Mobilità sociale

Cosa ci rivela il sondaggio Ocse

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È possibile cambiare la classe sociale di appartenenza? Sicuramente sì. Ce lo rivela l’Ocse, premettendo che è difficile il cambiamento della propria condizione, specialmente attraverso il lavoro. Si cambia nel corso della vita seguendo il proprio iter: c’è chi studia, lavora, convive, si sposa o va a vivere da solo, fa figli oppure no, fa carriera o perde il lavoro. Si attraversano insomma status differenti.

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Il cambiamento che porta a ricoprire una nuova posizione sociale può essere fortemente diseguale a causa dello status ereditato dai padri. L’Organizzazione parigina ha rilasciato proprio in questi giorni il rapporto sulla “mobilità sociale”, diffondendo i risultati dei suoi studi: “L’ascensore sembra rotto. Questi i rimedi: investire sull’istruzione, ridurre il dualismo sul mercato del lavoro, migliorare le reti di protezione per le famiglie povere”. Sono dunque molto bassi gli investimenti che si fanno nella scuola e nella formazione: nel nostro Paese, per esempio, i laureati guadagnano in media solo il 40% in più rispetto ai diplomati, mentre in altri Paesi europei la percentuale sale al 60%. In tutto questo si deve considerare il forte nesso fra la “crescita del Pil da una parte ed il tasso di inclusività” di quella crescita dall’altro.

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Ne risulta, dunque, che più di sette genitori su dieci non confidano nella possibilità che i loro figli possano avanzare di status a livello economico, sociale e lavorativo. D’altronde, nel 40% dei casi, chi nasce in una famiglia impiegata in mestieri manuali finisce per dare prosecuzione all’attività dei genitori. Solo il 17% dei bambini cresciuti in un ambiente modesto riesce a compiere il “salto di qualità” e, al contempo, solo il 42% di quelli nati da famiglie agiate mantiene lo stesso livello socio-economico dei genitori.

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Sempre dalla ricerca dell’Ocse, si evince che in Italia sono necessarie cinque generazioni perché “un bambino nato da una famiglia a basso reddito raggiunga il reddito medio nazionale”. L’Ocse rileva inoltre che “ci sono alcuni Paesi, come la Francia e la Germania, dove la media sale addirittura a 6 generazioni, per non parlare del Brasile e del Sudafrica, con 9 generazioni, o della Colombia, con 11 generazioni”. I paesi nordici sono quelli in cui la media si aggira a 2 o 3 generazioni.

Ester Lucchese

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