MONDITALIA: UN VIAGGIO NELLO STRAPAESE.

14^ Mostra Internazionale di Architetture di Venezia

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Un lungo viaggio in Italia interpretato con gli occhi di un archistar olandese e di 41 gruppi di ricercatori. Questa può essere considerata, in sintesi, la sfida lanciata da Rem Koolhaas (direttore artistico dell’intera “14^ Mostra Internazionale di Architetture di Venezia”) con la mostra Monditalia allestita alle Corderie dell’Arsenale di Venezia, inaugurata nei giorni scorsi e che è possibile visitare fino al 23 novembre 2014.

cms_819/rem_kollhaas.jpgNon era mai successo che un direttore artistico della Biennale dedicasse un’attenzione così importante al nostro paese. Il perché di questa scelta, lo si può leggere sin dal testo introduttivo dell’esposizione: l’Italia può essere oggi considerata, con le sue mille contraddizioni, le sue potenzialità, i suoi fallimenti, le sue turbolenze politiche, una sorta di “prototipo” della condizione contemporanea che stiamo vivendo. A partire da tali premesse si sviluppa un complesso racconto articolato in 41 casi studio, frammenti giustapposti di una articolata riflessione sulle nostre miserie, sulle nostre ricchezze e sulle nostre potenzialità. Una mostra complessa, che richiede una visita accurata e riflessiva, priva di scenografie mirabilanti o installazioni accatiivanti. L’Italia torna dunque ad occupare il centro della scena come nella lunga mappa del V secolo – la Tabula Peuntingeriana- che accompagna ilvisitatore lungo i 316 metri delle Corderie dell’Arsenale. Una mappa dell’Europa in cui il belpaese è rappresentato come baricentro e spina dorsale dell’intero continente. In questo interessante e stimolante racconto l’architettura - in tutti i suoi aspetti - è sullo sfondo della narrazione: ne influenza il suo sviluppo ed allo stesso tempo ne è fortemente influenzata. Un fiume carsico che appare e scompare tra riflessioni politiche, sociologiche, storiche, economiche, di costume. La “voce fuori campo” che accompagna il visitatore lungo l’intero percorso è interpretata da 82 spezzoni di film italiani proiettati su grandi schermi: dall’Avventura di Antonioni al Vangelo secondo Matteo di Pasolini, da Lamerica di Amelio a Non ci resta che piangere di Benigni e Troisi, solo per citarne alcuni.

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Il viaggio di Monditalia attraversa il Paese da sud a nord, dalle coste della Libia alla Alpi. Non a caso tra le prime cose che si incontrano lungo il percorso espositivo c’è una sorta di confessionale dilatato al cui interno vengono proiettate immagini dell’esperienza coloniale Africana del regime fascista. Una sorta di preventivo esame di coscienza nazionale in cui la bellezza delle architetture realizzate dall’Italia nelle sue colonie entra subito in contraddizione con i crimini commessi. Colpe, contraddizioni e fallimenti del nostro “confine meridionale” che tornano anche nella contemporeneità: i luoghi dell’immigrazione sono infatti analizzati da altre due sezione della mostra – post-frontier e intermudia – attraverso un’analisi impietosa sull’esile rapporto tra territori confinati e territori esclusi.

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Un racconto dell’Italia così articolato e ricco presenta naturalmente molte chiavi di lettura. A me sembra che una delle più interessanti possa ritrovarsi nella descrizione di una sorta di tradimento della modernità vissuto dal nostro Paese dopo gli anni sessanta in molti campi, compreso quello architettonico. Emblematica la sezione intitolata “the remmants of the miracle” che mostra lo stato di degrado in cui versano alcuni dei capolavori dell’architettura e dell’ingegneria italiana realizzati tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’60. Opere straordinarie di Pierluigi Nervi, di Savioli e Ricci, di Gori e Morandi raccontano la “nascita, la vita e la morte dell’economia italiana”, di una promettente stagione di ricerca, di innovazione tecnologica, industriale nonchè culturale, artistica ed architettonica iniziata negli anni del boom economico ma presto abbandonata. Una stagione che oggi sembra essere ridotta solo a ruderi inutilizzati. Il commento didascalico che accompagna l’immagine di questi edifici in rovina chiarisce questa prospettiva. Essi rappresentano “il fallimento di un’idea di modernità su cui è stata costruita (o meglio si è tentato di costruire – ndr) l’Italia ma al tempo stesso il potenziale latente che la modernità italiana possiede ancora”.

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Ed una strategia complessa messa in campo in Italia per sconfiggere un’idea di modernità può essere rintracciata in altri casi-studio presentati da Monditalia.In tal senso leggiamo la riflessione di Elena Pirazzoli e Roberto Zancan sulle memorie impresse nelle nostre città dai tanti attacchi terroristici e dai conflitti politici degli anni sessanta – Urbs oblivionalis. Urbs spaces and terrorism in Italy - o la rappresentazione dei “territori della mafia” raccontata da Bonaventura, Imbriaco e Severo in immediate surrondings. Residences of italian mafia organizzation. Unaintelligente rappresentazione fotografica degli edifici, delle strade e dei quartieri in cui hanno vissuto e tuttora vivono i membri delle organizzazioni mafiose. Una colonizzazione dei territori italiani da parte dei poteri criminali certamente non più limitata ad alcune regioni.

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Ed i nfine un tradimento della modernità lo si rintraccia anche nella nascita dell’urbanistica televisiva, raccontata nella sezione Sales oddity. Milano2 and the politics of direct-to-home tv urbanism.Lacreazione del nuovo quartiere “Milano2” nel 1970 su iniziativa di Silvio Berlusconi, proseguita con la nascita dei canali televisivi di Mediaset, impone un nuovo modo di costruire la società attraverso le strategie di marketing e l’affermazione di una sorta di rivoluzione conservatrice. Nasce il mito della "città dei numeri 1", manifestazione fisica di un nuovo modello di vita e di organizzazione sociale: una città fatta di vialetti fioriti e laghi artificiali con cigni, interamente cablata con la TV via cavo. Al centro della nuova città i luoghi della produzione televisiva. Insomma una vera e propria utopia da strapaese che in Italia ha sempre preso il sopravvento su ogni vera idea di modernità. Non è un caso, quindi, che i curatori di Monditalia abbiamo voluto collocare all’inizio del percorso una monumentale luminaria, tipico addobbo delle strade e delle piazze delle nostre città allestito in occasione delle feste patronali: una porta da strapaese, appunto, per una chiave di lettura della nostra storia recente.

Francesco Orofino

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