L’OPINIONE DEL FILOSOFO

Albert Camus, o il gran grido della ribellione umana (Parte Seconda)

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Albert Camus: Il non senso e lo straniero

"La rivelazione di quella luce, tanto abbagliante che si converte in bianca e nera, ha fin dall’inizio, qualcosa di soffocante". (Piccola guida per le città senza passato, 1947)

"La rivelazione di quella luce, tanto abbagliante che si converte in bianca e nera, ha fin dall’inizio, qualcosa di soffocante": la luce abbagliante che incontriamo in "Lo straniero", una vera e propria metafisica del nulla, spinge Camus a osservare da vicino il suo personaggio, colpito da un evento che rompe il tessuto della sua vita, l’ omicidio che egli stesso compie.

In questo incontrollabile evento, il personaggio, sempre più privo d’anima, si svuota dall’interno, preso da un’ invincibile gravità che lo trascina verso l’annientamento. Ci sono crimini di passione e crimini di ragione: in questo crimine senza ragione e senza passione, l’essere solitario si fa grido, si fa universale, entra nel non-senso. Se non si crede a nulla e niente ha valore - nemmeno la giustificazione -, tutto è possibile e niente ha importanza. Si tratterebbe piuttosto di sapere se l’innocenza - a partire dal momento in cui il soggetto agisce -, possa impedire di uccidere, ma nella luce che abbaglia, è l’enigma del nulla ed il mistero - non più l’innocenza - ad occupare il lato maledetto dell’anima, il rovescio della luce. Né il reale è interamente razionale, né il razionale è del tutto reale.

Suicidarsi è un atto liberamente consentito ad una persona - altrimenti non si tratterebbe più di suicidio, ma anche di omicidio -, perché si tratta della morte di qualcuno, una morte preparata, orchestrata, sapientemente organizzata. E dunque pensare al crimine e all’omicidio sotto la categoria del suicidio, fa pensare che siamo in presenza di una coscienza presente a se stessa. Ma è questo il caso dello straniero?

cms_24408/1.jpgCompiuto in maggio 1940 e pubblicato contemporaneamente a "Le Mythe de Sisyphe" nel 1942, "Lo straniero", "L’Etranger" esprime sotto forma di romanzo, le idee contenute nel saggio sull’assurdo. Meursault, il narratore, è un modesto impiegato ad Algeri. Camus traccia la sua esistenza mediocre, limitata a meccanici gesti quotidiani e a elementari sensazioni. Meursault vive in una specie di torpore, una strana indifferenza, che nel compiere quel gesto inutile ed assurdo, l’omicidio, rivela appena una presa di coscienza della mancanza di senso della vita e dei valori che la sorreggono. La scrittura del romanzo, particolarmente neutro e nitido, risponde a ciò che Sartre definirà come "l’accentuazione della solitudine in un’ unità linguistica", che si aggiunge alla solitudine del personaggio, che è solo di fronte al mondo e di fronte a se stesso.

Una tale narrazione, oggettiva e deprimente, adotta una tecnica narrativa che ci conduce al sentimento dell’assurdo. La sistematica utilizzazione della prima persona al singolare invita il lettore a identificarsi con il personaggio, restituendoci il paesaggio mentale di Meursault e la possibilità di penetrare nell’universo di Camus e nella sua filosofia, soprattutto nei legami che Camus stabilisce fra le sue opere - tanto da aver disegnato fin dall’inizio lo sviluppo della sua scrittura, come racconta dopo la sua morte l’amico Robert Gallimard.

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Non solo: se Camus pensa ad uno sviluppo delle sue opere che dica la sua visione del mondo, le storie riflettono storie reali; infatti, un articolo di giornale costituirà la storia della sua opera di teatro "Le Malentendu". mentre qualche anno più tardi, "La Peste" evocherà un arresto che fece scalpore ad Algeri. Si trattava di un giovane impiegato di commercio che sulla spiaggia, aveva ucciso un arabo. Una riflessione, quella di Camus, sulla condizione umana, una satira sociale, uno sguardo sul mondo algerino.

cms_24408/3v.jpgAnche Emil Cioran ha molto scritto sulla morte e sul suicidio. In una delle sue opere-chiave, "De l’inconvénient d’être né", Cioran riflette sulla vita, la considera ridicola, deplorabile, una specie di malattia, e tuttavia il suicidio non è mai incoraggiato: "Per degli anni, infatti, una vita intera, non si fa che pensare agli ultimi istanti, solo per constatare, quando ci si avvicina alla morte, che tutto è stato inutile, che il pensiero della morte aiuta a tutto, tranne che a morire". L’idea del suicidio è un mezzo per rendere la vita sopportabile, ma Cioran non incoraggia mai il suicidio come soluzione concreta, ma vede il suicidio piuttosto come soluzione astratta: "Passo il mio tempo a consigliare il suicidio per iscritto e sconsigliarlo a parole. Nel primo caso è una questione filosofica, nel secondo di un pensiero, di una voce, che suggerisce l’immensa differenza fra l’idea di poter andarsene dalla vita quando lo vogliamo, e il fatto che si possa o voglia mettere realmente fine ai propri giorni. È solo il pensiero del suicidio a offrire un modo di passare attraverso la vita, una forma di rendere accettabile la propria vita".

A sua volta, per Levinas, il nulla è impossibile. Nel "to be or not to be", nell’"essere o non essere" di Amleto - secondo Levinas - c’è la presa di coscienza dell’impossibilità dell’auto-annientamento, è Amleto che toglie all’uomo la possibilità di assumere e decidere la morte e toglie dunque alla morte il controllo sulla vita. E tuttavia, nell’impossibilità dell’annientamento, né l’omicidio né il suicidio sembrano dar uno spessore alla vita, conferirle un senso, una tragica realtà, nell’assurdità di una vita, della vita.

Per togliere ogni equivoco, nell’avvicinare questa filosofia in "Le Mythe de Sisyphe", è necessario dunque precisare i contorni di termini come l’assurdo, l’uomo assurdo, la rivolta, ma anche la libertà e la passione, che hanno in Camus, una particolare risonanza e alimentano l’opera di Camus nelle sue più profonde e autentiche vene.

Camus e l’assurdo

cms_24408/4v.jpg"L’assurdo nasce del confronto fra l’appello umano con il silenzio irragionevole del mondo"

(Albert Camus, Le Mythe de Sisyphe)

"Io traggo dall’assurdo - dice Camus - tre conseguenze che sono la mia rivolta, la mia libertà, la mia passione. Attraverso il solo gioco di coscienza, trasformo in regola di vita ciò che è invito alla morte - e rifiuto il suicidio". Così Camus definisce l’atteggiamento dell’uomo assurdo. L’irrazionale, la nostalgia umana e l’assurdo sono al centro di un dramma che deve necessariamente finire con tutta la logica di cui una esistenza sia capace. Nonostante sia imparentata in una certa misura all’esistenzialismo, Albert Camus se ne è successivamente nettamente separato, per legare il suo nome ad una visione filosofica, la filosofia dell’assurdo.

cms_24408/5v.jpgDefinita in "Le Mythe de Sisyphe", "saggio sull’assurdo" (1942), ripresa in "L’Etranger" (1942), e successivamente nelle opere di teatro "Caligula" e "Le Malentendu" (1944), la filosofia dell’assurdo si trova al centro dell’evoluzione del pensiero di Camus, fino a "La Peste" (1947). "Viene un giorno (...) in cui l’uomo constata o dice che ha trent’anni. Egli afferma così la sua giovinezza. Ma allo stesso tempo, egli si situa in rapporto al tempo. (...) Egli appartiene al tempo e nell’orrore che lo coglie, egli riconosce nel tempo il suo peggiore nemico. Domani, egli sperava che sarebbe successo domani, quando con tutto se stesso avrebbe potuto rifiutarsi. Questa rivolta della carne, è l’assurdo".

Ma, la vita vale la pena di essere vissuta? Per la maggioranza degli uomini, vivere è "fare dei gesti consolidati dall’abitudine". Ma il suicidio solleva la questione fondamentale del senso della vita: "Morire volontariamente suppone che si riconosca, anche istintivamente, il carattere illusorio di questa abitudine, l’assenza di ogni ragione profonda di vivere, il carattere insensato di questa agitazione quotidiana e l’inutilità della sofferenza".

  1. 1. Il sentimento dell’assurdo

Una tale presa di coscienza è rara, personale e incomunicabile. Questa può sorgere dalla "nausea" che nasce dal carattere meccanico dell’esistenza senza scopo, fino al giorno in cui il perché di questo scoramento diventa chiaro. Questo atteggiamento può nascere dall’estraneità della natura e dall’ostilità del mondo, in cui uno si sente improvvisamente, straniero. O ancora l’dea che tutti i giorni di una vita senza lustro siano stupidamente subordinati al domani, allora è il tempo che conduce all’annientamento ed è il nostro peggiore nemico.

È soprattutto nella certezza della morte, è in quell’aspetto elementare e definitivo dell’avventura umana, che scopriamo l’assurdo: nella consapevolezza del nostro destino mortale, compare l’inutilità. Nessuna morale, nessuno sforzo possono giustificare l’ingiustificabile davanti alle dinamiche della nostra condizione. D’altra parte, l’intelligenza, riconoscendo la sua incapacità a capire il mondo, ci dice anche alla sua maniera, che il mondo è assurdo, abitato dall’irrazionale.

L’uomo assurdo: Ostinazione e ribellione

Se il mondo è assurdo, se questa nozione di assurdo è essenziale ed è la prima delle nostre verità, ogni possibile soluzione a questo dramma preserva l’assurdo del mondo, davanti a cui tuttavia Camus rifiuta sia l’atteggiamento del suicida, come soppressione della coscienza, sia quelle dottrine (e religioni) che situano fuori di questo mondo la ragione e la speranza che conferiscono senso alla vita.

Morire volontariamente suppone che si sia riconosciuto l’assenza di ogni ragione profonda per vivere, il carattere insensato di questa agitazione quotidiana e l’ inutilità della sofferenza. Solo dà al dramma dell’esistenza la sua logica conclusione colui che decide di vivere secondo ciò che sa, cioè con la coscienza del confronto senza speranza fra lo spirito ed il mondo. "Vivere una esperienza, un destino, è accettarlo pienamente. Oppure si può optare per non vivere questo destino, sapendolo assurdo, ma così facendo, non si fa tutto per mantenere davanti a sé questo assurdo messo a nudo dalla coscienza...Vivere, è vivere l’assurdo. Farlo vivere, è prima di tutto, guardarlo in faccia…".

La rivolta. Il gran grido della ribellione umana...

La sola posizione filosofica coerente è pertanto la rivolta. Essa è il confronto perpetuo dell’uomo con la propria oscurità, che rimette in causa il mondo ogni minuto, ogni secondo...una rivolta senza speranza. Questa rivolta non esprime solo l’assicurazione di un destino che ci schiaccia, ma la rassegnazione che deve accompagnarla. È così che Camus oppone allo spirito del suicidio - che in una certa maniera, ammette l’assurdo - quello del condannato a morte, che è allo stesso tempo, coscienza e rifiuto della morte, come leggiamo nell’epilogo de Lo Straniero.

Secondo Camus, è questa rivolta che conferisce alla vita il suo prezzo e la sua grandezza, esaltando l’intelligenza e l’orgoglio dell’uomo alle prese con una realtà che lo supera, e l’invita a esaurire tutto ed a esaurirsi, perché sa che in questa coscienza ed in questa rivolta giorno dopo giorno, l’uomo testimonia la sola verità possibile, la sfida: "La rivolta non è in se stessa un elemento di civiltà, ma è anteriore alla civiltà stessa".

Camus si riferisce anche all’immensa violenza subita dalla cultura contadina e artigiana per l’avvento dell’industrializzazione. Questa lotta è continuata fra il socialismo libertario ed il socialismo autoritario. Per questo Camus non si ritiene filosofo, ma ricorda che la dignità dell’uomo risiede nell’ essere creatore del suo lavoro. Nell’uomo in rivolta, Camus insiste sul fatto che la società industriale non aprirà il cammino alla civiltà che restituendo al lavoratore la dignità di creatore, attraverso l’applicazione del suo interesse e della sua riflessione sia al lavoro che al suo prodotto.

Camus ricorda che durante 150 anni, tranne nella Parigi della Comune, ultimo rifugio della rivolta rivoluzionaria, il proletariato non ebbe altra missione storica che quella di essere tradito. I proletari si sono battuti e sono morti per dare potere a intellettuali e militari, quei militari e quei borghesi che li avrebbero asserviti. Camus ha attaccato dunque le forme ed i sistemi della violenza, allo stesso tempo borghese e anticapitalista.

(continua)

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Albert Camus, o il gran grido della ribellione umana (Parte SPrima)

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Gabriella Bianco

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