MARCO CAVALLO: QUANDO L’ARTE DIVENTA SIMBOLO E/O… DENUNCIA

Un cavallo per i malati di mente

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Vincent van Gogh- alcuni dipinti sui girasoli

Poco tempo fa, una serie di vicende e frasi concatenate ha portato la mia attenzione su un certo cavallo artistico. No, non il cavallo di Leonardo, il cavallo che nel 1482 Ludovico il Moro Duca di Milano, propose a Leonardo di costruire, un cavallo rampante, il più grande del mondo, che non si realizzò mai, in quanto quando tutto era pronto per realizzare l’opera, le 100 tonnellate di bronzo necessarie alla realizzazione del monumento furono invece utilizzate per costruire dei cannoni utili alla difesa (causa l’invasione dei francesi di Luigi XII, capitanati da Gian Giacomo Trivulzio).

Ecco il mio cavallo ha più a che fare con l’illustre famiglia Trivulzio che fondò Il Pio Albergo Trivulzio, una casa di cura di Milano destinata per oltre due secoli agli anziani poveri. Il mio cavallo ha a che fare con lo strazio e la desolazione degli ammalati e dei reietti: nelle immagini sottostanti, Angelo Morbelli (Alessandria, 1853 – Milano, 1919) un pittore italiano, esponente del Divisionismo, che raffigurò il Pio Albergo.

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Angelo Morbelli -Pio Albergo Trivulzio

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Angelo Morbelli- Il Natale dei rimasti

Il mio cavallo a che fare soprattutto con le case di cura per malati mentali. Mi addentro in un tema/problema ostico e ancora insoluto, quello del disagio mentale.

Nonostante si sbandieri a destra e a sinistra che la Legge Basaglia abbia migliorato le condizioni degli ammalati, per chi cade in questo imbuto infernale, purtroppo un imbuto che diventa sempre più grande, inghiottendo sempre più persone, in quanto impose la chiusura dei manicomi e regolò il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo Servizi di Igiene Mentale pubblici, con l’intento di favorire terapie che non fossero lesive di dignità e qualità di vita dei pazienti, penso non sia un vero successo.

Non sta a me denunciare i misfatti, ci sono gli organi preposti, vi scrivo solo che chi ha il denaro o ha un minimo di elevazione culturale fugge dal Servizio pubblico, non accuso nessuno perché il problema fondamentale è che la malattia psichica è multifattoriale, che i fattori non sono solo biologici e che gli psichiatri sono lontani dall’aver risolto gli enigmi dell’anima e gli enigmi neurologici a ciò si aggiunge la mancanza di fondi adeguati e la carenza di personale.

Si può edulcorare, questa peste doppia, che colpisce il fisico e l’anima, con Erasmo da Rotterdam e il suo “Elogio della follia”, con l’alone della genialità, dell’arte, della preveggenza, dello sturm und drang, delle follie degli artisti ma non bisogna dimenticare mai che il disagio mentale è una malattia e come tale va curata col rispetto dovuto per la persona che è in disabilità, inoltre vanno fatte ricerche, molte ricerche scientifiche ma non sulla loro pelle, visto che c’è chi libera dai laboratori scientifici i cani e i topi, si abbia lo stesso rispetto per le persone.

Basaglia ha ottenuto tanto. Il malato non è più considerato come un reietto, bensì come una persona da aiutare, recuperare e riabilitare; la terapia elettroconvulsivante definitivamente eliminata, (sussistono comunque i TSO) e quella farmacologica pesante solo nel periodo di crisi, questi i presupposti, ma chi controlla affinché avvenga proprio così?

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Gustave Courbet- Uomo disperato- collezione privata

Ho toccato questo problema per lo stupore esternato da qualcuno, che qualche psichiatra o qualche altro addetto ai lavori, non conosca Marco Cavallo, come se dipendesse da ciò la bravura e la misericordia.

Anche a Ravenna abbiamo un Marco Cavallo, è stato inaugurato nel 2016, è un’opera in acciaio realizzata dagli studenti, presso il Centro di Formazione Professionale Alfa di Piangipane è esposto nel giardino intitolato a Franco Basaglia, al Centro di Igiene Mentale. È emulo del Marco Cavallo realizzato a Trieste nel 1973 da un’idea di Vittorio Basaglia diventato simbolo ormai universale del processo di liberazione dell’ospedale psichiatrico e di tutti coloro che soffrivano la vita manicomiale. Nella malattia i simboli contano poco se dietro non hanno i fatti.

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Marco Cavallo- Ravenna

Ora racconterò la storia di Marco Cavallo e così apprenderete che il finale della storia ha qualcosa che non va, qualcosa di sbagliato, qualcosa che manca o di troppo, qualcosa che turba.

Marco Cavallo è una macchina teatrale di legno e cartapesta. S’ispira a un cavallo in carne ed ossa, adibito al trasporto della biancheria nell’ospedale psichiatrico, che fu salvato dal macello.

Divenne il simbolo della volontà di liberare i malati di mente, vessati da una psichiatria affliggente, contro la quale Basaglia si batté fino alla riforma del 1978, che sancì la chiusura dei manicomi. L’opera fu realizzata nel 1973 all’interno del manicomio di Trieste, è un’opera collettiva realizzata nei laboratori artistici creati da Franco Basaglia all’interno dell’Ospedale Psichiatrico di cui era direttore, e si avvalse del contributo fantasioso dei pazienti allora internati.

Si racconta che furono gli ammalati che lo vollero grande, è alto all’incirca quattro metri, perché potesse contenere i tanti sogni e desideri di tutti i ricoverati e perché fosse appariscente in modo che lo vedessero bene senza bisogno di occhiali, che il problema della pazzia usciva e stava ai politici dare delle risposte, che loro non ci stavano più a restare nascosti come la polvere sotto il tappeto. Sempre gli ammalati lo vollero azzurro perché non piaceva vedere il cielo a scacchi: loro erano ammalati e non erano dei criminali, le sbarre sono comunque simbolo di un fallimento. In realtà chi ideò il progetto di dimensioni monumentali in modo che diventasse una specie di “cavallo di Troia” contenente le richieste di libertà e umanità dei malati mentali fu principalmente l’artista Vittorio Basaglia, cugino dello psichiatra Franco.

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Marco Cavallo- bozzetto

Marco Cavallo divenne un simbolo della battaglia etica, sociale, medica e politica a favore della legge sulla chiusura dei manicomi, la cosiddetta Legge Basaglia del 1978, nonché simbolo per i ricoverati del riconoscimento della loro dignità di persone. I diritti inviolabili della persona si acquisiscono con la nascita e si perdono con la morte, ma ai malati di mente erano (sono?) negati e questo perché ammalati. Da allora, Marco Cavallo è esibito in tutto il mondo come installazione itinerante per sensibilizzare l’opinione pubblica e il mondo politico sui problemi della salute mentale, al cavallo hanno dedicato poesie, canzoni, opere teatrali. Marco Cavallo ha iniziato a girare il mondo il 25 febbraio 1973, quando Franco Basaglia ha spaccato con una panchina di ghisa il muro di cinta dell’Ospedale psichiatrico triestino perché il cavallo era troppo grande, non riusciva a passare attraverso nessuna porta, Marco Cavallo uscì, sfondando mura e reticolati. Un’altra versione racconta che il problema sorse perché non si era tenuto conto della grandezza dell’opera e nessuna delle porte dell’ospedale era alta abbastanza da permetterne l’uscita, il cavallo venne così lanciato contro una delle porte, spaccando delle vetrate, il cavallo uscì fra la gioia generale in quanto l’aver scassato i muri fu visto di buon auspicio, invece è proprio questo che a me non piace, l’esempio dello sfondare, dello spaccare per ottenere qualcosa.

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Marco Cavallo- opera collettiva-da un’idea di Vittorio Basaglia-itinerante

Avrete capito che a me non piace Marco Cavallo, nel vociare esaltato odierno, dove la protesta viaggia col buffonesco e le strida, penso sia più assordante il silenzio: anche il silenzio comunica e infrange, riuscendo a spaccare i muri interni, che sono molto più difficili da rimuovere. Questo cavallo imbizzarrito, assomiglia troppo al cavallo della guerra, quello di Guernica, gli ammalati di qualsiasi sintomo siano sofferenti non vogliono la guerra ma l’armonia, l’affetto, la comprensione, magari un fiore, un girasole, quel fiore che si gira sempre verso il sole.

Inserisco un po’ di immagini tratte da dipinti famosi, tutte opere di indiscutibile valore… e chiamò la luce giorno e le tenebre notte.

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Pablo Picasso- particolare di Guernica- Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía- Madrid

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Eugène Delacroix-La Libertà che guida il popolo-Museo del Louvre- Parigi

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Théodore Géricault- La zattera della Medusa-Museo del Louvre- Parigi

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Egon Schiele-La morte e la fanciulla o l’abbraccio della morte- “Tutto nella vita è morte”, scrive l’artista nel 1910 sulle pagine del proprio diario

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Particolare litografia in bianco e nero dell’Urlo, realizzata da Munch dopo il dipinto

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La Cappella Rothko è una cappella ‘atea’ situata a Houston, alle pareti 14 dipinti neri, di Mark Rothko

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Interno della La Chapelle du Saint-Marie du Rosaire- decorata da Henry Matisse-Vence- Provenza

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L’attesa- “Vorrei saper proclamare la dolcezza di fissare sulla tela le anime estatiche e ferme, le cose immobili e mute, gli sguardi lunghi, i pensieri profondi e limpidi, la vita di gioia e non di vertigine, la vita di dolore e non di affanno”. Felice Casorati

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Jean-François Millet- L’Angelus” - Museo d’Orsay- Parigi

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Jan Vermeer- Lattaia- Rijksmuseum- Amsterdam

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Piero della Francesca- Madonna di Senigallia- Galleria Nazionale delle Marche- Urbino

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Copia romana del Doriforo di Policleto (originale 450 a.C.) fine II secolo a.C.- Museo Archeologico Nazionale- Napoli- esempio massimo della bellezza ideale e di armonia, dove il movimento è statico, in condizione di riposo, sinonimo di equilibrio perfetto

Paola Tassinari

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