Karabakh. La regione, autoproclamatasi Repubblica dell’Artsakh o Repubblica di Nagorno Karabakh nel 1991, sin dalla Rivoluzione Russa del 1917, con la costituzione della Federazione Transcaucasica, dissolta poi nei tre paesi del circondario del Karabakh: Armenia, Azerbaigian e Georgia, era stata oggetto di rivendicazioni per l’estensione su di essa della sovranità territoriale da parte di armeni e azeri; i primi facendo leva sul principio di autodeterminazione dei popoli, essendo la popolazione del Karabakh costituita all’epoca per il 98% da armeni, mentre i secondi rivendicando il principio di integrità territoriale. A dirimere la controversia attraverso metodi poco diplomatici, fu l’Unione Sovietica di Stalin, che attribuì la regione del Nagorno alla Rep. Socialista Sovietica Azera, nonostante lo stesso soviet a guida di quest’ultima, avesse riconosciuto sulla base dell’armenità della regione, il diritto dell’Armenia ad amministrarla.

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Risale infatti solo a 3 anni più tardi la nascita dell’Oblast autonoma del Nagorno Karabakh, che istituì la capitale a Stepanakert, rimasta invariata fino ad oggi. La questione che sembrava essersi stabilizzata, riemerse già negli anni 80’ con Gorbačev e la sua politica della glasnost o della trasparenza, volta ad ampliare la libertà di espressione anche nel dissenso politico; politica di cui ci si avvalse in Karabakh per spingere verso l’unificazione con l’Armenia. Inutile dire che l’inevitabile conseguenza dell’assunzione di tale posizione fu l’inasprimento nei rapporti fra i due popoli, armeno e azero, che sfociò in violenze interetniche, le quali raggiunsero il culmine tra il 1988 e il 90, periodo caratterizzato dal susseguirsi di numerosi pogrom, preparatori al conflitto diretto del 1992-94. Nonostante la disposizione del cessate il fuoco, permase sin da allora una situazione di latente conflittualità sulla linea di demarcazione tra Nagorno Karabakh e Azerbaigian; è così che da una settimana ormai sono tornate a cadere bombe azere su Stepanakert e Ganja e si parla già di guerra tra Armenia e Azerbaigian.

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Dal Cremlino intanto, il portavoce Dimitrij Peskov, fa sapere: “in questa fase siamo molto attivi dal punto di vista diplomatico”, sottolineando come “la Russia è uno dei paesi che può mediare per la soluzione di questo conflitto. Rimaniamo estremamente preoccupati per quello che sta succedendo e crediamo che le parti debbano cessare il fuoco e sedersi al tavolo dei negoziati.” Anche altri attori politici si affacciano sullo scacchiere, schierandosi prevalentemente a favore della causa azera, tra cui l’Iran e la Turchia; il maggiore coinvolgimento di quest’ultima nel processo di pacificazione, sarebbe stato rivendicato dallo stesso presidente azero Ilham Aliyev che ha affermato: "La Turchia è un paese forte, che possiede un grande potenziale sull’arena mondiale. La Turchia è nostro vicino, vicino dell’Armenia, del Caucaso del sud, perciò deve essere più attiva in questa questione". A tal proposito, a porre dei freni, il pronunciamento della Corte di Strasburgo, che sollecita tutti gli stati coinvolti anche solo indirettamente nella questione, tra cui la Turchia, a rispettare gli obblighi scaturiti dalla Convenzione europea dei diritti umani, astenendosi da tutte le azioni che possano contribuire alla violazione dei diritti civili.

Federica Scippa

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