MIROSLAVA HÁJEK

Un viaggio alla scoperta dell’arte italiana ed europea, attraverso le alterne vicende politiche del ‘900

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cms_5854/2.jpgMiroslava Hájekè una storica e critica d’arte di origini ceche. Cresciuta in Moravia, nel 1967 si iscrive all’Università Masaryk di Brno (Cecoslovacchia), dove studia Storia dell’arte. Da dissidente politica, dopo gli eventi legati alla Primavera di Praga si trasferisce in Italia. Nel 1970 fonda a Novara lo studio “UXA Centro d’Arte Contemporanea”, scoprendo i più grandi artisti italiani di quel tempo e avviando con loro una proficua collaborazione. Attualmente, Miroslava possiede l’unica collezione dell’artista Bruno Munari, strutturata in modo da evidenziarne la sua evoluzione nel tempo, rispettando un preciso ordine cronologico e tematico.

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Come nasce la Sua passione per l’arte e come essa si lega alle Sue esperienze di vita?

Non so rintracciare il momento esatto in cui è nata la mia passione per l’arte. Provengo da una famiglia di medici, a partire da un antenato, che fu medico personale dell’imperatore Rodolfo II d’Asburgo. Mio padre voleva che studiassi medicina: quando avevo solo tre anni guardavamo insieme video di operazioni a cuore aperto. In questo modo ha ottenuto l’effetto contrario, perché ho capito fin da subito che la medicina non faceva per me. Un paziente di mio padre mi “contagiò” con la sua passione per l’arte: quest’uomo, proprietario di un’impresa edile, era in possesso di una ricca collezione. Spesso mi regalava opere d’arte e libri. Da allora, cominciai a interessarmi alla cultura e a come quest’ultima veniva manipolata dai regimi dittatoriali: nonostante il secolo scorso sia stato foriero di molte riforme che hanno migliorato la vita e favorito lo sviluppo – prima fra tutte la scolarizzazione – la gente non era informata in merito alle tematiche culturali. Decisi, quindi, di studiare al liceo artistico. Mi appassionai alla teoria più che alla pratica: il mio interesse era rivolto soprattutto alla poesia visiva. Presi contatti con dei giovani artisti e dalla nostra collaborazione nacque a Brno, città dove vivevo, un movimento che autoironicamente prese il nome di ‘Boema di Brno’. Furono anni difficili, poiché le tematiche di cui ci occupavamo erano sgradite al regime totalitario socialista. Subii un sequestro e molte delle mie opere mi furono sottratte. Ma io non mollai, sono sempre stata una dura. Negli anni ’60, fui invitata da Bruno Munari a un incontro di artisti d’avanguardia provenienti da tutta Europa, che si sarebbe tenuto in Italia. Decisi di partecipare a questa e altre manifestazioni, ottenendo anche una borsa di studio privata, che prolungò la mia permanenza in Italia. Intanto, nel mio Paese fui processata e condannata per motivi politici. Se fossi tornata in Cecoslovacchia sarei finita dietro le sbarre: cominciò così la mia avventura di rifugiata politica in Italia. Non fu affatto facile: ero costretta a lavorare in nero e a pagare tutto da sola, lo Stato non era generoso come lo è ora. Con alcuni amici, misi su il centro culturale UXA. Ci fu una collaborazione molto intensa e costruttiva con artisti del calibro di Munari, Calderara, Colombo, Tornquist. Allora tutti mi guardavano come una pazza, ma oggi questi artisti sono diventati mitici. Spesso la società è ostile verso la vera cultura, si rischia che i lavori più significativi vadano persi, come è accaduto a molte opere futuriste.

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Come si consolidò, in seguito, il Suo legame con il geniale ma incompreso artista Bruno Munari?

Ben presto, Munari mi propose di studiare il suo percorso artistico. Era infastidito dall’atteggiamento dell’opinione pubblica, che lo trattava con disprezzo e parlava dei suoi lavori senza nemmeno conoscerlo. Si occupò di design e grafica per sopravvivere, perché non riusciva a vendere le sue opere d’arte. Nel ’70 ponemmo le basi di una selezione di circa 100 opere, studiata per mostrare l’evoluzione del suo percorso mentale e creativo, nonché di un metodo diverso rispetto a quello che utilizzava nella progettazione del design. Il suo impegno era votato al bene dell’umanità: era convinto che la gente dovesse avere libero accesso alle opere d’arte, così come avveniva con i libri. Ma i tempi non erano maturi, i troppi preconcetti della gente sulle arti visive fecero sì che non venisse recepito il messaggio più profondo insito nelle sue opere. Capimmo che ciò era dovuto a una mancanza di educazione alla sensibilità artistica: gli unici su cui si poteva ancora agire erano i bambini. Munari ideò così dei laboratori di creatività per i più piccoli, che riscossero un grande successo.

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La galleria UXA ospita attualmente quasi tutte le opere del Munari. Quali sono, a Suo parere, gli aspetti più innovativi della sua arte?

L’aspetto più innovativo dell’opera del Munari è proprio quello che tutti trascurano. La sua rivoluzione consiste nell’abbandonare il tradizionale quadro, nel creare interi ambienti “artistici”, dove viene proiettata luce polarizzata. Prendono vita impalpabili sculture virtuali, che lasciano gli spettatori a bocca aperta. La materia viene smaterializzata, lasciando un’impronta indelebile nella memoria dell’uomo. Munari anticipò dunque l’uso del proiettore, molto diffuso negli ultimi anni.

La critica ufficiale, allora, snobbava questo genere di lavori, che ebbero invece grande influenza sugli artisti americani. Ancora oggi, penso che l’Italia non abbia compreso a fondo l’arte di un personaggio tanto geniale, nonostante la sua notorietà. Con le mie mostre cerco di far emergere la vera “anima” della sua produzione artistica, ma puntualmente vengo ostacolata, poiché potrei compromettere le operazioni commerciali dei tanti falsari in circolazione. Le loro riproduzioni, a volte, stravolgono totalmente il concetto dell’artista: cercano di boicottarmi pensando forse che, se il vero “volto” del Munari fosse noto alla collettività, nessuno acquisterebbe più le loro copie.

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Qual è il ruolo della cultura, in particolare quella artistica, in una società materialista come la nostra?

Sono convinta che la cultura sia un aspetto fondamentale nella nostra vita, perché ci aiuta a sviluppare il nostro pensiero critico sulla realtà, a ragionare con la nostra testa evitando i raggiri. L’estetica è, per citare Kant, la “conoscenza del mondo attraverso i sensi”. Ancora oggi, il modo in cui la cultura viene “trattata” è molto discutibile: la si confonde spesso con l’intrattenimento e, anche quando la si riconosce, si dà adito a false interpretazioni.

L’arte, specialmente quella visiva, anticipa quella che è la condizione umana rispetto all’universo. Spesso viene sottovalutata e vista come un qualcosa di esclusivamente astratto, ma in realtà ha fornito grande impulso all’evoluzione umana, alla nascita delle religioni e persino all’interpretazione delle tematiche scientifiche.

Qual è l’opera che maggiormente incarna la Sua concezione dell’arte?

Più che la singola opera, ciò che cattura la mia attenzione è l’evoluzione del pensiero visivo. È interessante osservare come esistano delle tematiche e delle forme ricorrenti: l’arte fa eco a quelle domande che l’uomo si pone fin dalla notte dei tempi: ‘chi sono?’, ‘dove sono diretto?’, come mi inserisco in questa realtà?’. Sono quesiti che ancora oggi permeano la nostra mente, e trovano la loro massima espressione proprio nella produzione artistica. Perciò, mi piace indagare il percorso del singolo artista, che riproduce in un certo senso l’evoluzione compiuta dall’intera umanità.

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Quali artisti sta curando la galleria UXA e quali sono le sue prospettive per il futuro?

Personalmente, rimango fedele agli artisti che, nel corso degli anni, si sono rivelati corretti e onesti. Sono convinta che l’etica faccia parte dell’estetica: chi dedica la sua vita all’arte dovrebbe sempre tendere verso una certa perfezione morale, che va poi a riflettersi nelle sue opere. La tensione verso il superamento dei limiti umani deve essere la forza motrice alla base di qualsiasi lavoro artistico: coloro che sono costantemente impegnati a ordire i loro intrighi, mossi esclusivamente da motivi economici, tendono a produrre opere piatte e prive di personalità.

Fin dai primi anni della mia carriera sono alla ricerca della novità artistica, di un’arte che sfrutta le recenti tecnologie in maniera poetica, proseguendo il filone aperto da Munari. Mi è molto cara anche quella che io definisco “l’arte delle donne”. All’epoca del mio trasferimento in Italia ero appena 22enne e, da giovane donna, non fu affatto facile difendermi dagli “assalti” di chi voleva approfittarsi di me. Alle donne mancavano molte libertà, a quei tempi. Negli ultimi anni l’Italia ha fatto dei grandi passi avanti, ma la recente ondata di violenza nei confronti delle donne fa pensare, purtroppo, a un forte regresso.

Cosa consiglierebbe ai giovani artisti emergenti?

Innanzitutto, per diventare dei veri artisti è necessario essere autentici, non lasciarsi manipolare. L’artista manipolabile è un semplice copywriter, un pubblicitario. Il segreto del successo sta nel riuscire a sublimare i problemi contemporanei, a spostare la questione sul piano artistico. Oggi si cerca sempre di scandalizzare e impressionare il pubblico, ma ciò che manca e ciò su cui si dovrebbe puntare è proprio la sublimazione. Il piacere della vera arte sta nel sentirsi arricchiti da ciò che si osserva, “leggendo” la realtà attraverso gli occhi dell’artista. Nella mente dello spettatore deve scattare quella scintilla che permette di interpretare i problemi sotto un’altra prospettiva, riuscendo magari a individuarne un’adeguata soluzione.

(Per ulteriori informazioni sullo studio UXA cliccare sul link https://it-it.facebook.com/UXA-studio-darte-contemporanea-126725944086297/)

Federica Marocchino

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