L’OPINIONE DEL FILOSOFO

L’antropologia negativa di Günther Anders. L’uomo antiquato (2^ Parte)

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“(Anders) ha visto i leucemici, i moribondi, verificandone con sgomento la rimozione generalizzata: la vittima è socialmente considerata un colpevole, viene nascosta, relegata, ignorata”.

(Costanzo Preve, introduzione a “L’uomo è antiquato”).

Il primo volume de “L’uomo è antiquato” (1956) comprende quattro saggi di notevole ampiezza, il primo è intitolato “Della vergogna prometeica” ; ad esso segue “ Il mondo come fantasma e come matrice” dedicato alla radio, alla televisione; il terzo saggio è dedicato a Beckett e si intitola “ Essere senza tempo”; il quarto saggio, infine, è dedicato alla bomba atomica : “Della bomba e delle sue radici. Della nostra cecità all’Apocalisse”.

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Perché l’uomo è antiquato? L’uomo è antiquato- risponde Anders- rispetto alla perfezione dei prodotti della tecnica che lo pone in una condizione di inferiorità, in cui egli avverte tutta la sua inadeguatezza e il dislivello tra la sua natura di essere finito e precario e l’infinita progressione e potenza dell’apparato tecnologico mondiale.

Lo scarto è avvertito anche come divaricazione tra due facoltà dell’uomo: la sua capacità limitata di immaginare (vorstellen) e la sua capacità illimitata di produrre (herstellen); detto in altre parole, c’è uno squilibrio tra la condizione umana e la perfezione della macchina, squilibrio che si risolve nel dominio dell’apparato tecnologico sull’uomo. Ma c’è anche uno squilibrio all’interno dell’uomo, tra la sua limitata capacità di prevedere e di interpretare le ricadute dei processi tecnologici avviati e quindi di assumerne la piena responsabilità. In questa prospettiva si cela il rischio dell’ininfluenza dell’uomo rispetto a ciò che lui stesso produce.

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Anders è un autore radicale ed estremo; la sua filosofia della tecnica va ben al di là delle posizioni critiche espresse nel Novecento da filosofi che hanno denunciato l’ambiguità della tecnica, i rischi della riduzione della vita ad un evento meccanico e strumentale, il suo potere soverchiante. Egli si allontana di molto da tutte quelle forme di pensiero, che vanno dal senso comune alla filosofia e alla scienza, che riconoscono alla tecnica un esclusivo significato strumentale.

Rispetto a ciò che Anders definisce come prima, seconda e terza rivoluzione industriale, la prima rivoluzione industriale coincide, per Anders, con il macchinismo, ossia con la produzione di macchine per mezzo di macchine, una rivoluzione che non mette ancora al centro del suo programma la manipolazione dei bisogni; la seconda rivoluzione industriale è quella in cui anche i bisogni vengono prodotti, mentre la terza rivoluzione industriale è quella dell’uomo-massa che vive in un mondo in cui il lavoro sta perdendo la sua centralità ed evolve verso la robotica.

C’è la massima lontananza tra il senso classico di “techné” e quello di “condizione umana” concepito da Anders, che si è formato ed è cresciuto sul terreno del capitalismo americano. Il mondo greco-romano ha trasmesso una concezione della tecnica come dotazione strumentale utile alla sopravvivenza dell’uomo; l’età moderna eredita questo quadro concettuale ed enfatizza il carattere strumentale e progressivo della tecnica, realizzando il “ regnum hominis” baconiano.

Nel corso del Novecento il rischio di scivolamento della tecnica verso il non-umano, e la sottomissione della natura a principi e metodi di sfruttamento intenso e squilibrato, nonché il carattere “totalitario” della macchina viene intuito e segnalato da vari intellettuali e correnti di pensiero, che va da Spengler ad Heidegger, dai “francofortesi” agli esistenzialisti atei e cattolici. Il mondo delle macchine termina per essere responsabile di una eterogenesi dei fini in quanto, andato perso il carattere liberatorio e progressivo della tecnica, altro non rimane se non l’impoverimento spirituale ed intellettuale e il predominio dell’artificiale e del meccanico.

L’uomo è minacciato, essi avvertono, nel suo tessuto di individuo e di persona plurale. Bisogna dunque porre dei limiti e valorizzare l’antropologia della persona o la liberazione delle classi sociali asservite alla logica della scienza e della tecnologia capitalista. Anders si discosta da questo orizzonte anche se recepisce alcune tematiche come quella dell’oltre-passamento dell’uomo da parte dell’apparato tecnico-scientifico e la sua riduzione dell’uomo a cosa priva di soggettività.

Il dislivello prometeico, il totalitarismo dei prodotti, l’apocalisse atomica e il suo potere di “reductio ad nihil”, contrassegnano il carattere finale della nostra epoca, la dissociazione tra mezzo e fine, l’imperativo secondo cui tutto ciò che è tecnicamente realizzabile deve essere realizzato, la mutazione antropologica dell’uomo trasformato in ente plasmabile dai meccanismi del consumo e della informazione, il primato ontologico delle cose rispetto agli uomini.

Prometeo ha riportato sull’uomo una vittoria troppo trionfale: dalla “vergogna prometeica”, dalla vittoria degli apparati, delle funzioni, degli strumenti deriva una perdita del mondo da parte dell’uomo ed un più elevato livello ontologico delle cose rispetto agli uomini stessi. Da queste premesse deriva la tesi della inversione mezzi-fini. Nessun mezzo è mai soltanto un mezzo. I cosiddetti strumenti in realtà sono “decisioni preliminari” che condizionano i cosiddetti fini: “La credenza che esistano porzioni del nostro mondo che non sono altro che mezzi a cui si possono assegnare ad libitum scopi buoni è pura illusione. La nostra esistenza in cui la tecnica ha una parte tanto importante, non si divide in tratti di strada ben delimitati e separati l’uno dall’altro, di cui gli uni sono contraddistinti dal cartello stradale ‘mezzi’ e gli altri da quello ‘scopi’. Questa divisione è legittima solo per azioni singole e per procedure meccaniche isolate”.

L’evento più esemplare di inversione mezzi/fini è la costruzione della bomba atomica: essa non è un mezzo, perché se venisse impiegata, il più piccolo dei suoi effetti supererebbe di gran lunga qualsiasi scopo. Il processo degenerativo della coppia mezzo/fine è approdato oggi al risultato che la fabbricazione dei mezzi è diventata lo scopo della nostra esistenza: mezzo e fine si sono scambiati le parti.

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Di grande interesse sono anche le riflessioni di Anders sulle trasformazioni del lavoro umano nella fabbrica robotizzata, sul decadere del “fabbricare” -ossia del lavoro delle manifatture-, a “ fare” e poi dal “fare” in “servire” la macchina.

Il libro di Pier Paolo Portinaro “Il principio disperazione” del 2003, rimane ancora l’unica opera pubblicata in Italia sul pensiero di Anders, che traccia una illuminante e acuta presentazione del filosofo tedesco nel primo dei tre saggi che costituiscono il libro e offre nei restanti due spunti di approfondimento. Particolarmente importante è il terzo ed ultimo intervento intitolato: “Tecnica ed etica ad una dimensione”, in cui l’autore esamina il pensiero di Anders in rapporto a Marx, ad Heidegger, ai “francofortesi” e ad Hannah Arendt. Ma soprattutto è interessante in questo saggio la riflessione sulla convergenza tra la tesi andersiana della equivalenza tra Auschwitz ed Hiroshima e le tesi del revisionismo storico. Il pensiero di Anders è debitore nei confronti di Marx, da cui deduce alcune importanti tesi quali il tema dell’alienazione, quello del feticismo delle merci, che in Anders diventa la priorità ontologica del prodotto, e il tema del dominio dei mezzi di produzione rispetto al lavoratore.

Con il pensiero di Heidegger, Anders manterrà nel tempo un rapporto prevalentemente conflittuale. “Il suo rapporto con Heidegger va - scrive Portinaro - dalla identificazione al rigetto, passando attraverso la parodia”. Heideggeriana è la tesi sulla inversione mezzi/fini e sull’ oltre-passamento compiuto da Anders della concezione “strumentale” della tecnica. Portinaro riconosce l’estremizzazione e l’enfatizzazione che sono implicate e sottese alle analisi di Anders, ma non sono pochi i meriti della anti-filosofia andersiana che trovano nel saggio di Portinaro un adeguato riconoscimento.

Su Anders anticipatore del revisionismo, il giudizio di Portinaro tende a mettere in luce la rottura compiuta dal filosofo tedesco del canone storiografico impostosi quasi unanimemente nel secondo dopoguerra. L’accostamento Auschwitz-Hiroshima è destinato a sollevare scandalo - afferma Portinaro -, che riconosce che il tentativo del “revisionismo” andersiano “non risiede nel minimizzare le colpe dei totalitarismi storici, quanto ingigantire quelle delle democrazie occidentali”.

Negando ogni principio di conciliazione tra la “conditio humana” e la ““techné”, ne “L’uomo è antiquato” cogliamo un rifiuto radicale e una ostinata critica ai quadri concettuali dominanti.

Conclusione

Gli studi di filosofia morale di Günther Anders mostrano un intreccio peculiare di riferimenti carichi di suggestioni etiche: la filosofia “messianica” elaborata da Ernst Bloch, la concezione etica del giovane Lukács, l’interpretazione di Dostoevskij.

Immagine emblematica di questo intreccio può forse individuarsi nel celebre “monologo del Grande Inquisitore”, di Dostoevskij ne “I fratelli Karamazov”, in cui, nel ribaltamento di prospettiva, il Cristo è imprigionato e accusato di non aver compreso la natura imperfetta e debole dell’uomo, condannandolo a una felicità impossibile.

Avvicinandoci alle parole-chiave di questi pensatori - principio-speranza, principio-responsabilità e principio-disperazione - Bloch sogna una natura completamente al servizio dell’uomo, una totale trasformazione del mondo in patria - Umbau der Welt zur Heimat -, senza avvedersi che il potere scientifico-tecnologico accumulato dalla nostra civiltà soddisfa la nostra volontà di potenza, al costo di mettere in pericolo le basi stesse di ogni forma di vita nel pianeta Terra.

cms_24842/03.jpgDa questo punto di vista le critiche mosse a Bloch da Hans Jonas nel suo “Das Prinzip Verantwortung” (1979) colgono nel segno. Lo Umbau der Welt zur Heimat sperato da Bloch oggi non può non fare i conti con quel senso del limite e della misura che rischia, se non di distruggere, di trasformare il mondo in un inferno e in un deserto, per il modello di sviluppo economico dominante responsabile del degrado ambientale planetario.

Eminenti pensatori del Novecento si sono cimentati con il “principio speranza” (Ernst Bloch), il “principio realtà” (Helmut Schelsky) il “principio responsabilità” (Hans Jonas). Pier Paolo Portinaro nel suo saggio del 2003, ha avviato una stimolante meditazione sul rapporto fra il “principio-speranza” di Bloch, il “principio-responsabilità” di Jonas e il “principio-disperazione” di Anders, che ne costituisce l’antitesi.

cms_24842/04.jpgL’opera di Anders è dominata da una intransigenza che pone il suo radicalismo al servizio del “principio disperazione”. La sua filosofia della tecnica ci fornisce l’estrema versione nichilistica delle tesi marxiane sulla reificazione. Ma l’impazienza moralistica che la pervade ha fatto di lui una figura simbolo del pacifismo militante, di cui ha, forse più lucidamente di ogni altro, evidenziato le sfide, i limiti e le contraddizioni.

Anders, per il suo modo estremamente critico di intendere le cose, può essere accostato a diversi filosofi come Adorno, Marcuse, Bloch o Jonas.

Tuttavia, la sua filosofia si distingue da altri autori, in particolare è piuttosto evidente la differenza che effettivamente esiste tra Jonas, Bloch e Anders.

Per questi motivi non solo il Prinzip-Hoffnung deve fare i conti con il Prinzip-Verantwortung e col Prinzip-Verzweiflung, ma lo stesso Principio Responsabilità rischia di esser messo fuori causa dal Principio Disperazione. Parole-chiave del nostro tempo, il principio-speranza, il principio-responsabilità e il principio-disperazione, il modello di sviluppo economico dominante è responsabile – oltre che di terribili diseguaglianze economico-sociali – del degrado ambientale e sociale che ci circonda e necessita di un ripensamento radicale. Così Anders ci ammonisce: “La possibilità dell’apocalisse è opera nostra. Ma noi non sappiamo quello che facciamo”.

Fine

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Prima parte al link:

https://www.internationalwebpost.org/contents/L%E2%80%99OPINIONE_DEL_FILOSOFO_24828.html#.Ygzs6t_MKUk

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Gabriella Bianco

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NICOLA

Per approfondire la filosofia di Anders consiglio il libro di A.Cernicchiaro "Gunther Anders, la Cassandra della filosofia"...
Commento del 14:59 06/12/2023 | Leggi articolo...



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